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Leonardo ed i suoi libri

Una mostra raccoglie i 200 libri della biblioteca di Leonardo Da Vinci. Ecco cosa leggeva il genio

Da dove nascono le prospettive, i fondi rocciosi e sfumati dei dipinti di Leonardo Da Vinci? Delle giovanili Annunciazione e Adorazione dei Magi degli Uffizi o della Vergine delle rocce del Louvre o di altri capolavori come la Gioconda? Adesso lo sappiamo. Dal suo animo di scienziato, certo, ma soprattutto dagli studi di prospettiva e matematica trovati nei trattati di Leon Battista Alberti, come il De Pictura, che fondava la pittura su principi matematici. O nei trattati di Archimede, di Francesco di Giorgio Martini o ancora negli scritti matematici di Luca Pacioli, di cui era amico. Basta guardare il reticolato geometrico che sta alla base dell’Adorazione dei Magi per capire come la matematica gli servisse e quanto il genio di Vinci disprezzasse Botticelli per la sua pittura di superficie (per noi visionaria e altrettanto bella).

Leonardo diceva con orgoglio di essere un uomo «sanza lettere», ma di «sperientia». Non sapeva il latino, non aveva alle spalle studi umanistici, ma la sua intelligenza e curiosità del mondo lo avrebbero portato a essere un lettore appassionato e uno degli uomini più colti del Rinascimento. Tanto che Benvenuto Cellini lo ricorderà, dopo la scomparsa, come «un grandissimo filosofo». Il latino Leonardo lo imparerà a 40 anni, ma forse questo complesso sarà la molla che lo spingerà in tutti i campi del sapere, rifornendosi di libri sino a diventare un accanito collezionista. Opere di autori antichi, medievali e cinquecenteschi, che gli servivano per la sua multiforme attività di artista ingegnere, architetto, pittore e soprattutto scienziato e inventore.

Riuscirà a formare nell’arco della vita una grande e fornita biblioteca di oltre 200 volumi (ora visibile, per la prima volta, in una mostra a Firenze): un numero eccezionale per i tempi, quando le collezioni librarie delle famiglie non arrivavano alla trentina. Libri in volgare e in latino, inizialmente manoscritti, poi nel corso del Cinquecento a stampa. Leonardo li teneva con cura in scaffali o li riponeva in casse quando viaggiava, annotando i nomi degli autori in lunghe liste nei suoi vari Codici (Codice Atlantico, Codice di Madrid II), cioè nelle circa 5 mila carte che ci ha lasciato. Liste vergate con la strana scrittura da destra a sinistra, che si è scoperto essere anche destrorsa, come ricorda Marco Cursi, che ha trovato una sessantina di testimonianze, tra la giovinezza e il 1510, nel Codice Atlantico e nella collezione dei disegni del Castello di Windsor. Forse l’artista non era neppure mancino, ma usava anche la «destra mano».

Della biblioteca «perduta» è giunto fisicamente sino a noi un solo libro, con dodici postille di mano di Leonardo: il Trattato di architettura e ingegneria di Francesco di Giorgio Martini del 1478-81, conservato alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. Ma che libri leggeva e quanto hanno influito sulla sua personalità, cultura, opera? Libri letterari e scientifici, grammatiche, trattati di ingegneria, architettura, anatomia, medicina, tattica militare. Tra i primi, raccolti a Firenze sin dai tardi anni Settanta del Quattrocento, dopo la formazione nella bottega del Verrocchio e l’inserimento nell’ambiente mediceo, ci sono Le Metamorfosi di Ovidio, da cui Leonardo trascrive nel Codice Atlantico (195r) alcuni brani dei libri XIII e XV. Da Ovidio, citato nel volgarizzamento trecentesco di Arrigo de’ Simintendi da Prato, l’artista trae una miriade di nozioni che alimenteranno la sua fantasia; tra tutti resta fondamentale il concetto del «tempo consumatore delle cose» e della natura incalzata da una perenne trasformazione. Ecco i volti scavati dei vecchi dell’Adorazione dei Magi, del San Gerolamo della Pinacoteca Vaticana, le espressioni grottesche e lacerate delle figure dei disegni, in contrasto con la bellezza di angeli e madonne.

Altro testo fondamentale per il genio è la Storia Naturale di Plinio il Vecchio nella versione volgare di Cristoforo Landino, edito nel 1476. Leonardo lo consulterà sempre, dagli anni fiorentini a quelli milanesi, quando, nel 1498, annoterà nelle sue carte «Allega Plinio». Lo scrittore latino gli fornirà elementi utili nelle scienze, dalla cosmologia alla geologia, dalla botanica alla mineralogia, e gli confermerà il concetto della transitorietà dell’ingegno umano e della perdita inesorabile dei capolavori antichi, come la Venere scolpita da Prassitele. «Cosa bella mortal passa e non dura» scrive nel 1493 (Codice Forster III, f. 72 r) riportando un verso di Petrarca sotto uno schizzo di una vecchia raggrinzita. Petrarca con Dante e Boccaccio sono letture costanti sin dall’inizio. Del Petrarca, che cita in una lista di libri del periodo sforzesco ma che conosceva già prima, più che i temi amorosi gli interessano le meditazioni filosofiche a soggetto naturalistico. Dal Trionfo del tempo trascrive nel 1493, in un foglio ora nella Royal Collection del Castello di Windsor, il verso 112: «Passano nostri triunfi, nostre pompe» ancora sul tema della caducità delle cose umane. La Commedia di Dante contribuisce a irrobustire il suo immaginario e a fornire contenuti dottrinali e scientifici, mentre il Decameron di Boccaccio è citato in un foglio di favole e facezie.

A Firenze a imporsi come basilari nella formazione sono anche i libri di abaco, aritmetica, arti meccaniche. Il già citato Trattato di architettura e ingegneria del senese Francesco di Giorgio Martini, i Trattati di Archimede utili per la ricerca di fondamenti matematici della prospettiva e della pittura. Altrettanto importante l’Ex ludis rerum mathematicarum di Leon Battista Alberti, schedato da Leonardo nel Codice di Madrid II come «libro di misura», che gli serviva per gli studi di meccanica, idraulica, ingegneria, navigazione. E, dello stesso autore, il De pictura, la fonte maggiore per gli scritti leonardeschi su pittura e prospettiva. Studi che proseguirono nel periodo milanese con altri «altori moderni», gli «autori», raccolti a decine, in parallelo agli interessi sempre più vasti dell’artista-scienziato.

La svolta con la lingua e con il latino avviene però a Milano, dal 1482, quando Leonardo decide di diventare anche scrittore. Comincia a cercare libri a stampa in quantità, importanti per i contenuti, ma anche per l’acquisizione di vocaboli ed espressioni tecniche, come il De re militari del 1483 dell’umanista Roberto Valturio o il Fasciculo de medicina dello stesso autore. O come la Cosmographia di Claudio Tolomeo nell’edizione del 1486, corredata da tavole cartografiche che Leonardo userà come modello per le sue di anatomia. Per ampliare il suo vocabolario niente di meglio del Vocabolista di Luigi Pulci, un piccolo prontuario mitologico accompagnato da un elenco di parole dotte, trascritte nel Codice Trivulziano che rivela, a distanza di secoli, l’attività e le letture milanesi di Leonardo tra il 1488 e il 1490. Leggendo le parole di altri grandi, ha così trovato anche le proprie.

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