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Calcio

Dialoghi pubblici e trasparenza: così si salva il Var

Sotto accusa per errori ed interpretazioni, è svanito l'effetto fiducia dei primi mesi. C'è chi lo abolirebbe, ma è un passo irreversibile a patto di essere cambiato - SERIE A, IL CAMPIONATO DEI VELENI

C'è stato un tempo in cui l'effetto-Var sembrava davvero aver cambiato per sempre il calcio italiano e il suo ecosistema fatto di veleni e polemiche. Natale 2017. "L'esperimento procede bene, forse anche meglio del previsto" diceva trionfante l'allora designatore, Nicola Rizzoli, fiero di presentare dati secondi cui in pochi mesi, grazie all'introduzione della video assistenza, le ammonizioni per proteste in campo erano calate di un terzo. La ragione? I calciatori si fidavano delle decisioni più di prima, convinti che il Var avesse ridotto gli errori, azzerando quelli su dati geografici e oggettivi come il fuorigioco.

Sembra passata un'era geologica. Rizzoli non è più il designatore della Serie A e, soprattutto, nessuno si fida più del Var che è diventato progressivamente la nuova frontiera del sospetto. Con l'aggravante che mentre prima si concedeva allo sventurato arbitro almeno il beneficio del dubbio ("Un uomo solo con una frazione di secondo per decidere"), ora dalla testa della gente è impossibile togliere l'idea che la disparità di utilizzo del Var sia frutto di scelte e non di interpretazioni.

Perché per quel rigore sì e per l'altro no? Cosa ha spinto chi stava nella sala con i televisori a intervenire una volta e a non farlo quella successiva? Come si regola questo benedetto protocollo, scritto dall'IFAB (l'organismo che una volta all'anno detta le linee di funzionamento del gioco del calcio) secondo cui la "moviola in campo" può scattare solo gli errori gravi ed evidenti e che, talvolta, pare essere applicato come un semaforo in tilt? Che prima o poi si arrivasse a una crisi di rigetto era prevedibile e previsto; del resto era successo anche nel mitologico sport professionistico americano dove sono avanti di almeno un paio di decenni e dove le regole sono più volte cambiate fino ad arrivare a un punto di caduta accettato da tutti.

Quello che non si poteva immaginare era che la confusione fosse alimentata anche da chi più di tutti dovrebbe avere le idee chiare. In questo senso non hanno reso un gran servizio Rizzoli prima e Rocchi adesso, il nuovo designatore che ha ereditato dal predecessore una squadra arbitrale da far crescere e maturare quasi senza rete di protezione, giovane, inesperta e incline a sbagliare. Ha detto Rocchi all'inizio della stagione che la soglia per concedere il rigore sarebbe stata "alta" mettendo al bando i cosiddetti "rigorini". Ha ribadito la centralità dell'arbitro di campo e la necessità di relegare il Var a mero supporto per evitare gli errori clamorosi, tutto nascosto sotto l'affermazione che il calcio va valutato in campo e non davanti a uno schermo.

I fatti gli stanno dando torto e il cortocircuito di aver sentito definirsi "assolutamente soddisfatto" al termine di una domenica in cui, per due episodi concettualmente quasi identici, a San Siro il Var ha richiamato l'arbitro alla revisione all'Olimpico ha taciuto, è risultato evidente anche ai difensori ad oltranza della tecnologia. Quattro anni dopo quel bilancio pieno di speranze e quell'aperura di credito (non illimitata) si sono formati due partiti: c'è chi vorrebbe più Var, introducendo la chiamata dalle panchine nei casi dubbi, e chi ne vorrebbe meno. Anzi, lo limiterebbe se possibile al solo fuorigioco dove gli errori sono praticamente spariti e gli unici ad avere una crisi di identità sono gli (ex) guardalinee, ora costretti a fare spesso da spettatori non sventolanti.

Sia la prima che la seconda soluzione non sono praticabili. Rendere la video assistenza una moviola in campo permanente realizzerebbe il sogno proibito dei bar sport di mezza Italia ma snaturerebbe il gioco del calcio. Abolire il Var non è nemmeno pensabile, visto che la FIFA sta studiando da mesi la sua forma light perché possa essere utilizzato anche laddove le partite hanno una copertura televisiva limitata e non solo nella ricca Europa. In mezzo sta la virtù, cioè la pretesa che almeno chi lo fa per lavoro non aggiunga confusione a confusione. Da sempre si dice che gli arbitri dovrebbero poter parlare per spiegare e spiegarsi: la realtà è che sarebbe un errore immaginare il direttore di gara in sala stampa ad argomentare a caldo il perché di un rigore o di un cartellino rosso. Ma l'operazione trasparenza non è più rinviabile. E, dunque, non si capisce perché – come accade in altri sport – non sia possibile ascoltare i dialoghi tra fischietto e sala Var, leggere i referti (lo fanno in Spagna in tempo quasi reale) e avere un appuntamento fisso settimanale in cui il designatore presenta i casi della giornata e li chiarisce. Anche ammettendo l'errore e non rendendo la squadra arbitrale una specie di circolo Fonzie in cui si dice tutto tranne le tre paroline magiche: "Scusate, abbiamo sbagliato".

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Giovanni Capuano