Sembravano destinati a sparire dalla circolazione. Invece, complice la variante Delta, i virologi continuano a imperversare con le loro discutibili previsioni su una nuova ondata pandemica. La loro caratteristica? Tantissimi errori, ma mai una marcia indietro.
Più insidiosi della variante Delta rimangono solo virologi e affini. Fieri, spavaldi, impavidi. Si sono distinti subito per vaticini fallaci e bramosia mediatica. Sembravano destinati a sparire. Invece, la tenacia del virus li ha ritrasformati in imprescindibili oracoli. Più menagrami che mai, resistono a ogni forma di realtà. E quando intravedono un barlume d’ottimismo, tentano di aggirarlo sganciando l’ennesima, mefitica, scorante, previsione: la balla Delta, resistente a ogni evidenza.
La temuta quarta ondata sembra ridimensionata. Eppure doveva essere un maremoto. Dopo aver funestato la primavera con l’annuncio di imminenti cataclismi, i nostri profeti di sventura decidono di accanirsi pure sull’estate. La risalita dei contagiati Oltremanica è un segnale inequivocabile. Andrea Crisanti, detto «Crisantemo» per i funerei presagi, il 23 luglio 2021 lancia il maleficio: «Un’anticipazione di quello che succederà in Italia è scritto nel grafico dell’Inghilterra che è passata, nel giro di 40 giorni, da mille casi a 50 mila e da due decessi al giorno a 50» promette. «Se non faranno qualcosa, i contagi continueranno ad aumentare, arrivando probabilmente a 100 mila al giorno con 100 morti». Lui, ricorda, non ha certo la sfera di cristallo. Però, insomma, «non è che ci vuole un’arte divinatoria per capire quello che accadrà in Italia».
Giusto: basta il solito rosario di iatture. Che però, onore all’indiscutibile merito, Crisanti già aveva cominciato a sgranare in primavera: «Sappiamo già che i contagi cresceranno. Dovremmo chiudere proprio in estate, quando invece gli altri paesi saranno fuori dal tunnel». E invece, che disdetta, le ferie all’italiana sono filate via senza catastrofi. A differenza di Inghilterra, Francia e Spagna. Comunque sia: pure Alessandro Vespignani, accademico instancabile riparato in Massachusetts, dunque pressoché infallibile, lo scorso luglio profetizza su Repubblica: «È verosimile che si arrivi a decine di migliaia di casi al giorno, come in Inghilterra».
Perfino il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, medico infettato dalla politica, butta lì tetre previsioni: «Potremo arrivare a 50 mila casi al giorno». Lo conforta nella stima l’inarrivabile Gualtiero Ricciardi detto Walter, consulente del dicastero guidato da Robertino Speranza: «Probabilmente si avranno anche in Italia il numero di contagi del Regno Unito».
Accondiscendenti con Giuseppe Conte, che difatti li adorava, i divi della virologia si sono subito accaniti con il successore, Mario Draghi. A fine aprile, mentre l’economia langue, il premier comincia a riaprire. È il «rischio ragionato». Decisione presa senza nemmeno una telefonatina precauzionale a Crisanti. Mossa incauta. Peggio che sventolare il drappo rosso di fronte ai tori andalusi. Il microbiologo dell’Università di Padova prende la rincorsa e incorna: «Siamo un Paese ostaggio di un gruppo di pressione che fa prevalere gli interessi di parte alla sanità pubblica». Bilderberg? Trilaterale? P4? Chissà. E comunque: «L’espressione “rischio ragionato” è vuota e decisamente politica e non scientifica». Ma pure Massimo Galli, responsabile di Malattie infettive al Sacco di Milano, lo scorso aprile carica a testa bassa: «È un liberi tutti che non ci possiamo permettere» giura in un’intervista al Fatto quotidiano, non a caso il quotidiano del cuore dell’ex premier. «Draghi sul Covid non ne ha azzeccata una». Già. Come ha osato sostituirsi a loro, che le hanno azzeccate fino all’ultimo decimale?
Non si sottrae nemmeno l’infaticabile Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. Assicura che il rialzo dei contagi sarà visibile «dopo la prima metà di maggio». E invece, in quelle due settimane, accade l’esatto contrario: i nuovi positivi giornalieri si dimezzano, da 13.446 a 6.659.
A quei convulsi frangenti risale pure l’angosciante previsione della Fondazione Kessler, elaborata dall’epidemiologo Stefano Merler, già stretto collaboratore dei giallorossi. A metà luglio, avverte, lo scenario più probabile sarà di 300 morti al giorno. Nel peggiore dei casi, si arriverà a 1.300.
Il 15 luglio 2021, invece, si registrano appena nove decessi. Sempre troppi, ci mancherebbe. Ma pur sempre 144 volte meno del pronostico più drammatico di Merler. Tanto che l’algido Draghi, durante l’improvvisata conferenza stampa prefestiva, ricorda la cantonata del «celebrato istituto di ricerca». L’epidemiologo non si scompone. Sa già a chi dar la colpa. Ai giornalisti. «È stata fatta molta disinformazione attorno a quei numeri e, ma non mi riferisco al premier, i dati sono stati spacciati per previsioni quando erano delle meno ambiziose analisi di scenario». Diffuse con la solita magnanimità scientifica, tra giornali e tv amiche.
Vil razza dannata, la nostra. Perfino Matteo Bassetti, primario di malattie infettive all’ospedale San Martino di Genova, ora si lagna: «Sono diventato una specie di idolo perché ho sempre ritenuto sbagliato il terrorismo mediatico sul Covid» ricorda nostalgico. Ma poi, come ogni cosa bella, anche quell’idillio è finito al mutar di variante. «Se Bassetti non piace più non è un mio problema» spiega il professore, che parla ormai di sé in terza persona. «Io porto avanti le ragioni della scienza» suggella. E adesso niente più servizi fotografici in giardino, mentre griglia armato di forchettone. Oppure paparazzate in quel di Ponza, dove esibisce pettorali glabri e torniti.
Per difendere le loro incrollabili certezze sono comunque disposti a tutto. Anche a darsele di santa ragione. Per esempio, lo scorso maggio, mentre la variante comincia a impaurire, proprio Bassetti attacca Galli: «Lavora contro la propria regione». Il professore del Sacco replica acidulo: «Non devo fare né il nano né la ballerina di nessuno». Pure Roberto Burioni, uno che non ha più bisogno di sottopancia, si scatena contro Galli: «Continua a blaterare in tv di un vaccino tarato su un virus di un anno fa».
Implacabile, come sempre. Mai un dubbio. Il 4 gennaio scorso, nel cinguettio millemila su Twitter, Burioni scrive: «Per ottenere immunità di gregge dobbiamo vaccinare intorno al 70 per cento della popolazione». Adesso, riformula: bisogna andare oltre il 90 per cento di copertura. Simile revisione si auto infligge Pregliasco: «Precauzioni come le mascherine dovremo mantenerle finché non arriveremo all’immunità di gregge, che necessita del 60-70 per cento di persone vaccinate». E ora, pure lui, è costretto a riveder le stime: «L’immunità di gregge non si raggiungerà. Ma non è un fallimento. È una caratteristica intrinseca del virus con cui abbiamo a che fare».
Già. Allora perché assicurare, urbi et orbi, che bastava immunizzare sei italiani su dieci? E perché giurare e spergiurare che i vaccini sono invincibili? Di fronte alle mancanze scientifiche del popolo bue, tocca quindi a Ricciardi, un altro che annunciava miracoli, ragguagliare: «La variante Delta ha un po’ compromesso la protezione contro il virus. In questo momenti i vaccini proteggono al 60-65 per cento. C’è una variante in India che è molto preoccupante. Si chiama Delta plus». Ed è ovvio che, dietro quel latinismo rafforzativo, si cela nuovamente l’apocalisse.
Che poi, gli espertoni hanno pure la sindrome di Fonzie, il bullo del telefilm Happy Days che non riesce ad ammettere i propri sbagli neanche sotto tortura. Nessuno che si degni di prender esempio dal più acclamato collega: l’immunologo Anthony Fauci, consigliere del presidente americano Joe Biden per le questioni sanitarie. Diceva che l’emergenza sarebbe tornata sotto controllo nell’autunno 2022. Adesso s’è corretto, anticipando la previsione alla primavera dello stesso anno: «Chiedo scusa, quell’affermazione è erronea».
Robetta, avrebbero minimizzato i nostri. Cosa volete che sia qualche mese in più o in meno? Così, quando si sono azzardati a far notare a Galli la fallacia sue ben più funeste previsioni, il professore ha risposto sardonico: «Preferisco essere catastrofista che facilone». n
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