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Economia

Col caro-Iva consumi a rischio

Meglio l'aumento delle accise sul tabacco che stangare tutti gli acquisti, libri compresi

Il nome è sinistro e stride all’orecchio come alla tasca, “accise”: eppure l’incremento di questa voce fiscale che grava sulle sigarette – allo studio del ministero dell’Economia nel quadro delle misure correttive per la nostra finanza pubblica imposte dall’Unione europea – potrebbe essere il male minore.

Un aumento delle accise che potrebbe generare un incremento di 10-20 centesimi del prezzo a pacchetto su tutte le sigarette non sarebbe nulla di nuovo né di drammatico, sarebbe semplicemente una “manovrina” comunque capace di portare nelle malandate casse dello Stato circa 200 milioni. Lasciando in pace musei e libri, che sarebbero invece colpiti dalla principale alternativa pure allo studio, cioè l’aumento dell’Iva.

Nella perenne campagna elettorale italiana, dopo il diktat renziano contro ogni genere di rincaro fiscale (tanto la colpa sarà di Gentiloni) il ritocco delle accise sarebbe insomma assai più proficuo sia per l’erario che per la salute degli italiani del tanto pubblicizzato progetto di aumento di 1 euro a pacchetto, un esempio di demagogia pura: non serve un esperto di finanze per capire che un approccio simile avrebbe effetti pesanti sulle vendite, neutralizzando di fatto le (presunte) entrate.

E contemporaneamente sarebbe un regalone al contrabbando e alla contraffazione, che immettono sul mercato sigarette a prezzi stracciati, ovvero il migliore incentivo al fumo intensivo.

In verità l’ultimo vero aumento di tasse sul settore risale a circa due anni fa e da allora alcuni aggiustamenti hanno colpito in automatico solo le sigarette più care.
Per di più, il nostro singolarissimo sistema di tassazione, tassa i prezzi e non le quantità: come se le sigarette che costano meno facessero meno male di quelle più care.

Viceversa l’aumento delle accise è il classico male minore. Prudente, perequativo, insomma “meno peggio” di alcune alternative, come la temibile possibilità di aumentare l’Iva dal 22 al 23% (se non al 24!), colpendo indiscriminatamente tutti i prezzi, persino quelli di libri o musei.

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Redazione