Cosa regalare a uno snob: un saggetto di Walter Benjamin
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Cosa regalare a uno snob: un saggetto di Walter Benjamin

Un esperto di semiotica potrebbe spiegarci che il titolo sopra è, simultaneamente, un atto performativo diretto e un atto ostensivo, nel senso che ciò che precede i punti è sia una domanda che un titolo di ciò che dopo i …Leggi tutto

Un esperto di semiotica potrebbe spiegarci che il titolo sopra è, simultaneamente, un atto performativo diretto e un atto ostensivo, nel senso che ciò che precede i punti è sia una domanda che un titolo di ciò che dopo i punti può essere sia una risposta che un attributo.

Spiego: Walter Benjamin scrisse intorno al 1928 un saggio dal titolo Cosa regalare a uno snob; contestualmente, se vi doveste trovare nella condizione di non saper cosa regalare a uno snob potreste regalargli un saggio di Walter Benjamin.

Il saggio inizia così: «Fare un regalo a uno snob significa impegnarsi a una partita a poker. L’anima dello snobismo è infatti il bluff».

Avrete notato che gli snob non fanno regali o, se ne fanno, si tratta di quell’ordine di oggetti che incarnano attraverso la miseria e la superfluità del proprio apparire l’idea dell’indigenza di voi che li ricevete più che quella della loro superiorità a voi su tutta la linea, di cui sono certi. Non ci passi per la testa tuttavia che lo facciano per delicatezza: non li conosceremmo come snob, se così fosse. L’understatement che il ricco e snob applica al gesto di fare un regalo è un capolavoro di ipocrisia: il denaro è cosa volgare, quando lo si ha, perciò conta il pensiero. («Compiuti questi convenevoli sociali, Montecristo si fermò girando intorno quello sguardo sicuro, pieno di quella particolare espressione della gente di società, e particolarmente di quella snob, sguardo che sembra dire: “Io ho fatto il mio dovere cogli altri, facciano gli altri il loro con me”» scriveva Alexandre Dumas).

Noi, al contrario, e intendo noi proletari cresciuti con la convinzione di essere sempre in debito e che una comunione sia l’occasione per spendere l’equivalente di quanto la Norvegia spende in psicofarmaci o il Comitato Olimpico in fiammiferi, ci siamo sempre presentati in casa degli snob con cornucopie di regalie, o – il che fa lo stesso – con un oggetto discreto ma da tutti (persino da noi) riconosciuto come costosissimo, lussuoso, per palati fini. Noi sappiamo che non è il pensiero che conta, e vogliamo urlarlo a tutti. Ciononostante, lo snob non sarà mai contento della nostra scelta.

Nel romanzo La morte felice di Albert Camus, Zagreus, «l’uomo che ha capito che, per vivere, bisogna essere ricchi, che si dedica tutto quanto a questa conquista del denaro, ci riesce, vive e muore felice», dice a un certo punto: «Ebbene, ho notato che in certe persone superiori c’è una specie di snobismo spirituale che le porta a credere che il danaro non sia necessario alla felicità. È stupido, è falso, e, in un certo senso, vile».

Secondo Benjamin c’è un modo per rispondere a questa viltà. Posto che sottrarsi a ogni occasione del genere è sempre la scelta più sana, «Donare è un’arte pacifica. Ma nei confronti dello snob va trattata in maniera marziale».

In virtù di ciò, «non si potrebbe commettere errore più grande che mettersi sulla difensiva e domandarsi timidamente: Cosa avrà da obiettare a un necéssaire da viaggio? Cosa dirà di questo modello di pigiama? Che faccia farà a un Cointreau?»

Benjamin non si accontenta della versione agonistica del dono, quella teorizzata da Marcel Mauss e che fa dire a Roland Barthes nei Frammenti «Il dono rivela a questo punto la prova di forza di cui esso è lo  strumento: “Io ti darò più di quanto tu dai a me, e così ti dominerò”»: essendo un filosofo di prim’ordine, Benjamin massimalizza il genio del “povero” – o del ricco non snob – con una specie di arma omeopatica: «Gli snob vanno provocati. Quanto più grande è il disprezzo con il quale usano ispezionare i regali natalizi tanto più superfluo dovrà essere il dono prescelto».

L’atmosfera è più quella dei film di Buñuel, di quell’Angelo sterminatore in cui gli invitati, tutti snob alto-borghesi che arrivano a mani vuote, finiranno per raccogliere i propri escrementi dentro preziosissimi vasi cinesi.

È qualcosa di molto più complesso e aguzzo rispetto al potlach, che pure Benjamin doveva conoscere bene, quella figura rituale dell’economia del dono studiata dagli antropologi per cui ad un oggetto donato e dissipato deve corrispondere, in una successiva transazione, un oggetto di pari o maggior valore da parte di un altro attore sociale, affinché sia sancita la sua superiorità materiale.

Cosa regalare a uno snob vuol dire quindi non cosa regalargli per farlo contento o per non sfigurare al suo cospetto, ma come escogitare un dono che susciti in lui contentezza e insieme stabilisca anche a sua insaputa il senso della nostra superiorità morale rispetto a lui; come dargli l’illusione di veder riconosciuta la sua nobiltà, di cui è privo come l’etimologia della parola che gli corrisponde rivela, e insieme erodere, pervicacemente, ingegnosamente, la sua vanagloria.

C’è a ben vedere un oggetto che più di tutti è in grado di aiutarci: un libro: «Ancora più importante del libro scelto – nel fare regali agli snob non si può essere più aggressivi, più scaltri che coi i libri – è il gesto con il quale restituiremo come una palla da tennis la compita ispezione del suo sguardo».

Gli oggetti parlano, per Benjamin, anzi, di più: hanno una vita propria, della quale desiderano riprendersi l’autonomia: per questo, come dice altrove, il sogno della merce è «liberarsi dalla sua utilità». Il collezionismo è una di queste pratiche. L’altra è questo modo sottile di liberarla: usarla per farle dire, donandola a chi non può capirla, la verità che le parole, i rapporti sociali, l’opportunità urbana e le nostre facce non possono dire.

Massimo della raffinatezza e della crudeltà: regalare allo snob Cosa regalare a uno snob.

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Daniela Ranieri

Daniela Ranieri vive a  Roma, anche se si domanda perché ciò dovrebbe avere importanza in questa sede. Ha fatto reportage e documentari per la tv. Ha fatto anche la content manager, per dire. Vende una Olivetti del '79, quasi  nuova. Crede che prendere la carnitina senza allenarsi faccia bene uguale. Ha pubblicato il pamphlet satirico "Aristodem. Discorso sui nuovi radical chic" e il romanzo "Tutto cospira a tacere di noi" (entrambi Ponte alle Grazie) 

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