Il colpo di Stato in Niger è l’ultima delle rivolte che, dal 2019, hanno scalzato gli interessi occidentali, a partire dalla Francia. Un declino che la Russia, con il gruppo Wagner, sta sfruttando per acquistare potere e indebolire la Nato.
«La giunta che ha preso il potere durerà poche settimane senza aiuti esterni. Dalla Nigeria arriva il 70 per cento dell’elettricità che è stata tagliata. E iniziano i blackout. L’aiuto straniero, in parte congelato come ritorsione, ammonta a 2,2 miliardi di dollari, e copre il 40 per cento del budget nigerino» riflette una fonte di Panorama, in prima linea a Niamey, la capitale del Niger in mano ai golpisti dal 26 luglio.
Il colpo di Stato nel cuore del Sahel chiude la «cintura golpista» di sei paesi, dal Sudan alla Guinea, che dal 2019 ad oggi, hanno portato al potere le baionette. Una continuità territoriale in mano ai militari fra l’oceano Atlantico e il mar Rosso, da una parte all’altra dell’Africa. «Il Niger è l’ultima tessera del domino a cadere» dichiara Cameron Hudson, ex funzionario Cia al Financial Times. «La mappa ora sembra davvero sfavorevole agli interessi occidentali. La nostra intera posizione nella regione è in pericolo».
A parte il Ciad, che ha subìto un golpe nel 2021, dove i francesi sono sempre presenti e buoni alleati, negli altri Paesi della «cintura» la Russia o il suo braccio armato, il gruppo Wagner, hanno cavalcato i colpi di Stato. In Africa occidentale i francesi sono stati scalzati dalle ex colonie Guinea, Burkina Faso e Mali. Ora rischiano anche il Niger dove la popolazione è a favore dei golpisti, sventola bandiere russe e innalza cartelli «Abbasso la Francia, viva Putin».
Il generale della riserva, Marco Bertolini, veterano della Somalia, nota «che i golpe nel Sahel sono pilotati o sfruttati da Mosca. I russi approfittano del declino francese nell’area e incassano un successo strategico». L’eminenza grigia del golpe in Niger è il numero due della giunta militare, il generale Salifou Mody, ex capo di Stato maggiore silurato dal presidente eletto Mohamed Bazoum, arrestato dai militari, che lo aveva inviato come ambasciatore negli Emirati arabi uniti. Il 2 agosto Mody è arrivato a Bamako, capitale del Mali, per incontrare il presidente ad interim, Assimi Goïta, capo dei golpisti che hanno preso il potere nel 2021 e gli uomini del gruppo Wagner che hanno sostituito i francesi. «Sono loro a scortare i convogli di merci al confine con il Niger, compresi i camion con materiale e rifornimenti per la base militare italiana a Niamey» dice una fonte attendibile.
Il presidente Bazoum, agli arresti domiciliari con la sua famiglia, ha lanciato l’allarme sul Washington Post: «L’intera regione del Sahel centrale potrebbe cadere sotto l’influenza russa attraverso il gruppo Wagner, il cui brutale terrorismo è sotto gli occhi di tutti in Ucraina». Non è un caso che gli Stati Uniti abbiano inviato a Niamey, per trattare, la vicesegretaria del Dipartimento di Stato, Victoria Nuland. Nel 2014, a Kiev, era una delle paladine della rivolta di Maidan. Allora è rimasta famosa la sua frase intercettata dai russi sull’Unione europea, «fuck Eu» (l’Ue si fotta), che puntava a una linea di compromesso con il presidente filo Mosca alla fine travolto dalla rivolta di piazza. In Niger è l’Italia a portare avanti la linea «moderata» con l’appoggio della Germania. I ministri della Difesa, Guido Crosetto e degli Esteri, Antonio Tajani, hanno dichiarato che «bisogna assolutamente scongiurare una guerra» con un intervento armato soprattutto europeo. La nostra missione bilaterale Misin, attiva dal 2018, ha addestrato circa 10 mila militari nigerini. Gran parte degli ufficiali della giunta golpista hanno avuto rapporti stretti con gli italiani.
«Niamey è un attore imprescindibile per la lotta a diverse organizzazioni terroristiche, così come per la gestione dei flussi migratori, trovandosi a metà percorso tra le principali nazioni d’emigrazione e le rotte del Mediterraneo. Rotte che, in caso di crescita dell’instabilità sociale e politica, vedrebbero aumentare di molto la propria portata» sottolinea l’Istituto per gli studi di politica internazionale. A Niamey abbiamo 300 uomini, compresa la Task force Victor con paracadutisti del 185° Reggimento acquisizione obiettivi e carabinieri del Gruppo d’intervento speciale. A una riunione con le forze occidentali il portavoce golpista, colonnello Amadou Abdramane, ha accusato i francesi di avere infiltrato unità speciali dal Ciad sottolineando che non ci sono problemi con gli altri contingenti.
La Francia ha di stanza 1.500 uomini in Niger, gli Usa un migliaio, e ci sono 100 militari tedeschi. Alla base aerea 101, vicino all’aeroporto di Niamey, dove sono concentrate le forze internazionali, l’appoggio aereo è garantito da quattro Mirage francesi e cinque droni armati Reaper. «In Francia è stata attivata l’alert Guépard» rivela una fonte a Niamey. «Il 2° Rep (reggimento paracadutisti della Legione straniera nda) è pronto al decollo con armamento, munizioni e aerei sulla pista, ma non arriva la luce verde». L’intervento minacciato dall’Ecowas, con tanto di ultimatum scaduto il 6 agosto, pare remoto e ha spaccato la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale. La Nigeria, il Paese più forte, preme per un’azione militare con l’appoggio del Senegal, Costa d’Avorio e Benin (25 mila uomini). Mali e Burkina Faso hanno annunciato che si schiereranno con il Niger, l’Algeria non vuole una guerra ai suoi confini meridionali e anche il Ciad è contrario all’azione armata. La carta di compromesso giocata dai golpisti l’8 agosto è la nomina a premier dell’ex ministro delle Finanze, Ali Mahaman Lamine Zeine, rispettato e credibile. «Se scricchiola il potere democratico o manca una politica forte i militari riempiono i vuoti» aggiunge Bertolini. «Molti si sono formati nelle accademie occidentali. Ora, nel bene o nel male, sono al potere dal mar Rosso all’Atlantico».
Dal 2019 l’area del Sahel ha registrato nove colpi di Stato. In Mali, Burkina Faso e Sudan sono stati doppi, uno dietro l’altro, per assestare il potere dei militari. All’estremità sudanese della fascia golpista è scoppiata da aprile una guerra civile fra i generali Abdel Fattah al-Burhan, che comanda l’esercito e Mohamed Hamdan «Hemedti» Dagalo alla guida di forze paramilitari di supporto rapido. Lo zampino russo non manca con il gruppo Wagner in Libia, che avrebbe rifornito i paramilitari sudanesi. In febbraio il ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, aveva visitato Khartoum. I russi puntano a una base navale a Port Sudan sul mar Rosso.
Nel vicino Ciad la morte in battaglia contro i ribelli che hanno i santuari in Libia del padre-padrone del Paese, il «maresciallo» Idriss Deby Itno, ha portato al potere nel 2021 il figlio Mahamat con un colpo di mano. I francesi sono rimasti, ma con molte proteste contro di loro. Nella parte occidentale del Sahel i golpe che hanno scalzato la Francia, aprendo le porte alla Russia, hanno portato i militari al potere in Mali e Burkina Faso, al confine con Niger e Guinea. Dal gennaio 2022 sono arrivati in Mali 400 uomini del gruppo Wagner. In Burkina Faso, dopo il doppio golpe del 2022, il capitano Ibrahim Traoré è il leader ad interim del Paese. Subito dopo è partita sui canali Telegram legati alla milizia russa una campagna propagandistica che annunciava: «Il Niger è il nostro prossimo obiettivo».
In Guinea ha preso il potere il 5 settembre 2021 il comandante delle forze speciali, Mamady Doumbouya. Mosca condanna il golpe, come da copione. Poi si scopre che emissari russi si erano incontrati con Doumbouya pochi giorni prima del putsch e oggi le relazioni con il Cremlino sono ai massimi livelli. Michelangelo Celozzi, esperto energetico e del «Mediterraneo allargato», lancia un altro allarme sulla cintura golpista del Sahel. «Gli Stati nordafricani potrebbero cessare di considerare l’Occidente come garante di stabilità e sicurezza, economica e militare per affidarsi a Cina e Russia, che hanno avviato la destabilizzazione».