Damien Rice: la recensione di "My favourite faded fantasy"
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Damien Rice: la recensione di "My favourite faded fantasy"

Il cantautore irlandese torna dopo otto anni di silenzio discografico con un album intenso e ispirato, prodotto da Rick Rubin


"A volte devi allontanarti da ciò che ami per amarlo di nuovo". Così Damien Rice ha spiegato gli otto anni intercorsi tra il precedente 9 del 2006 e il nuovo My favourite faded fantasy, terzo, attesissimo capitolo della sua carriera. 

Considerando che l’album di debutto, l’eccellente O, risale al 2002, è evidente come il cantautore irlandese non segua i frenetici ritmi del mercato discografico, che impone uscite sempre più ravvicinate, ma decide di pubblicare un album solo quando sente di avere davvero qualcosa da dire.

La lunga attesa è stata premiata con un lavoro che non stravolge quanto di buono ha mostrato finora l’artista, ma che arricchisce il suo austero rock da camera con una tavolozza di colori più ampia.

Il disco risente inevitabilmente della rottura umana ed artistica di Damien con Lisa Hanningan e dell’esilio volontario in Islanda, dove si è lasciato ispirare dai suggestivi panorami di  Reykjavik.

In My favourite faded fantasy si avverte la mano dell’esperto Rick Rubin, uno dei più grandi produttori degli ultimi trent’anni, che ha impreziosito le ballad minimali di Rice di sonorità ricche e piene, in modo da esaltare la componente emotiva delle canzoni.Ecco gli otto brani che compongono l’album.


1) My favourite faded fantasy:  Una malinconica chitarra elettrica introduce la voce in falsetto del cantante. Il brano, intenso ed emozionante,  si arricchisce a poco a poco di strumenti, con un crescendo di archi e di arrangiamenti. “Tu potevi essere il mio sapore preferito da avere sulla lingua/conosco qualcuno che potrebbe darmi amore, ma non mi basterebbe/tu potevi essere la mia faccia preferita, il mio nome preferito/conosco qualcuno che potrebbe recitare la parte, ma non sarebbe lo stesso”.


2) It takes a lot to know a man : Il brano, scandito da archi ariosi, dal pianoforte e da un ritmo marziale,  dura quasi dieci minuti e si sviluppa in modo irregolare, con rallentamenti e accelerazioni che tengono sempre alta l’attenzione dell’ascoltatore. Quando sembra che la canzone  stia per concludersi, It takes a lot to know a man si trasforma in un suggestivo pezzo strumentale.  Gli arrangiamenti di Rubin sono da applausi.


3) The greatest bastard: L’arpeggio di chitarra e la voce quasi sussurrata di Rice introducono The greatest bastard, che si riallaccia alle produzioni precedenti del cantautore irlandese. Il refrain, ricco di pathos  e di archi, esalta la sua estensione vocale. “Sono il più grande bastardo che conosci/l’unico che ti ha lasciato andare/l’unico a cui non sopporti di far tanto male/Stavamo bene quando stavamo bene/quando non c’erano fraintendimenti”.


4) I don’t want to change you: Se l’obiettivo di un artista è quello di regalare emozioni, Rice l’ha raggiunto pienamente in questa splendida power ballad schietta e minimalista che, seppure non originalissima nella struttura, arriva dritta al cuore. Non a caso la canzone è stata scelta come primo singolo dell’album.


5) Colour me in: Si ha l’impressione di ascoltare un caro amico che canta con la chitarra davanti a un falò in un languida notte d’estate. Probabilmente non avete un amico con il talento cristallino di Rice, ma l’impressione di calore e di intimità quando si ascolta Colour me in è la stessa. Gli arrangiamenti qui sono ridotti al minimo per esaltare la voce del cantautore, fino all’ immancabile trionfo di archi.


6)The box: La voce di Rice è in primo piano, accompagnata solo dalla chitarra e da un pianoforte quasi impercettibile. Gli immancabili archi e un finale con un muro del suono ispirato a Phil Spector, che costringe Damien a usare tutta la sua voce, conferiscono al brano un’atmosfera melodrammatica. “Non offrirmi amore con un intero libro di regole/quel tipo di amore è per gli stupidi/ e io ho chiuso con tutto questo e con i miei motivi per allontanarmi/i miei motivi per voler cambiare/i miei motivi per tutto si sono persi con te”.


7) Trusty and true: Un folk tradizionale, della durata di oltre otto minuti, che termina con un coinvolgente coro gospel:  “Come alone, come with fear, come with love, come however you are, just come”.


8) Long Long way: La melodia è molto simile a uno dei brani migliori dell’album  O, Cold water, quasi un tributo al suo folgorante debutto, che nel 2002 ha venduto due milioni e mezzo di copie.


My favourite faded fantasy conferma le singolari qualità di compositore , di musicista e di cantante di Damien Rice, vero maestro nella sottile arte di esprimere la gioia di essere tristi.

Le otto canzoni dell’album sono gemme da apprezzare  nel tepore del focolare domestico, meglio se in dolce compagnia.  Se proprio vogliamo trovare qualche difetto, la struttura delle canzoni è spesso ricorrente e i testi non sono sempre all’altezza della musica, ma l’intensità e le emozioni che riesce a trasmettere Damien Rice sono uniche. Se eravate alla ricerca di un disco che vi riconcili con la musica di oggi, questo è My favourite faded fantasy.

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Gabriele Antonucci