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Pornocrazia: l’hard core tra immaginario e business collettivo

Pornocrazia: l’hard core 
tra immaginario  
e business 
collettivo

Per il filosofo Piero Adamo la nostra ormai è una società totalmente «erotizzata». Grazie soprattutto all’esplosione dei social network e della Rete. Che hanno reso il sesso sempre fruibile e gratuito, trasformando in democratico un prodotto prima proibito e di nicchia. E «l’evoluzione» successiva sarà…


Pietro Adamo, professione filosofo, sorride con leggerezza: «Ovviamente sono anche un pornofilo». Sono decenni, insomma, che guarda, colleziona e approfondisce materiale pornografico. Prima per passione, poi per farne l’oggetto di alcuni lavori di grande profondità. Adamo è uno dei fondatori dei «porn studies», uno dei primi accademici ad aver avuto il fegato di esporsi, di prendere il porno sul serio. Del resto, si legge nel suo nuovo libro (Hard core: istruzioni per l’uso, edito da Mimesis) «la pornografia continua a impattare sulla società occidentale con forza inusitata. È dalla fine degli anni Sessanta, quanto è divenuta di massa, che tocca, influenza, e persino modifica i comportamenti sessuali, le relazioni di genere, l’immaginario erotico nel suo complesso».

Nulla di più vero. E al giorno d’oggi questa influenza sembra essersi amplificata oltre ogni limite, cosa che potrebbe comportare una serie di conseguenze nefaste, a prescindere da ogni tirata moralistica. Parlando con Panorama, Adamo spiega che esistono varie epoche nel porno. «Dagli anni Sessanta fino al 1985 circa abbiamo il periodo della legittimazione. Dall’85 abbiamo l’era delle videocassette, che in fondo non è molto diversa da quella appena successiva del Dvd, perché in fondo la fruizione del porno era la stessa: si andava al sexy shop a comprare i film. Questa era è durata fino al 2004-2005. Poi è arrivato il porno in rete. Quest’ultima epoca dura da 15 anni, e io credo che siamo prossimi al nuovo cambiamento, anche se non so bene quale potrebbe essere».

Noi un’idea ce la siamo fatta, e tra poco la vedremo. Ma prima di guardare al futuro forse converrebbe soffermarsi almeno un po’ sugli effetti che l’era del porno online ha prodotto e sta producendo. «Il vero problema» riflette Adamo, «è che oggi i ragazzi giovani si trovano a contatto diretto con una marea di materiale porno». Il guaio avviene nel momento in cui tutta questa pornografia forgia l’immaginario dei ragazzi e delle ragazze, i quali non hanno gli strumenti adatti per distinguere realtà e finzione. «La pornografia» spiega il filosofo «è una peculiare messa in scena del sesso. Non è il sesso. Il rischio è che i ragazzi non sappiano separare le due cose. Ho letto qualche tempo fa, non ricordo dove, una sorta di ricerca fatta tra i giovani, molti dei quali si mostravano convinti che l’eiaculazione sul viso della donna fosse la normale conclusione del rapporto sessuale. Ignoravano totalmente il fatto che questo fosse un “topos”, un passaggio, che si ripropone in circa il 60-70 per cento dei film porno».

La pornografia, dunque, modella la concezione del sesso, e non solo. Secondo un altro studioso, Davide Navarria, siamo da tempo entrati nel «pornocene» (così sostiene nel nuovo libro Benvenuti nel pornocene. All you can fuck, Rogas edizioni). «Credo che la nostra società sia “pornificata” da un punto di vista quantitativo – mai così tanto immaginario di questo tipo nella storia dell’umanità – e, più profondamente, qualitativo» argomenta. «La fruibilità gratuita, istantanea, facile e “a portata di clic” del porno, attivata grazie allo scenario tecnologico contemporaneo, ha contribuito a normalizzare e “democratizzare”, diciamo così, un prodotto che fino a poco tempo fa era accessibile non a tutti, e solo a certe condizioni. Oggi, invece, bastano una connessione Internet e uno smartphone. Un gioco da ragazzi, anzi da bambini – con tutte le conseguenze del caso – riuscire ad accedere a siti ormai universalmente noti come PornHub o YouPorn».

Nota giustamente Navarria che «la fruizione di un prodotto non è mai “neutrale”, facile, senza conseguenze. Al contrario, essa veicola sempre una certa modalità dell’esperienza: trasforma i soggetti, plasma concezioni mentali, attiva percorsi del desiderio, li feconda e li amplia o, in molti casi, li umilia e sterilizza. Un prodotto educa o diseduca, arricchisce o deperisce le nostre risorse. Insomma, ciò che consumiamo, pratichiamo, mangiamo, ascoltiamo o guardiamo ci cambia. In meglio o in peggio. Quando dico che la nostra società è pornificata, intendo dire che sono le nostre stesse esperienze di soggetti incarnati e desideranti ad essere “pornificate”, cioè plasmate da un modo inedito di immaginare e di conseguenza considerare, guardare, toccare noi stessi e gli altri».

Il cambiamento dei comportamenti sessuali dei più giovani è una delle conseguenze più visibili, che spesso rimbalzano anche nella cronaca. Ma c’è pure un altro aspetto, niente affatto secondario. Oggi il porno non è solo più fruito, è anche più praticato. Una volta, dice Pietro Adamo, «l’amatoriale era un genere della pornografia professionale. Oggi prolifera perché è alla portata di tutti. A mio avviso non è un problema, è semplicemente un mutamento del costume. Ormai il corpo è completamente privato di sacralità, e ciò apre a nuove possibilità». La descrizione che fa Adamo è molto chiara, e corrisponde al vero. Da un lato il porno è molto diffuso, sdoganato, tanto che star come Rocco Siffredi ormai sono uscite dalla nicchia dell’hard, e lo stesso fanno molte delle sue scoperte (emblematico il caso di Malena). A ciò si aggiunge il fatto che il corpo può diventare oggetto di commercio con estrema facilità. Non soltanto i soliti YouPorn o PornHub ma anche nuove piattaforme come Onlyfans propongono sempre più video di singole (meno singoli) o coppie che si improvvisano attori. Il modello è quello degli influencer sui social network, e apre a parecchie possibilità di rischio.

«Il consumo di pornografia non avviene più nella sola forma passiva dello spettatore-fruitore, ma secondo la logica del “prosumer”» aggiunge Davide Navarria. «Persone “normali” possono caricare le proprie performance sui vari siti diventando così con-creatori del multiverso pornografico. Una dinamica molto simile – con tutte le inevitabili differenze – al funzionamento di YouTube. Quella che può inizialmente porsi come una decisione della coppia o del singolo motivata da ragioni legate alla sfera del “puro” eros può, nel tempo, trasformarsi in un meccanismo che si desidera capitalizzare. E qui troviamo già uno spunto interessante: vale a dire, la possibilità di trasformare in fonte di guadagno un ambito della propria esistenza che magari, fino al giorno prima, non si era minimamente pensato di poter declinare così».

Il punto è: quali conseguenze porta tutto ciò? Quella che forse è la più grave la mette bene in luce Navarria: «La sessualità umana, conflittuale e imperfetta, nel momento in cui si tenta di ingabbiarla in logiche economiche, diventando un modo come un altro per fare soldi, diventa qualcos’altro. Un prodotto. E la conseguenza è quella di virare sempre più decisamente in direzione della modalità “All you can eat”, che si configura per me come punta avanzata di un narcisismo autocompiaciuto, altricida ed egolatrico».

Di nuovo, è lo stesso meccanismo che vediamo all’opera con i social network: ogni aspetto della vita umana diviene performance, e in fondo si può considerare «sul mercato». Forse la nuova era del porno – anche se Adamo non sarebbe d’accordo – è probabilmente quella della prostituzione di massa. Della messa in vendita dell’intimità sulla rete (fisica e non solo). Tutto in mostra, tutto subito, tutto in vendita, anche se a basso prezzo. Niente moralismo, per carità: ma non è una gran bella prospettiva.

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