Al progetto della grande patria blu di Erdogan, che mira al controllo politico, militare ed energetico del Mediterraneo orientale, si contrappone la pax mediterranea, invocata dal Presidente francese Emmanuel Macron, volta proprio a contenere le intemperanze turche. Di fronte all’escalation delle frizioni con la Turchia, per il controllo delle zone economiche esclusive e delle concessioni per le esplorazioni petrolifere nel mar Egeo, l’Eliseo ha chiamato a raccolta i sette paesi mediterranei dell’Unione europea. Il vertice di Ajaccio dell’undici settembre ha sancito l’avanzamento di una richiesta di sanzioni economiche da imporre alla Turchia come Unione europea.
La proposta dovrà essere discussa al prossimo Consiglio europeo, ma è improbabile che trovi il consenso di tutti o, quantomeno, che gli altri partner europei decidano di aderire alla formula dura voluta da Macron. Non va dimenticato, infatti, che Erdogan è il signore dell’immigrazione e dunque detiene un gran potere di ricatto sull’Europa. Controlla i flussi dalla Siria, ed è pagato previo accordo da Bruxelles per farlo, con un’azione di cui beneficia prevalentemente l’area tedesca. Inoltre, la Turchia influisce anche sulle migrazioni africane, quelle che arrivano sulle coste siciliane, grazie al ruolo che si è ritagliata a Tripoli sostenendo Sarraj. Dunque, è improbabile che l’Unione europea possa usare il pugno di ferro con il Sultano, anche perché storicamente, quando si tratta di politica estera, Bruxelles non riesce ad usare il pugno di ferro con nessuno. Un attendismo rinsaldato anche dalla posizione americana, in questo momento più incline al divide et impera che a prendere decisamente una delle due parti. Da qui l’iniziativa solitaria della Francia che nell’Egeo ha schierato la portaerei Charles de Gaulle per difendere le aree concesse per le esplorazioni petrolifere alla Total.
Ma in questa tensione destinata a crescere con Ankara si nascondono ulteriori sfide per Parigi. La prima riguarda l’equilibrio interno del paese. La minoranza mussulmana francese è corposa e demograficamente in crescita e ci sono già stati negli scorsi anni diversi attentati di matrice islamica radicale oltre che evidenti problemi d’integrazione socio-culturale nelle periferie. In questo contesto, i vertici dello Stato temono la retorica islamista di Erdogan, che potrebbe alimentare disordini, conflittualità interne e radicalizzazioni. C’è poi la sfida estroversa di Macron, che è quella di rafforzare la presenza francese nel mediterraneo ed in Africa. Il Club Med è una proiezione di potenza transalpina che di riflesso fa pendere una spada di Damocle sull’Italia, costretta a difendere i propri asset strategici dagli appetiti di Parigi. Macron cerca la leadership nel Mediterraneo sia per soggiogare il Belpaese, principale concorrente in quell’area, che per bilanciare la benevola azione di Berlino verso l’Europa meridionale, con l’allenamento dei cordoni della borsa in Europa avviata con la sospensione del patto di stabilità e con il Recovery fund.
Negli Stati africani, già ex colonie francesi, invece l’Eliseo deve fronteggiare proprio l’avanzata di Erdogan che è presente con militari e mercenari in tutta l’Africa orientale. In questo scenario, appare possibile una escalation tra le due potenze fino a quando non si riuscirà a prevenire ad un accordo su mare e petrolio. Macron ha già mostrato più volte le sue venature golliste e, se non troverà sponda dai tedeschi a Bruxelles, probabilmente si muoverà in autonomia. In tutto questo c’è il secondario ruolo dell’Italia, paese sempre più riluttante a scegliere (si pensi alla Libia) ed incapace di legittimare azioni militari alla propria opinione pubblica (c’è anche Eni insieme a Total, ma soltanto la Francia ha inviato la marina). Così il governo Conte è costretto a subire le iniziative del più agguerrito concorrente nel Mediterraneo, che però gran parte della classe dirigente italiana continua a considerare soltanto come un alleato più capace a cui legarsi in modo sempre più stretto sul piano geopolitico e finanziario, da ultimo con la volontà espressa dal governo di cedere Borsa Italiana ad un consorzio a guida francese. Nella guerra del mare e dell’energia, dunque, l’Italia va a rimorchio della Francia con un ruolo di secondo piano. Un chiaro segnale di come l’iniziativa e la scena nel mare nostrum siano oramai saldamente nelle mani di altre nazioni, nonostante la penisola si trovi al centro di tutto. L’Italia avrebbe potuto svolgere un’azione da protagonista, con una migliore difesa dei propri interessi politici ed economici, se solo avesse avuto una classe politica meno pavida, clanistica e approssimativa.