Industria italiana: la crisi del «bianco»
La produzione e le vendite di elettrodomestici nel nostro Paese e in tutta la Ue sono in crisi profonda. La causa principale, aver sacrificato una storica realtà industriale del continente, cedendo marchi e fabbriche a multinazionali attente molto più al profitto, che allo sviluppo.
Lavatrice 199» la chiamano così la bestia nera dell’industria europea degli elettrodomestici. Un apparecchio che viene proposto al prezzo di soli 199 euro e che simboleggia la pressione low cost dei produttori asiatici su un settore importante, fiore all’occhiello del Vecchio continente, ma stremato da anni di domanda in picchiata e da una concorrenza extra Ue sempre più agguerrita. Quella degli elettrodomestici è l’ennesima industria continentale che rischia il declino, testimoniato da una serie di annunci di chiusure.
La Beko, il gruppo turco che ha preso il posto della Whirlpool in Europa, prevede l’eliminazione di quasi duemila posti di lavoro in Italia. La svedese Electrolux ha comunicato un taglio di 4 mila dipendenti nel mondo. La cinese Haier minaccia 113 licenziamenti alla Candy e già in Romania ha mandato a casa 400 lavoratori. L’ondata di sforbiciate non risparmia neppure i tedeschi, quelli delle lavatrici e delle lavapiatti più belle e costose: la Miele prevede 2.700 esuberi, il gruppo Bosch 3.500. Ecco che cosa ha dichiarato il vertice della Miele: «A differenza dei precedenti rallentamenti del mercato, questo è particolarmente evidente nel segmento premium. Quello che stiamo vivendo non è un declino temporaneo dell’economia, ma un cambiamento duraturo nelle condizioni generali che ci riguardano, a cui dobbiamo adattarci».
A causare la crisi del «bianco», come viene definito il settore che sforna lavatrici, frigoriferi, lavastoviglie e cucine, è un insieme di fattori congiunturali e strutturali. Normalmente il mercato europeo è abbastanza stabile, alimentato dalla sostituzione degli apparecchi vecchi con i nuovi. Ma i due anni del Covid hanno sparigliato le carte provocando un boom della domanda seguito da una frenata. Il mercato europeo degli elettrodomestici, bianchi compresi, si è impennato infatti dai 116,8 milioni di pezzi venduti nel ’20 ai 126 milioni del ’21, per poi scivolare ai 113 milioni del ’22 e ai 107,8 del ’23. Una caduta di oltre il 14 per cento nel giro di un biennio. Diminuzione tutto sommato prevedibile, ma amplificata dal crollo imprevisto delle vendite in Francia e in Germania. E poiché lo sbocco di questi prodotti è principalmente il Vecchio continente, la brusca caduta di due mercati così importanti è stata devastante. A questo fenomeno si è aggiunta la concorrenza sempre più forte dei gruppi extra-Ue, che utilizzano l’arma dei prezzi bassi per conquistare quote di mercato.
In dieci anni, dal ’13 al ’23, la quota dei grandi elettrodomestici importati dall’Asia in Europa è salita dal 27 al 35 per cento. Significativo il caso dei frigoriferi, con una quota di prodotti asiatici aumentata nel decennio dal 35 al 41 per cento. Meno vendite e più competizione: una doppia morsa che preme sulle aziende presenti in Europa. E stiamo parlando di un settore che poggia su 3.214 imprese e che dà lavoro, direttamente e indirettamente a oltre 983 mila persone. Questa situazione ha un pesante impatto sull’Italia, che per tanti anni è stata la principale fabbrica continentale degli elettrodomestici, seguita da Germania e Polonia: nel 2003 arrivammo a sfornare ben 30 milioni di pezzi, un record.
Poi il Paese si è spostato su produzioni di gamma più alta mantenendo comunque la seconda posizione nell’Unione per saldo commerciale del settore. Ma questo non ha messo al riparo i nostri stabilimenti dall’attuale calo della domanda. Nel terzo trimestre del ’24 la produzione di in Italia è scesa del 14,5 per cento rispetto ad un anno prima. È da tre anni che subiamo diminuzioni a doppia cifra: meno 16,4 per cento nel ’23, meno 18 nel ’22. Un fortissimo stress per un’industria da 114 miliardi di euro di fatturato che impiega 45 mila occupati diretti più 100 mila nell’indotto.
Il comparto del bianco italiano ha una storia affascinante che inizia negli anni Cinquanta. Grazie a un pugno di imprenditori visionari, come Giovanni Borghi della Ignis, Eden Fumagalli della Candy, i fratelli Zoppas, Antonio e Lino Zanussi, i prodotti made in Italy si diffusero in tutta Europa sbaragliando la concorrenza francese e americana. Ricorda Paola Guidi, giornalista specializzata del settore e autrice del libro Dalla casa elettrica alla casa elettronica: «Noi eravamo i campioni del bianco a livello mondiale, nel 1975 fabbricavamo oltre cinque milioni di frigoriferi, un milione in più rispetto agli Stati Uniti. Ma questo successo, basato su genialità e prezzi più bassi rispetto ai prodotti tedeschi e francesi, iniziò a scricchiolare per vari motivi: cattiva gestione manageriale, saturazione, guerra dei prezzi. Il passaggio dagli imprenditori alle multinazionali è avvenuto molto presto, fin dagli anni Settanta quando la Philips comprò la Ignis di Borghi, un imprenditore geniale, incapace però di tenere i conti in ordine, che depredò l’azienda». Fu la fine di una generazione straordinaria a provocare il declino dell’industria nazionale. «Le aziende iniziarono a investire meno» continua Guidi «e fecero fatica ad affrontare la saturazione dei mercati degli anni Novanta, aggravata dall’avvento delle grandi catene come Mediaworld e dalla conseguente guerra dei prezzi. La crisi delle aziende italiane si fece più pesante e aprì la strada ai grandi gruppi stranieri. A partire da Electrolux, che entrò nel capitale della Zanussi nel 1984 per poi prendersela tutta e diventare il maggior produttore in Italia».
Ora siamo entrati in una terza fase, che vede le grandi multinazionali occidentali entrare in crisi. «Colpa della finanziarizzazione, della perdita dei manager attenti all’industria sostituiti da chi ha spostato le produzioni in Cina e ha puntato più sui dividendi agli azionisti che sugli investimenti» è la tesi dell’esperta. E sul mercato si sono affacciati nuovi protagonisti che hanno fatto incetta di fabbriche europee. Come i cinesi, con la Haier con i suoi 39 miliardi di euro di fatturato (possibile acquirente della Electrolux) e con la Midea, 48 miliardi di giro d’affari. O come la Beko turca, che fa parte del gruppo Arçelik, presente in un centinaio di Paesi e con cinque stabilimenti ex Whirlpool in Italia.
Ma all’orizzonte c’è una nuova minaccia, cioè il trasferimento delle produzioni di questi colossi dall’Europa verso la Romania, l’Egitto e altre nazioni in via di sviluppo. Intanto, la Cina sta affrontando una pressione crescente a causa dell’aumento dei costi del lavoro e soffre di un minaccioso eccesso di produzione. Come uscirne? Applia, l’associazione europea dei produttori di elettrodomestici, cerca di convincere l’Ue che occorre difendere il settore, visto il suo peso economico e sociale, e fa leva sui temi «green»: nel suo «Manifesto per un’Europa equa e sostenibile 2024-2029», Applia sostiene che «per ridurre e ottimizzare il consumo di energia riducendo le emissioni di carbonio, l’Europa deve garantire una diffusione generale delle tecnologie sostenibili avanzate per tutti i cittadini, compresi quelli che non possono permettersele. Premi e incentivi devono essere messi in atto per rendere accessibili a tutti prodotti ad alta efficienza energetica».
L’associazione fa notare che circa il 55 per cento delle famiglie europee non può permettersi di acquistare una lavastoviglie. In Italia il governo ha aperto un tavolo di crisi presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy e ha introdotto con l’ultima Finanziaria un fondo da 50 milioni che prevede incentivi da 100 a 200 euro per la sostituzione dei vecchi modelli con quelli più efficienti, purché prodotti in Europa. Un provvedimento accolto con favore dalle imprese. «Siamo soddisfatti dell’approvazione dell’emendamento alla legge di bilancio, sostenuto dalla nostra associazione» dice Marco Imparato, direttore generale di Applia Italia. «Anche se questa misura da sola non può risolvere tutti i problemi, riteniamo che l’istituzione di un fondo per il rinnovo degli apparecchi rappresenti una misura lungimirante. Si tratta di un intervento strategico per sostenere le famiglie in difficoltà, particolarmente colpite dal caro-bollette, e per rafforzare l’intera filiera italiana degli elettrodomestici, nell’ottica dell’efficientamento energetico». Il problema è che il provvedimento, pur importante, non potrà da solo colmare il divario di competitività che le produzioni italiane ed europee affrontano rispetto ai gruppi extra-Ue. I nostri stabilimenti rappresentano un patrimonio di competenze, siamo ancora un protagonista del settore grazie alla filiera dei componentisti. E non dimentichiamo che nel segmento delle cottura esportiamo il 90 per cento della produzione. Ma non basta. Occorre che l’Europa decida che cosa vuol fare di questa industria: la vuole preservare o no? Bruxelles, batti un colpo.