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Industria

Automotive, Italia in prima fila per rimandare lo stop del 2035

Il ministro Adolfo Urso propone di anticipare la revisione dello stop ai motori termici, evidenziando rischi economici e occupazionali per l'industria automobilistica europea

L’idea del ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso di anticipare all’anno prossimo la revisione della scadenza del 2035 riguardante lo stop alla produzione dei motori termici è ottima. La presenterà il prossimo 25 settembre in Europa al Consiglio per la competitività con questo meme: “Rivedere subito la scadenza, l’industria rischia il collasso”. Non soltanto quella italiana dell’indotto e della componentistica, quanto quella europea, come dimostra il caso Volkswagen. L’attuale situazione è assurda: la politica europea, che dovrebbe agire nell’interesse e su mandato dei cittadini, ha fatto in modo che possano essere costruite le automobili che ben pochi automobilisti vogliono. Un piano attuato non soltanto concedendo aiuti e finanziamenti a chi apre fabbriche asservite alla mobilità elettrica, ma soprattutto punendo pesantemente chi realizza e importa quelle ritenute inquinanti, basandosi sulle emissioni e sulla quantità di esemplari venduti. Avrete fatto caso che numerosi modelli sono spariti dai listini, mentre altri vengono venduti omologati come autocarro per aggirare le multe, rinunciando ai sedili posteriori. Se non è follia poco ci manca, perché dal primo gennaio prossimo, quando i limiti di inquinamento saranno ulteriormente ridotti, scatteranno multe salatissime. Se il limite del 2035 è tragico, nessuno degli attuali amministratori delegati di gruppi automotive sarà ancora al suo posto ad affrontarlo e il mercato ha già dimostrato l’impossibilità di seguire la rotta suicida tracciata dall’ex commissario Frans Timmermans. Invece, gennaio 2025 dal punto di vista industriale è praticamente “domani” e la questione diventa rovente. Le cose stanno così: il limite delle emissioni è stato finora di 116 gr/km di anidride carbonica, ma vendendo anche veicoli elettrici le multe venivano evitate. Dal 2025 il limite scende a 94 gr/km e risulta praticamente irraggiungibile per quasi tutti i costruttori. E per ogni grammo che eccede il limite massimo vanno pagati 95 euro moltiplicati per il numero di vetture. Come amministratore delegato di Renault e presidente di Acea, Luca de Meo ha chiesto più flessibilità nelle fasi per la transizione ecologica, calcolando che le multe 2025 per i costruttori arriverebbero alla cifra record di 15 miliardi. L’alternativa delle case è essere costrette a costruire più veicoli elettrici che però resteranno invenduti, oppure lo saranno a prezzi troppo bassi per coprire i costi. Il manager ha dichiarato: “Se per l’elettrico ci saranno le richieste attuali, l’industria europea dovrà probabilmente pagare quelle multe enormi o rinunciare a produrre circa 2,5 milioni di veicoli”. Morale: catastrofe occupazionale, il flop elettrico causa la fine di progetti legati alla sua filiera, dalle grandi fabbriche di batterie ipotizzate in Europa a quelle delle colonnine di ricarica, inevitabilmente mostrando il fianco debole all’esportazione cinese. Inoltre, la prematura e inutile eliminazione dei motori diesel di ultima generazione, unita alle politiche di forti limitazioni alla circolazione, fino agli incentivi statali, ha creato una situazione insostenibile dal punto di vista commerciale, con vetture ancora sanissime e relativamente moderne ritirate a prezzi ridicoli che prendono la via dell’est e dell’Africa. Intanto, secondo la società di analisi del mercato Dataforce, i costruttori sono molto lontani dagli obiettivi di vendita che avevano previsto. Ford, per esempio, aveva previsto di vendere veicoli a batteria per il 35% della produzione e nel 2024 non arriverà al 14%. Volkswagen minaccia la chiusura di stabilimenti anche perché da un sognato 36%, probabilmente non supererà il 15%. Tra gli errori più gravi, pensare che la totalità degli automobilisti fosse potenzialmente interessata o nelle condizioni di passare all’elettrico, mentre le esigenze private hanno dimostrato ben altro e la vendita di autovetture a batteria sta diminuendo. Mancanza di libertà dalle colonnine, prezzi alti e un divario elevato tra costo e valore effettivo i motivi più frequenti che portano a scegliere la soluzione benzina-elettrico. Qualche giunta comunale sta già pensando di inasprire le limitazioni per costringere a passare alle auto a batteria, ma l’invecchiamento della popolazione e le abitudini delle nuove generazioni, peraltro formate da persone che non si possono permettere una vettura elettrica, portano a rinunciare all’auto privata, fatto che rende felici i sindaci più verdi ma concorre a uccidere l’industria. Non ci sono scuse, non è questione di senno di poi e neppure di buone intenzioni, bensì di aver pervicacemente voluto mettersi contro le leggi della fisica sposando una tecnologia ancora per buona parte immatura riguardo alla produzione e conservazione dell’energia. Se avessimo lasciato che fosse il mercato a decidere, oggi avremmo magari già visto vetture diesel Euro7, più auto ibride, costruttori non vittime di ricatti legalizzati e avremmo una scelta maggiore in termini di modelli da cui scegliere. Così, probabilmente, non sarebbe neppure servito parlare di dazi per le auto cinesi.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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