Nel laboratorio MAD della Fondazione Toscana Life Sciences, il team di Rino Rappuoli ha messo a punto il farmaco monoclonale più potente finora a disposizione. Capace di bloccare i danni del Sars-Cov-2, e anche di impedire il contagio (quasi come i vaccini).
Per tutto un anno, e fino a poche settimane fa, i medici curavano i malati di Covid con quello che avevano tra le mani. Poca roba, a dir la verità: anti-febbrili, eparina per evitare coaguli, cortisone prima che le cose si mettessero male. Ora, in piena corsa per il vaccino, finalmente abbiamo a disposizione i primi farmaci realizzati espressamente contro il Sars-CoV-2. Creati con l’ingegneria genetica, a partire dagli anticorpi che i sopravvissuti al virus hanno sviluppato, sono un’arma potente che fa scudo contro la malattia grave e il rischio di morire. Uno dei laboratori più avanzati al mondo ad averli messi a punto è il Monoclonal Antibody Discovery Lab (MAD) della Fondazione Toscana Life Sciences, a Siena, guidato da Rino Rappuoli. Il suo team però non si è limitato a creare un altro anticorpo monoclonale, in aggiunta a quelli appena arrivati negli ospedali italiani. Hanno selezionato una molecola molto più potente ed efficace, se ne potrà quindi usare di meno, e sarà possibile farsela somministrare anche a casa.
Rappuoli, chief scientist di GSK Vaccines e coordinatore scientifico del MAD Lab, ci racconta come questi farmaci hi-tech, insieme ai vaccini, saranno la svolta contro una malattia che ancora non dà tregua.
Gli anticorpi monoclonali sono finalmente in uso anche in Italia, ma per metterli a punto c’è voluto più tempo che per i vaccini, come mai?
I vaccini hanno avuto un’accelerazione mai verificatisi prima nella storia, un balzo tecnologico incredibile. Una volta per fare un vaccino ci voleva il virus, se era in Cina bisognava portarlo qua, ucciderlo, attenuarlo, occorreva moltissimo tempo. Oggi è possibile realizzarli usando l’informazione sul genoma presa da internet. Il 10 gennaio 2020 i cinesi hanno messo il genoma del Sars-CoV-2 online e il giorno dopo oltre 300 laboratori hanno iniziato a lavorare sul vaccino usando questi dati. Un anno fa, quando mi chiedevano quando tempo serve per un vaccino, rispondevo che in genere ci volevano 10-15 anni…
Ricordo, glielo avevamo chiesto anche noi.
E poi aggiungevo che in pandemia saremmo andati più veloci, prevedevo 18 mesi-tre anni.
Invece in un anno ce l’abbiamo fatta. Non mi è chiaro però perché per gli anticorpi la strada è stata più lunga.
Perché le manca il secondo dato. Mentre per i vaccini i governi hanno messo quantità incredibili di soldi, quello americano 10 miliardi di dollari, gli europei qualche miliardo: in tutto oltre 15 miliardi a disposizione delle multinazionali. Ma nelle aziende in genere si procede una fase alla volta, non si fa mai quella successiva se la prima o la seconda non hanno avuto successo. Questa volta il governo ha detto «io voglio andare veloce, qui ci sono i soldi, il rischio finanziario me lo prendo io, tu fai tutto in parallelo». Nel caso degli anticorpi monoclonali nessuno si è assunto il rischio finanziario, non c’è stata la stessa spinta dei governi. Siamo andati però più veloci del solito, un anno anziché tre.
Possiamo dire che sono la versione tecnologica del plasma degli immuni?
E così. L’immunologo Sergio Abrignani ne ha dato una definizione che a me piace molto: sono «il distillato del plasma», nel senso che il plasma contiene tutti gli anticorpi, quelli che servono, che non servono, quelli deboli o forti. Il problema del plasma è che viene prelevato da convalescenti, che in genere hanno titoli anticorpali bassi, quelli che li hanno alti sono rari. Dunque sono difficili da trovare.
Perché li hanno bassi?
Perché l’infezione da Covid dà questi livelli di anticorpi, sufficienti comunque per guarire. Noi abbiamo 5 litri di sangue nel nostro corpo, di plasma degli immuni se dà ai pazienti circa 200 millilitri: come se prendessimo un decimo di quello che ha fatto guarire il malato. Ci vogliono insomma titoli anticorpali molti alti perché il plasma funzioni.
E del plasma non può esserci una produzione di massa…
Esatto. Bisogna avere a disposizione tante persone guarite con titoli alti.
Invece per i monoclonali cosa si fa?
Si va a prendere il sangue degli immuni e si isolano una a una le cellule che producono anticorpi potenti. Una volta individuate, se ne ricava il gene e lo si mette in una cellula che li «fabbrica» a livello industriale.
Quante sono al mondo le aziende, compresa la vostra, che producono monoclonali?
Ce ne sono tre che hanno finito la loro sperimentazione clinica: Eli Lilly, Regeneron e GSK, che ha fatto un’alleanza con Vir Biotechnology. Tutti i loro anticorpi, se dati in fase precoce, riducono la progressione della malattia grave, il ricovero e la mortalità dell’85-90 per cento.
Sono tutti già in uso?
Eli Lilly e Regeneron sono stati utilizzati negli Stati Uniti prima di Natale, in Italia l’Aifa li ha approvati per uso emergenziale poche settimane fa, ma è solo da qualche giorno che sono disponibili negli ospedali.
L’anticorpo che invece state sperimentando voi, che cos’ha di diverso?
Fin dall’inizio avevamo in mente di fare qualcosa di speciale, volevamo un anticorpo che fosse potentissimo, non ci siamo accontentati della prima cellula B che produceva anticorpi forti. Su quasi 5 mila cellule ne abbiamo trovati due o tre, poi ne abbiamo scelto uno.
Fa guarire di più?
Il vantaggio è un altro. Tutti gli altri anticorpi vengono dati in ospedale in endovena, che non è molto pratico.
Non si può fare a casa, per esempio.
Esatto. La ragione per cui vengono dati in ospedale è che molti non sono potentissimi quindi ne servono grandi quantità. Per cui costa parecchio farli. Noi invece volevamo un anticorpo molto potente così se ne può dare in quantità minori e costa meno produrlo. Infine, si possono somministrare per iniezione intramuscolare.
Anche dal medico di base?
Questo è l’obiettivo.
A che punto siete con la vostra sperimentazione?
Rispetto agli altri siamo nella fase 1 dei test clinici, su volontari sani adulti. Le aziende che le ho citato sono colossi mondiali, noi siamo un piccolo gruppo. Ma abbiano l’orgoglio di essere gli unici in Italia ad aver prodotto un anticorpo estremamente efficace. Altra cosa di cui tenere conto è che nel frattempo sono emerse le varianti del virus…
E gli anticorpi funzionano anche per le varianti?
I monoclonali di Eli Lilly non funzionano con quella sudafricana e brasiliana, così come uno dei due anticorpi di Regeneron. Il nostro per ora agisce contro tutte le varianti note.
Il prossimo passo?
La fase 1 finirà fra una ventina di giorni poi, in fase 2 e 3, lo proveremo su soggetti positivi al tampone.
Che cosa vi aspettate che faccia su queste persone?
Che guariscano dall’infezione velocemente, evitando l’aggravarsi dei sintomi e il ricovero.
Vanno sempre dati in modo tempestivo, giusto?
Sì, nessuno degli anticorpi, neanche gli altri, è efficace quando la situazione si aggrava.
Ma se io, per dire, mi contagio, come faccio a sapere se mi aggraverò e se devono darmi subito gli anticorpi?
Chiaramente non è facile a livello individuale, ma ragionando su categorie è abbastanza semplice: sappiamo che se un 85enne si ammala ha il 30 per cento di probabilità di morire, un bambino di 10 anni ne ha una su un milione. Quindi vanno dati alle categorie a rischio, anziani, cardiopatici, diabetici…
Quanto dura la loro azione nell’organismo?
Sono stati ingegnerizzati per avere lunga durata, il nostro dovrebbe avere un’azione circa di sei mesi.
Hanno effetti collaterali?
Direi di no. Non stiamo dando un farmaco, è una molecola naturale, presa dal sangue di chi che l’ha usata per guarire.
Voi avete messo a punto anche un kit diagnostico per misurare il livello di anticorpi. Per modulare la cura?
Diesse diagnostica lo ha realizzato per la nostra sperimentazione, per valutare l’efficacia della terapia. E poi perché c’è bisogno di diagnostica per sapere se la gente ha sviluppato abbastanza anticorpi neutralizzanti dopo la malattia, dopo il vaccino o dopo i monoclonali.
Questa nuova terapia previene anche l’infezione, così come i vaccini?
Sì. Gli anticorpi monoclonali sono una cura ma anche un mezzo di prevenzione. Si possono per esempio somministrare a una persona esposta al rischio e non vaccinata, che da quel momento e per sei mesi è protetta. Chiaro, per le masse ci vuole il vaccino che ha una protezione molto più duratura. Ma se bisogna immunizzare in emergenza, non è l’opzione giusta perché ci vogliono 30-40 giorni prima che sia efficace. E poi ci sono tante persone che rispondono poco ai vaccini.
Quali persone?
Tutte quelle immunocompromesse perché fanno terapie tumorali, o hanno l’Hiv, o altre immunodeficienze. Questi soggetti probabilmente non potranno essere vaccinati e gli anticorpi sono un’alternativa importante.
Lei si è già vaccinato?
No, non rientro ancora nelle categorie indicate.
Giusto, lei è uno scienziato, neppure anziano, e non un medico. E la vostra categoria non viaggia in corsia di sorpasso… Il vaccino non si può scegliere, ed è giusto così, ma ha senso avere preferenze?
Ma no… Per proteggere dalla malattia grave, che è poi quello che fa paura, sono tutti efficaci al 90 per cento. E se ci si dovesse contagiare da vaccinati, sarebbe un’infezione molto più blanda.
Con Pfizer per il richiamo è dopo 20 giorni, con AstraZeneca bisogna aspettare 12 settimane.
Lì c’è una ragione scientifica. Il vaccino AstraZeneca, come anche Reithera o Johnson& Johnson, è basato su un adenovirus. Quando si dà la prima dose, oltre agli anticorpi per il Covid le persone sviluppano anticorpi anche contro l’adenovirus. Se si dà la seconda dose dopo 3-4 settimane, è come acqua fresca perché il vaccino viene neutralizzato dagli anticorpi contro il vettore virale. Allora si è deciso di aspettare tre mesi per la seconda dose, così gli anticorpi contro il vettore vanno giù e il richiamo qualcosa in più fa.
E perché allora Johnson& Johnson, che funziona anch’esso con un adenovirus, è monodose?
Hanno fatto il ragionamento opposto: se la seconda dose è inutile, ne facciamo una sola.
Non poteva fare così anche AstraZeneca?
AstraZeneca ha fatto le prove cliniche prima, quelli di Johnson& Johnson, arrivando dopo, già sapevano e hanno potuto fare diversamente. Nella sostanza però sono entrambi monodose, e hanno un’efficacia analoga.
In futuro, tra i vaccini quasi a tutti, e gli anticorpi monoclonali a chi ne ha bisogno, morire di Covid diventerà l’eccezione? Mi dica di sì.
È la nostra speranza, e stiamo lavorando per questo.