La storia americana di più di mezzo secolo, dal comunismo da salotto degli anni Trenta fino alla nascita di Occupy Wall Street, scorre tumultuosa nelle pagine di I giardini dei dissidenti (Bompiani, 544 pagg.), nono romanzo di Jonathan Lethem.
“I lettori di lunga data di Lethem non saranno sorpresi di apprendere che New York City è il set del suo nuovo romanzo”, scrive il New York Times. “I lettori potranno però essere delusi o sollevati di non trovare supereroi, nessun alieno, nemmeno un sedicente detective privato con la sindrome di Tourette”.
Lo scrittore statunitense è infatti famoso per unire nei suoi scritti una gran varietà di generi e registri, passando con disinvoltura dalla fantascienza al giallo. Protagoniste ora sono due donne straordinarie, che danno il via a un viaggio lungo più di cinquant’anni che racconta cosa significa essere radicali nella politica, ma partendo dal destino di una famiglia.
Rose Zimmer, ebrea polacca intransigente con sé e con gli altri, regina-despota dei Sunnyside Gardens nel Queens, è una comunista irriducibile, che s’impone a tutti, vicini, famigliari e membri del partito con l’intransigenza della sua personalità e l’assolutismo delle sue convinzioni. Sua figlia Miriam è una sognatrice hippie che predilige, per sfuggirle, la controcultura del Greenwich Village. Accanto a loro, come satelliti in movimento, mariti, figli, amanti, nipoti e, sullo sfondo, un’America che scalpita, senza sapere come maneggiare tanto radicalismo.
Varcati i 50 anni lo scorso febbraio, Lethem sembra offrire la chiave per entrare nel racconto della sua vita (cresciuto in una comune di Brooklyn, è figlio di un’attivista politica di famiglia ebrea e di un artista). Ma la finzione narrativa lo fa scavare in profondità nella storia recente del suo Paese, al di là di sogni e mistificazioni.
“I giardini dei dissidenti tesse insieme senza problemi tre generazioni, ma non si pone come un racconto epico multigenerazionale, né è afflitto dal desiderio di sembrare il prossimo grande romanzo americano”, commenta ancora il New York Times. “È un libro intimo“.
“Ci sono alcuni episodi potenti nel romanzo di Lethem – il viaggio di Miriam in Nicaragua, le lettere tra Miriam e suo padre, il finale notevolmente efficace – ma altri cadono piatti, farciti come sono di dogma e sottigliezze politiche”, scrive il Guardian. “Lethem è da applaudire per lo spirito che sta dietro questo romanzo. Si percepisce una sorta di messaggio urgente e necessario in un momento in cui Wall Street è ancora una volta pronta a dare i suoi tacchi in faccia al 99% delle persone […]. Alla fine, però, la politica surclassa la trama e, chi è alla ricerca di una commedia spassosa e folle come Testadipazzo (arrivato in Italia anche col titolo di Brooklyn senza madre, ndr) o di un romanzo di formazione commovente come La fortezza della solitudine, verrà istruito, certo, ma meno intrattenuto”.