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MAURIZIO GAMBARINI/AFP/Getty Images
Economia

Pensioni, la spesa fuori controllo della Germania

Berlino chiede rigore ai paesi europei ma sulle uscite previdenziali ha un debito inarrestabile. Peggio di quello dell'Italia

Rigore, rigore e ancora rigore. Ai soci dell’eurozona la Germania chiede contipubblici in ordine. Altri stati membri, fra cui l’Italia, vorrebbero invece un freno ai surplus commerciali tedeschi, anch’essi causa di squilibrio. C’è un fenomeno però che sfugge al controllo di Roma e Berlino: l’invecchiamento demografico. Il 1° gennaio 2017, l’età media della popolazione nell’Ue era 42,8 anni: ma se in Irlanda la media era 36,9 anni, in Germania e in Italia era già a 45,9, con outlook in peggioramento come dicono le società di rating. Con un debito pubblico più alto (il 131 per cento del Pil nel 2018) e una popolazione parimenti senescente, l’Italia parrebbe messa peggio della Germania il cui debito è pari a solo il 64 per cento del Pil. Eppure esiste una voce dei conti pubblici in cui Roma fa meglio di Berlino: le pensioni. E a certificarlo fra gli altri è la Stiftung Marktwirtschaft (Fondazione Economia di mercato) di Berlino. Ogni anno il centro studi tedesco legato alla Scuola di Friburgo pubblica un indice sulla sostenibilità dei conti pubblici degli stati Ue.

I risultati sono sorprendenti: quest’anno apre la classifica la Croazia, seguita dalla Grecia mentre la chiudono Slovenia e Lussemburgo. Ancora una sorpresa: l’Italia è 11esima e la Germania solo 14esima. La graduatoria è stilata su dati della Commissione Ue relativi sì ai debiti espliciti - il 131 per cento italiano contro il 64 tedesco - ma anche ai debiti impliciti, quelli cioè «derivanti principalmente dall’invecchiamento della popolazione», spiega a Panorama l’economista della Stiftung Marktwirtschaft Guido Raddatz. Il debito implicito italiano, che non ha niente a che vedere con le case di proprietà o i conti in banca, è -9; quello tedesco +106. Perché l’Italia sfoggia cifre negative che alleggeriscono il suo debito complessivo? «Perché sul lungo periodo la spesa pensionistica italiana appare sotto controllo, mentre in Germania è in crescita costante». A Raddatz non è sfuggito il progetto di Quota 100 del governo italiano, pensato per facilitare il pensionamento di lavoratori con 62 anni di età e 38 di contributi nella speranza di fare posto ai giovani. L’attuale giudizio positivo sull’Italia vale «se il governo non cambierà le regole oggi in vigore», ovvero la legge Fornero, conclude Raddatz.

Nel bollettino economico di fine marzo la Banca centrale europea aveva ricordato che l’invecchiamento della popolazione dell’eurozona proseguirà intensificandosi nei prossimi decenni, con pressione al rialzo della spesa pubblica per pensioni, sanità e assistenza. Anche l’immigrazione, una carta giocata da Angela Merkel con l’apertura ai profughi, è poco più di un palliativo: un po’ per una questione di numeri (in nessun Paese entra un migrante per ogni bimbo non nato), un po’ perché i migranti residenti in Europa si adattano agli usi locali e fanno meno figli. E comunque invecchiano anche loro.
La cura prescritta dalla Bce è un’altra: «L’introduzione di misure che innalzino l’età pensionabile potrebbe contrastare gli effetti macroeconomici avversi dell’invecchiamento poiché eserciterebbe un impatto favorevole sull’offerta di lavoro e sui consumi interni». Se è vero che la popolazione italiana è avvitata in una spirale di ingrigimento fra le peggiori nel mondo sviluppato, e la Germania fa appena meglio, almeno per quanto riguarda l’assetto previdenziale, gli italiani hanno svolto bene i compiti a casa. E i tedeschi?
Nel 2007 il primo governo di grande coalizione guidato dalla Merkel stabilì che a partire dal 2011 l’età pensionabile sarebbe gradualmente cresciuta per arrivare a 67 anni nel 2031. Oggi è a 65 anni e 7 mesi. La riforma del 2007 intacca la generazione dei baby boomer, ma interessa principalmente gli under 54. Poiché l’invecchiamento della popolazione non è stato scoperto solo ieri, dai tedeschi amanti del rigore proprio, ma specialmente altrui, ci si sarebbe aspettati qualcosa di più.
Nel 2014 Andrea Nahles, ministro del Lavoro del precedente governo di grande coalizione e oggi contestata presidente della Spd, ha invece promosso l’aumento della pensione a tutte donne diventate mamme entro il 1992 e l’abbassamento dell’età pensionabile a 63 anni ai lavoratori con 45 anni di contributi. «Due misure che vanno nella direzione opposta rispetto ai bisogni della società», spiega a Panorama Suzanne Kochskämper, economista esperta di politiche sociali dell’Istituto per la ricerca economica (IW) di Colonia. Anche Peter Haan, del prestigioso think tank economico DIW di Berlino, fa a fette la riforma Nahles: «Non aiuta a stabilizzare il sistema previdenziale né serve a contrastare il fenomeno della povertà fra i pensionati. Al contrario sostiene chi ha avuto una carriera lunga e presumibilmente una pensione più alta».

Gli economisti tedeschi concordano: il sistema previdenziale è insostenibile. L’IW di Colonia aveva già illustrato i suoi dubbi sulla tenuta delle pensioni di Herr und Frau Müller (il signor e la signora Rossi della Germania) quando Merkel aveva reso pubblico il nuovo patto di coalizione con la Spd a inizio 2018. «In materia di pensioni non c’era nulla: forse perché l’occupazione era ai massimi e il gettito contributivo pure». La parole di Kochskämper riflettono il timore di chi vede il sistema pensionistico affidato alla corsa dell’economia: tale corsa non può durare in eterno. L’invecchiamento demografico quello invece avanza, infischiandosene bellamente del Pil e del surplus commerciale.
Annusato un certo rallentamento dell’economia nazionale e lette le analisi congiunturali dei principali istituti economici tedeschi, fra i quali proprio l’IW e il DIW, Frau Merkel ha finalmente avviato una Rentenkommission (una Commissione sulle pensioni) per tentare di sciogliere il nodo previdenziale.

Nessuno si aspetta però soluzioni veloci, facili e soprattutto indolori. Riformare le pensioni è elettoralmente insidioso per Merkel, il cui governo è formato dai due partiti più votati dai baby boomer. Centinaia di migliaia di elettori, l’ultimo dei quali andrà in pensione nel 2031, che metteranno a dura prova le casse dell’Inps tedesca. Il sistema non regge più: l’istituto di Colonia spiega che se oggi ci sono 58 pensionati ogni 100 lavoratori, nel 2031 saranno saliti a 70. E a quota 77 nel 2040. Le stime del DIW berlinese sono analoghe: «Oggi i pensionati sono 18,3 milioni», spiega Haan riferendosi esclusivamente ai trattamenti erogati per vecchiaia (al netto cioè di anzianità, reversibilità o disabilità). «Nel 2023 saranno 19,1 milioni; 20,1 nel 2028 e 21,7 milioni nel 2035». Attualmente l’assegno medio di una pensione d’anzianità è di 770 euro al mese. Nello stesso periodo si stima che la popolazione tedesca scenderà da quasi 82 a 80 milioni.
Ecco perché l’Italia fa meglio della Germania nella classifica della sostenibilità finanziaria: ha già adottato riforme previdenziali nel segno dell’austerità modellate sull’evoluzione demografica. Secondo Kochskämper, un innalzamento dell’età pensionabile dei tedeschi è dunque necessario e urgente per non oberare le generazioni future, le cui tasse finirebbero tutte in pensioni altrui. «Non toccherei invece il modo in cui le pensioni sono calcolate». L’attuale meccanismo tiene infatti in considerazione un fattore demografico: più persone si ritirano dal lavoro quell’anno e più basse saranno le pensioni e di conseguenza più alti i contributi per chi lavora. Dal sistema italiano mutuerebbe invece volentieri l’aggancio dell’età pensionabile all’aspettativa di vita: «Mi sembra un misura molto trasparente. Ed evita discussioni e scelte dolorose che si ripropongono ogni cinque o dieci anni». n
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Daniel Mosseri