Il tempo per iniziare la colonizzazione di un nuovo pianeta è di dieci anni, prevede Marco Villa, l’italiano che ha lavorato a lungo nella divisione spaziale di Elon Musk ed è stato consulente della Nasa. Oggi si occupa di nanosatelliti, che saranno sempre più importanti nel futuro terrestre. Ma in questa corsa al cosmo (dov’è matematicamente sicuro che siano altre forme di vita) ha voluto coinvolgere anche giovani del nostro Paese.
Per sette anni ha lavorato a SpaceX, dirigendo le operazioni di Dragon, la prima navicella di una compagnia privata a essere portata in orbita e poi di nuovo a terra. Ne conserva un modellino nella grande libreria della sua casa in Texas, da dove risponde a Panorama. Una madeleine volante in scala ridotta.
Marco Villa è stato tra i responsabili di contratti da 2,5 miliardi di dollari per i rifornimenti alla Stazione Spaziale Internazionale, intanto ha posto le basi dei primi programmi con equipaggio dell’azienda. La stessa che oggi promette all’umanità viaggi turistici verso Marte. Nulla di troppo bizzarro, considerando che il suo capo di allora si chiamava Elon Musk: «Da lui ho imparato a non prendere mai un no come risposta. A chiedersi perché qualcosa non può succedere e lavorare per farla accadere comunque».
Partito da Drano, frazione di 200 anime del comune di Valsolda sul lago di Lugano («vengo da un paesino senza un negozio, senza niente»), Villa è arrivato a essere il direttore d’orchestra di spettacolari missioni nello spazio: «Fin da piccolo ho sempre avuto una passione smisurata per la terza dimensione. Mi trovavo a mio agio in acqua, ho preso il brevetto di volo prima della patente». Puliva gli aerei e li riforniva di carburante all’Aeroclub Como, in cambio di crediti per le lezioni in quota. All’università, al Politecnico di Milano, ha studiato ingegneria aerospaziale: «L’ho scelta perché era la più difficile, la sfida è una mia deformazione». Poi, due master e un dottorato negli Stati Uniti, da lì consulenze per la Nasa e l’Air Force americana, fino a SpaceX. Più tardi, un ruolo nella stanza dei bottoni: in Tyvak, ex start-up sconosciuta, oggi leader nei nano-satelliti.
Il primo lungo viaggio è stato una traversata transoceanica. Perché ha lasciato l’Italia?
Lavoravo in una ditta di Milano, per fare carriera bisognava mettersi in fila, aspettare che chi stava davanti andasse in pensione. Rispetto la mentalità, non era la mia. Sono andato a studiare negli Usa, se ne sono andati 21 anni di vita.
Un quarto di secolo speso dietro le quinte delle trasferte interstellari. Toccherà anche a noi, gente comune temeraria ma senza un lungo e rigoroso addestramento alle spalle?
Senza dubbio, così come impiegheremo minuti per voli intercontinentali che oggi richiedono ore. Si romperanno le barriere che possiamo immaginare, arriveremo a guardare la Terra da fuori, da lontano. Inoltre, prima o poi consumeremo tutte le risorse di questo pianeta, bisognerà trovarne altre.
La prospettiva è un pendolo tra la colonizzazione e la perlustrazione. Quale sarà la ragione prevalente di una fuga tanto remota?
Saranno entrambe. Non c’è stata nessuna missione in posti inesplorati di cui fosse chiaro a priori l’obiettivo. Non è un oppure, è un anche.
I tempi?
Meno di dieci anni, tra le ultime sperimentazioni e l’operatività. Intanto, deve entrare in gioco una diversa logica, perché un conto è arrivare a un pianeta, un altro è creare le condizioni per renderlo abitabile. Molti soldi vengono investiti negli aspetti secondari e terziari, si sta attivando un’economia. Servono dottori, minatori, meccanici. Se fossimo a Las Vegas, si direbbe che la scommessa è già stata piazzata. Se è vero che la tecnologia fa perdere molti posti di lavoro, in questo ambito può crearne di più. Si costruirà una reciprocità: l’industria spaziale aiuterà quella terrestre.
Lei sarà tra i primi a percorrere questo Far West in assenza di gravità?
Ho fatto un corso per astronauti, se fossi ancora in SpaceX sarei nella lista dei candidati a partire nella navicella. Ho piantato un po’ di semi in giro, ho versato le quote necessarie per partecipare a un lancio non appena ce ne sarà la possibilità. Non vedo l’ora. Tutti sanno benissimo che non prendo molte vacanze, però quando sarà il momento, non ci sarà modo di fermarmi.
Quanto coraggio ci vuole a salutare la Terra e a imbarcarsi in un’avventura tanto pericolosa, potenzialmente senza ritorno? Lo stesso Musk ha affermato che qualcuno potrebbe morire durante i primi viaggi.
Mia moglie e i miei bimbi sono cresciuti con questo mio desiderio. A parte suggerirmi di incrementare l’assicurazione sulla vita, non possono avanzare troppe obiezioni. Mia madre l’ho abituata volando sugli aeroplani da ragazzo, lanciandomi col paracadute, trasferendomi negli Stati Uniti. Ha preso confidenza con diversi livelli di panico. Quando le dirò che vado nello spazio, mi chiederà di mandarle una cartolina.
Visto tanto entusiasmo per la materia, perché lasciare SpaceX?
Ero consapevole di avere l’occasione di entrare nella storia della mia industria, però sapevo cosa avrei fatto ogni giorno. L’avevo già fatto. Volevo cambiare, cimentarmi con la parte finanziaria, legale, ambiti che non avevo mai provato.
Per il puro gusto della sfida, è passato da un gigante a una formica.
Qualcuno mi ha detto che ho lasciato il lavoro che tutti sognavano per quello che nessuno voleva. Per me era un’ovvietà il fatto che i piccoli satelliti sarebbero stati il settore più in crescita dell’industria spaziale. È come per i computer o i telefoni cellulari, prima grandi e pesanti, ora piccoli, sottili, infinitamente più potenti. Tyvak è come una Apple che fa anche le applicazioni: costruisce questi oggetti che gravitano intorno alla Terra e li fa funzionare.
Per quali usi pratici?
L’esempio più comune sono le fotografie dallo spazio. Prima servivano apparati immensi con obiettivi enormi, ora non più. Poi forniscono informazioni utili per le previsioni meteo, che così diventano ancora più accurate. Inoltre, fanno rimbalzare in tutto il mondo i dati legati agli oggetti connessi. Per controllarli in tempo reale, dovunque ci si trovi, occorre un’infrastruttura. Ecco, in parte passa da questi satelliti.
Si è mai pentito di avere lasciato l’Italia?
In qualche modo ci sono ritornato. A Torino ho aperto Tyvak International ed è andata davvero bene: negli ultimi 18 mesi abbiamo lanciato più satelliti di qualunque altra società in Europa. Ci lavorano soprattutto italiani sotto i 35 anni. L’ho creata per dare un’opportunità a ragazzi che, per entusiasmo e voglia di emergere, sono identici a com’ero io da giovane. Per dimostrare che per raggiungere l’eccellenza non conta il luogo, ma la filosofia.
Elon Musk le ha insegnato che nulla è impossibile. Vale anche per l’esistenza di forme di vita su altri pianeti? Persino l’ex presidente Barack Obama e membri del Governo degli Stati Uniti cominciano a parlare pubblicamente di oggetti volanti non identificati.
Non solo è matematicamente possibile, sarebbe veramente ottuso da parte nostra pensare di essere gli unici nell’universo. Non so che aspetto abbiano queste creature, di sicuro sono lassù da qualche parte ad aspettarci.