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Come ringiovanirsi le cellule

Come ringiovanirsi le cellule

Riportare indietro le lancette dei vari organi e tessuti del nostro organismo con farmaci contro la senescenza, che ne prevengono il declino. È il filone anti-invecchiamento più ambizioso e promettente cui sta puntando la scienza. Per superare i 120 anni senza sentirsi decrepiti…


Nel distribuire a ogni specie animale il proprio orologio biologico, la Natura è stata capricciosamente incostante: l’«eternità» di una farfalla dura pochi giorni, il tic tac di uno squalo della Groenlandia arriva a quattro secoli, le lancette di noi umani funzionano al massimo per 120 anni (il record appartiene alla francese Jeanne Calment: nel 1997 celebrò il suo – ultimo – 122esimo compleanno, mentre l’avvocato 47enne che aveva acquistato la nuda proprietà della sua casa sperando nell’imminente dipartita della vegliarda, all’epoca 90enne, morì prima di lei).
Insomma, talvolta, e certo più spesso che in passato, superiamo i cent’anni, ma quelli che ci riescono sono in genere, salvo ammirevoli eccezioni, piuttosto malmessi: rinsecchiti, semi-ciechi, duri d’orecchio, con quattro denti in bocca. Oltretutto i centenari invidiabili lo sono grazie al loro Dna, e i geni buoni o si ereditano oppure no.

Ma la sfida a conquistarci una longevità in forma è, oggi, più accesa che mai. Al di là di improbabili elisir, rallentare gli insulti del tempo prolungando (idealmente) i 40 anni anziché espandere una vecchiaia infinita è il business del futuro. Lo sa bene il fondatore di Amazon Jeff Bezos, che ha investito miliardi nell’anti-aging: a gennaio ha assoldato Hal Barron, ex presidente del settore Ricerca e sviluppo alla GlaxoSmithKline, alla guida degli Altos Labs, la sua società anti-invecchiamento. Bezos non è l’unico miliardario a puntare sull’eterna giovinezza, però ha scelto uno dei filoni più ambiziosi: ringiovanire le cellule senescenti (dette anche cellule zombie) che, mentre il tempo scorre, invadono il nostro corpo.

«Il motivo per cui non siamo immortali è chiarissimo: se lo fossimo, nonni, genitori e figli competerebbero per le risorse sulla Terra» riflette Mauro Giacca, direttore della Scuola di medicina cardiovascolare al King’s College di Londra e professore di biologia molecolare all’Università di Trieste. «Ciò che rappresenta un mistero è piuttosto perché gli esseri umani abbiano un muro biologico che si ferma in genere dopo i 100 anni e pare impossibile da superare nonostante tutti i progressi scientifici, i farmaci, i vaccini, il miglioramento dello stile di vita e dell’alimentazione».

Una clessidra molecolare che scorre a velocità diverse: la cellula di un neonato si moltiplica circa 50 volte prima di invecchiare, in un anziano diventa senescente dopo una sola replicazione. Le uniche a sfuggire a questo destino sono quelle embrionali (messe in coltura continuano a proliferare) e tumorali, «dopate» da particolari mutazioni.

Man mano che si vive, il nostro organismo mette in atto processi continui di riparazione e rigenerazione, finché non ce la fa più. A quel punto le cellule possono prendere, per così dire, due decisioni: morire o invecchiare. Ma il problema delle cellule invecchiate è che smettono di funzionare bene e si accumulano, come la spazzatura, provocando problemi all’intera «casa»; ossia producono sostanze infiammatorie che danneggiano tessuti e organi, in una sorta di reazione a catena.

«Quello che si può pensare di fare sono due cose: uccidere le cellule senescenti, e ci sono farmaci in sperimentazione, chiamati “senolitici”, che le uccidono in modo mirato. Oppure, ed è su questo che ha investito Bezos, farle ringiovanire» prosegue Giacca. Alla base della scommessa, c’è la famosissima scoperta del premio Nobel Shinya Yamanaka: un cocktail di quattro geni che, messo a contatto con le cellule, ne riporta indietro le lancette fino a farle ridiventare embrionali.

L’idea anti-aging è di utilizzare questa miscela genetica ringiovanendo le cellule ma fermandosi prima di farle tornare «neonate». In pratica, come precisa Giacca, «svecchiandole un po’, perché ritrasformarle allo stadio di embrione è pericoloso: sarebbero indifferenziate, senza specializzazione, e perderebbero la loro funzione di organo. Ci sono dati sperimentali su animali, i cui cuori, con l’infusione di questi geni, tornano indietro. Ora bisogna capire se il processo di riprogrammazione molecolare funzionerà anche nell’uomo senza indurre tumori, il rischio maggiore».

Nei laboratori inglesi di Giacca l’obiettivo è, per ora, «ringiovanire» i cuori colpiti da infarto e innescare i processi di riparazione del muscolo cardiaco. I ricercatori utilizzano micro Rna che cambiano lo stato delle cellule un po’ come fanno i geni di Yamanaka. «A fine 2021 abbiamo fondato una start-up a Trieste, chiamata Heqet, dal nome della dea egizia della fertilità, per rigenerare il cuore, con finanziamenti per metà inglesi e per metà italiani».

Prodotti che ringiovaniscono le cellule in modo efficace e sicuro sarebbero il sacro Graal dell’anti-aging; ma, a parte l’obiettivo ambizioso, a complicare le cose è il problema della loro approvazione da parte delle agenzie regolatorie. Come spiega Ilaria Bellantuono, co-director dell’Healthy Lifespan Institute all’Università di Sheffield (Regno Unito), dove lavora sui composti anti-invecchiamento, «Musk e Bezos hanno in mente di vivere per sempre, ma nell’iter che porta un farmaco a essere approvato, l’allungamento della vita non è previsto come target finale. Il sistema regolatorio è tutto centrato sulle malattie, e l’invecchiamento di per sé non lo è. Ogni farmaco deve seguire trial clinici sull’uomo, per capire se una molecola allunga davvero la vita una persona dovrebbe iniziare ad assumerla a 40 anni e proseguire fino alla morte, un trial simile è infattibile».

Più vicini all’applicazione clinica, rispetto ai farmaci per riprogrammare le cellule, sono i senolitici che prevengono la senescenza. «L’età è il principale fattore di rischio per la maggior parte delle malattie, dall’osteoporosi alle patologie cardiovascolari all’Alzheimer, riuscire a rallentare l’invecchiamento potrebbe davvero ridurne l’incidenza» continua Bellantuono.

Allo studio sostanze come rapamicina, immunosoppressore usato nei trapianti, e metformina, un antidiabetico. «Nei nostri laboratori ci siamo focalizzati sul senolitico fisetin, un flavonoide, e sull’anti-osteoporotico zoledronato, che abbiamo dimostrato prevenire la senescenza. Ora sono in corso trial clinici sull’uomo. Da questa base, sarà più facile individuare gruppi di pazienti con condizioni specifiche su cui testare i farmaci e farli approvare dagli enti regolatori. E con un mercato potenziale, anche l’industria sarà interessata a produrli».

Un’altra strada percorribile, almeno in teoria, è «vaccinarsi contro la senescenza». Troppo bello per essere vero? Beh, è quello su cui si stanno concentrando all’Institute on the Biology of Aging and Metabolism all’Università del Minnesota (Stati Uniti). Lo studio è stato condotto sui topi, ma partendo da un gene espresso nelle cellule senescenti umane dell’endotelio vascolare. Traduzione: il tessuto che riveste la superficie interna dei vasi sanguigni.

Questo gene (per amore di precisione, si chiama GPNMB) si trova anche sulle cellule vascolari di pazienti con aterosclerosi. I ricercatori hanno rimosso il gene dall’organismo di topi anziani, e poi hanno aspettato un paio di settimane. Risultato: gli animali hanno mostrato un metabolismo più brillante e meno placche aterosclerotiche.

Bene, si sono detti: e se insegnassimo al sistema immunitario a liberarsi delle cellule che esprimono questo gene? Hanno così messo a punto un vaccino basato su un peptide (una versione corta delle proteine) e lo hanno iniettato nei topi. Sette giorni di attesa, e voilà: minore senescenza nel grasso viscerale, migliore profilo metabolico, meno aterosclerosi e meno infiammazione nell’aorta. È solo un primissimo passo, e la scienza è costellata di molecole che funzionano nei topi e per niente negli uomini. Ma in un futuro più o meno lontano, se ci fosse davvero un vaccino anti-invecchiamento basterebbe un booster ogni tanto, e via felici verso i 120 anni.

Un dubbio: ma l’invecchiamento è solo questione di singole cellule anziane, o un processo sistemico che coinvolge tutto l’organismo? «È un argomento che dura da 30 anni» risponde Giacca. «Ora però è sempre più chiaro che a invecchiare sono le nostre cellule. Piuttosto, il problema è un altro: rigenerare un cuore, un fegato o i muscoli è un’impresa possibile, rinnovare il cervello, un organo composto non solo di neuroni ma di innumerevoli connessioni tra loro, è assai più complesso. E in Europa una persona su 3 dopo gli 80 anni soffre di Alzheimer». Attento a ciò che desideri (era uno dei tanti aforismi di Oscar Wilde) perché potresti ottenerlo. In splendida forma fisica a 100 e più anni, ma magari persi nelle nebbie delle demenza. Giovani, senza neppure sapere di esserlo.

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