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Altra terra cercasi

Altra terra cercasi

La scoperta di corpi celesti adatti alla vita, al di là del nostro sistema solare, è sempre più probabile. Lo racconta Giovanna Tinetti, astrofisica a Londra, coordinatrice della prossima missione Ariel. Obiettivo: studiare da vicino pianeti inesplorati, simili al nostro.


Non siamo soli nell’universo. Meglio: statisticamente, non dovremmo essere soli. Lo sostiene Giovanna Tinetti, professore di Astrofisica presso l’University College di Londra e coordinatore della futura missione scientifica spaziale Ariel. Tinetti è esperta di esopianeti, corpi celesti che si trovano oltre il nostro sistema solare e che orbitano intorno ad altre stelle.

È stata lei, con il suo team, a scoprire nel 2018 K2-18b, un pianeta distante da noi 110 anni luce, grande otto volte la Terra, orbitante intorno a una stella nana nella costellazione di Vulpecula. A rendere K2-18b piuttosto interessate è che nella sua atmosfera c’è del vapore acqueo, condizione che non rende impossibile la vita.

Proprio per censire e studiare questo e centinaia di altri pianeti extrasolari, l’Esa ha approvato la missione spaziale Ariel, sigla suggestiva che sta per Atmospheric remote-sensing infrared exoplanet large-survey. Verrà spedito in orbita uno dei telescopi più potenti a disposizione, in grado di analizzare la composizione chimica dell’atmosfera del lontano pianeta. E chissà se questo enorme spettrometro potrà svelare se su K2-18b ci sia una qualche forma di vita «aliena».

La nostra Terra insomma non è poi così speciale, se l’universo pullula di altri mondi…

Noi umani abbiamo spesso un modo di pensare un po’ troppo geocentrico… Negli ultimi vent’anni abbiamo scoperto tantissimi pianeti che orbitano intorno a stelle diverse dal nostro Sole. Se pensiamo che ogni astro della nostra galassia ha statisticamente almeno un pianeta, e la Via Lattea di stelle ne ha migliaia di miliardi, è chiaro che il numero di pianeti extrasolari è immenso. Più piccoli, più grandi, alcuni con caratteristiche molto diverse dalla Terra, altri invece più simili.

Se è gemello della Terra, potrebbe ospitare forme di vita?

Molti dei pianeti scoperti finora non sono gemelli della Terra, piuttosto cugini. Tuttavia, in principio, non c’è nulla che impedisca ai «cugini» di ospitare forme di vita.

Come dev’essere un pianeta perché la vita abbia una possibilità?

Ci aspettiamo che debba essere roccioso, con un oceano in superficie e una temperatura mite. Molti pianeti hanno già queste caratteristiche. La vita come la conosciamo sulla Terra ha anche bisogno di acqua liquida.

Come sono gli altri corpi celesti del nostro sistema solare?

Ci sono i cosiddetti «pianeti giganti», Giove e Saturno, massicci e fatti di idrogeno e di elio. Poi ci sono i «giganti di ghiaccio», Urano e Nettuno, che hanno una struttura interna di ghiacci e rocce, idrogeno ed elio. Infine, ci sono i «terrestri»: oltre alla Terra, Venere e Mercurio. La loro parte solida è fatta di silicati, ovvero roccia, con un nucleo ferroso. Le atmosfere però sono molto diverse. La nostra è composta essenzialmente da azoto, un gas molto inerte, e ossigeno, sulla Terra c’è la vita che lo produce costantemente. Poi vapore acqueo, ozono, anidride carbonica. Quelle di Marte e Venere sono composte da anidride carbonica. Venere è un mondo assolutamente inospitale, caldissimo, con nuvole di acido solforico. Praticamente un inferno.

E quando si esce dal nostro sistema solare?

Abbiamo trovato pianeti con caratteristiche estreme. Caldissimi, o freddissimi, con temperature simili alle nostre ma con composizione chimica totalmente diversa. Abbiamo anche scoperto che i pianeti più comuni della nostra galassia sono le cosiddette «super-terre»: corpi celesti la cui massa è compresa tra quella della Terra e quella di Nettuno (14 volte di più). Al momento però sappiamo molto poco delle super-terre.

Però c’è K2-18b che promette di dare a voi astrofisici grandi soddisfazioni…

K2-18b è una super-terra con una temperatura simile alla nostra. L’atmosfera contiene vapore acqueo. Due elementi che lo rendono senz’altro interessante. Ma dobbiamo ancora capire quale sia esattamente la sua natura di questo pianeta, ci servono molte più informazioni rispetto a quelle che ci forniscono oggi i telescopi a disposizione. Nella prossima decade ne avremo di molto più potenti, in grado di svelarci i misteri di queste super-terre.

Uno sarà la missione Ariel di cui lei è coordinatrice. Di che si tratta?

Prima ancora ci sarà il telescopio spaziale James Webb, che verrà lanciato a ottobre da Kourou, nella Guyana Francese. È il risultato di una collaborazione tra Nasa, Agenzia Spaziale europea – l’Esa – e quella canadese. Ariel invece è una missione approvata nel novembre 2020 dall’Esa con un grande contributo dell’Italia, che sarà responsabile della costruzione del telescopio. Ariel verrà lanciato nel 2029 per studiare nel dettaglio un migliaio di atmosfere di pianeti extrasolari. La combinazione di tutte le informazioni ci consentirà finalmente di scoprire di cosa sono fatti, come si formano, che storia hanno, se alcuni sono abitabili. Nella missione Ariel sono coinvolti 16 Paesi e 400 scienziati.

Un bel risultato per una studentessa partita dal Piemonte con un sogno in tasca…

A Torino ho fatto un dottorato in fisica delle particelle. Poi ho iniziato a leggere un libro di James Lovelock che parlava di astrobiologia, di vita su altri pianeti. E nello stesso periodo, gli anni Duemila, era stato fondato il Nasa Astrobiology Institute. Sono rimasta così affascinata dalla scoperta dei primi pianeti extrasolari che sono subito partita per il Jet Propulsion Lab, negli Stati Uniti, dove sono rimasta cinque anni. A vent’anni si va dove ti porta il cuore. Allora non sapevo se era la scelta giusta.

Poi però è tornata in Europa, perché?

Prima a Parigi, poi a Londra. Alla Ucl mi trovo molto bene e poi Londra è cosmopolita. Ma vengo spesso in Italia e collaboro con tanti colleghi italiani.

Ha tempo per altro, oltre all’astrobiologia?

Per viaggiare – non vedo l’ora di ricominciare – per i libri e i film, ma non di fantascienza. In genere le ricostruzioni che fanno dello spazio non sono molto accurate. Quando lo sono, raramente, ne uso le immagini per spiegare alcuni concetti agli studenti più giovani. Prendiamo, per esempio, Interstellar: il pianeta Oceano è stato rappresentato benissimo, quasi come ce lo propongono i telescopi.

Secondo lei un giorno lo colonizzeremo un esopianeta?

Nel sistema solare ci sono già molti esempi di missioni spaziali che hanno mandato sonde e anche «lander» e «rover». Ma fuori dal sistema solare i pianeti più vicini sono lontani anni luce, distanze troppo grandi per la nostra tecnologia attuale. Raggiungerli è per il momento fantascienza, quindi ci dobbiamo prendere cura del nostro mondo, la Terra.

Magari potremmo cominciare dalla Luna che è più vicina?

Una base lunare sarebbe non impossibile ma molto costosa. Richiederebbe una volontà politica mondiale.

E Marte?

Non è un posto così ospitale. È un pianeta su cui voglio saperne di più ma sto bene qua, grazie. Potrebbe perdere l’occasione di scoprire una vita aliena, un marziano attraente… Non so come i miei colleghi si immaginino gli alieni. Io sono più interessata alle forme di vita molto semplici: microbi, batteri. Sarei contenta di trovarne uno, purchè a distanza! So che non è un principe azzurro, ma perché pensare che un microrganismo non sia egualmente affascinante?

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