Home » Attualità » Sport » Alessandra Campedelli, ex coach della nazionale iraniana: «Le mie ragazze a Teheran sotto le bombe»

Alessandra Campedelli, ex coach della nazionale iraniana: «Le mie ragazze a Teheran sotto le bombe»

Alessandra Campedelli, ex coach della nazionale iraniana: «Le mie ragazze a Teheran sotto le bombe»

Dall’Iran al ritorno in Italia: la ex ct Alessandra Campedelli racconta la paura delle sue atlete, intrappolate tra guerra, regime e silenzi imposti

Le sente quasi ogni giorno perché il legame con le sue ragazze è rimasto fortissimo. E il sentimento che arriva da Teheran, è uno solo: la paura. Alessandra Campedelli ha allenato la nazionale femminile dell’Iran dal 2022 al 2023, ha cercato di costruire con loro un rapporto ma confessa che non sempre ci è riuscita, perché le ragazze cresciute in quel mondo sono condizionate in tutto e anche comunicare a volte diventa difficile. Non si tratta di mancanza di coraggio, ma della paura che il regime riesce a imporre a ognuna di loro. Alessandra, trentina di Mori, adesso è tornata là da dove era partita e in un libro, Io posso. Un’allenatrice di pallavolo in Pakistan e Iran, ha raccontato la sua storia.

Che cosa le dicono le sue ragazze?

«Che sono prigioniere di una guerra che non si aspettavano, all’inizio erano convinte che Israele avrebbe attaccato solo gli obiettivi militari e tutto sommato quasi auspicavano che in questa guerra tra le vittime ci finisse dentro anche qualcuno dei capi dell’Iran. Vivono nella frustrazione di non sapere cosa fare e cosa dire anche perché a Teheran non ci sono rifugi per ripararsi, le ragazze sono costrette a correre in cantina quando arrivano i missili. E da Teheran non possono uscire perché gli spazi aerei sono chiusi e non possono neanche provare ad andarsene in macchina perché non si trova più il gasolio. E poi ci sono alcune di loro che erano in Vietnam per un torneo e vorrebbero tornare perché i loro affetti sono lì, ma non possono farlo».

Che cosa pensa di poter fare per loro?

«Poco o niente, sento un senso di grande frustrazione perché anche quando parlo con loro mi dicono che certe cose non possono essere rese pubbliche. Dal punto di vista sportivo sono riuscito a creare un gruppo molto unito, ma non sono riuscita a trovare quell’empatia che avrei voluto. Le ragazze mi dicono che posso solo pregare per loro, sono molto fataliste perché la cultura che le hanno imposto sin da bambine le porta a ragionare così. Mi dicono: quello che vuole Allah accade. Ma non è la fede religiosa a portarle a dire queste cose, fede religiosa che è molto più forte in Pakistan. In Iran il popolo è martoriato dalle scelte che fa il governo e chi si ribella viene eliminato».

Come è stata la sua esperienza a Teheran?

«All’inizio vivevo blindata nel centro di allenamento, poi ho ottenuto di avere a disposizione una macchina come l’allenatore della squadra maschile e così mi sono mossa autonomamente, ma sempre con l’impressione di essere controllata. Poi ad un certo punto ho deciso di tornare in Italia perché la situazione non era più sostenibile».

C’è stato un episodio che l’ha convinto a lasciare l’Iran?

«Quando ci furono le manifestazioni in seguito all’uccisione di Masha Amini, ragazza arrestata e morta per aver violato la legge sull’obbligo di indossare l’hijab, la repressione è stata spaventosa. La Federazione per cui lavoravo era l’emanazione di un governo sanguinario. Non potevo sopportarlo».

E vi costrinsero anche a incontrare il presidente Raisi

«Accadde dopo la conquista della medaglia d’argento ai Giochi della Solidarietà Islamica. Raisi era soprannominato “il macellaio di Teheran” perché fu lui a decidere lo sterminio di oltre tremila studenti che si erano ribellati al regime. Le ragazze non volevano andare a quell’incontro, ma furono costrette a farlo. Il regime voleva appropriarsi di quel successo sportivo per la sua propaganda».

La sua fu una vera fuga

«Inevitabile, non potevo resistere e organizzai tutto con l’ambasciata italiana. Adesso non potrei tornare in Iran perché sicuramente mi arresterebbero ma non dormo la notte per cercare di capire come posso aiutare le ragazze».

In autunno uscirà “Donne di altri mondi”, un documentario incentrato sulla sua esperienza in Iran e in Pakistan e sulle differenze

«Le differenze sono enormi perché in Pakistan non c’è identificazione tra lo Stato e la religione come in Iran, dove le giocatrici devono scendere in campo con maglie con le maniche lunghe e le gambe coperte, le ragazze che ho allenato della nazionale del Pakistan erano molto religiose e per loro scelta rispettavano i precetti del ramadan».

© Riproduzione Riservata