Il capo dell’Oms affronta il suo secondo mandato con un’abile giravolta: da «amico» di Pechino (di cui copriva la reticenza sul virus) a forte critico dell’attuale strategia cinese di «zero Covid». E nel frattempo, con mossa quasi politica, si avvicina a Washington.
Mentre il direttore generale dell’Oms, l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, unico candidato, si avvia verso un nuovo mandato, sembrano ormai lontani i tempi in cui i suoi fin troppo buoni rapporti con la Cina facevano discutere. Lo scorso 10 maggio il numero uno della sanità mondiale ha definito la politica cinese di tolleranza zero al Covid «non sostenibile» arrivando a puntare il dito persino sulle ricadute in termini di diritti umani. Una stoccata che il Dragone ha rimandato al mittente sollecitandolo ad «astenersi dal fare dichiarazioni irresponsabili».
Un netto cambio di toni rispetto all’inizio dell’emergenza Covid, quando in visita a Pechino, Tedros elogiava «l’impegno e la trasparenza» di Xi Jinping sul coronavirus, sconsigliava restrizioni ai viaggi e abbozzava sui ritardi della Cina, al punto da arrivare a riconoscere ufficialmente lo status mondiale di pandemia solo l’11 marzo 2020. Errori e passi falsi tali da far finire il direttore dell’Oms nell’occhio del ciclone proprio per i suoi agganci politici, e al suo essere in carica anche grazie al supporto del gigante asiatico.Del resto, l’amicizia con Pechino risale agli anni Novanta quando il Tplf (il fronte marxista-leninista del Tigray) era al potere in Etiopia, e Tedros ne era un alto dirigente. Un periodo in cui la leadership etiope poteva contare sull’appoggio politico degli Stati Uniti, che ne avevano finanziato l’ascesa al potere nel 1991 per sostituire il regime filosovietico del Derg, così come su quello della Cina, modello di sviluppo economico e partner commerciale pronto a offrire fondi e investimenti.
Le aspettative cinesi Tedros sembra averle avute parecchio a cuore fin dal suo primo mandato, dai costanti apprezzamenti rivolti alla sanità cinese alla decisione di difendere la politica «One China» e dunque non avallare le richieste di Taiwan di elevare l’isola allo status di osservatore dell’Oms. Poi, colpo di scena: il 30 marzo 2021 il feeling si interrompe e l’Oms accusa la Cina di non dire la verità sull’origine del Sars-CoV-2, all’origine della pandemia. Le date sono importanti: proprio tre settimane prima, in sede di Consiglio di sicurezza Onu, la Cina, in compagnia peraltro della Russia, aveva deciso di non interferire nella crisi scoppiata nel frattempo nella terra di Tedros: il Tigray, una delle 10 regioni dell’Etiopia.
È qui che il 3 novembre 2020 il suo «vecchio» partito (il Tplf) lancia un’offensiva preventiva contro il governo del premier etiope Abiy Ahmed, trovando fin da subito il sostegno dei principali media internazionali e dell’amministrazione americana. Gli Usa, a differenza di Pechino, spingono per dure sanzioni contro Addis Abeba, ritenuta colpevole di aver violato i diritti umani in Tigray e, forse, di portare avanti una politica poco filoamericana: dal riavvicinamento all’Eritrea ritenuto «destabilizzante» dall’allora inviato speciale per il Corno d’Africa americano Jeffrey Feltman alla gestione della Diga sul Nilo.
Quanto la questione etiope rappresenti il perno delle giravolte dell’Oms, non è un divertissement per amanti della dietrologia: è lo stesso Tedros a ricordarci quale sia il suo pensiero dominante, persino durante una conferenza stampa in cui si doveva parlare di Covid e di guerra in Ucraina. «Non c’è al mondo un posto più a rischio del Tigray» aveva detto lo scorso 16 marzo di fronte a una platea di giornalisti basiti.
Scorrendo il suo profilo twitter, non è difficile notare quanto il capo dell’Oms incarni il ruolo di portavoce della causa dei ribelli tigrini che da quasi due anni accusano il governo etipe (forse nella speranza di destabilizzarlo) di pulizia etnica contro la popolazione del Tigray, e di bloccarne gli aiuti umanitari. Accuse smentite dalle immagini del World food program con i camion di aiuti che non hanno mai smesso di entrare in quel territorio, e dalle tante testimonianze dei tigrini che fuggiti dal Tigray raccontano storie dell’orrore sui loro presunti liberatori del Tplf.
Oltre a non avere una laurea in medicina ma un curriculum che include una gestione inadeguata anche di alcune epidemie di colera ai tempi in cui era ministro della Salute in Etiopia, più che la sanità Tedros sembra avere a cuore la politica, gli interessi del suo partito e dei suoi potenziali alleati negli anni a venire. Non sembra un caso, anche in funzione di un ulteriore consolidamento dei rapporti con Washington, la recente visita a Kiev. Eppure, con 194 membri, oltre che a-politico l’Oms dovrebbe essere un organismo multilaterale. Invece…