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Nella guerra in atto con la politica a perderci è la giustizia (sempre meno credibile)

Nella guerra in atto con la politica a perderci è la giustizia (sempre meno credibile)

Dopo i casi Santanché e Delmastro (con le loro stranezze) ecco la notizia dell’inchiesta per stupro contro il figlio di La Russa

Ieri sera a tavola si commentava la nota filtrata da Palazzo Chigi in cui, all’indomani dei casi Santanché e Delmastro, si parlava di una discesa in campo dei magistrati contro il Governo («è cominciata la campagna elettorale per le europee…»). Interpellato sul tema mi limitavo a prendere tempo ricordando un vecchio detto popolare: “Uno è un caso, due sono coincidenze ma tre fanno una prova”. Eravamo a quota due. Nemmeno il tempo di andare a dormire che al risveglio ecco il fatto numero tre: il figlio di La Russa è accusato di stupro. Ecco la prova.

Inutile dire che non ci sarà mai nessuno che racconterà la verità; non ci sarà mai un giudice che ammetterà (anche se con la vicenda Palamara ci siamo andati molto vicini) «si, abbiamo fatto politica dai banchi dei tribunali contro questo o quel governo, contro questo o quel politico». Ma oggi, davvero, come si fa a non pensare male? Come si fa a non avere il sospetto che siamo nel pieno di un attacco di una parte della magistratura al Governo Meloni?

Anche perché le anomalie, oltre che la tempistica, sono sospette. Per il caso Santanché abbiamo scoperto che il mondo va al contrario: non è più il giudice a dover informare una persona del suo essere Indagata ma è il cittadino che deve scoprirlo, impegnandosi. Insomma, da oggi per scoprire se abbiamo preso una multa dobbiamo noi chiamare la polizia locale della nostra città e non aspettare la ricevuta. Addirittura per la Santanché siamo andati oltre; il ministro avrebbe fatto apposta a non informarsi per poter così dire al Senato di non essere iscritta nel registro degli indagati ma di averlo scoperto da un giornale. Deliri…

Sul caso Delmastro poi siamo davanti alla decisione di un Gip che ha sconfessato la richiesta della Procura, secondo cui il sottosegretario e la sua inchiesta erano da archiviare; un ribaltamento della richiesta dell’accusa che accade nei tribunali all’incirca una volta ogni vittoria in Champions League di una squadra italiana.

Dubbi su dubbi; stranezze su stranezze e così siamo all’ennesima crisi tra due poteri, crisi cominciata trent’anni fa con la discesa in campo di Silvio Berlusconi o prima ancora con Tangentopoli, e di cui non si vede la fine.

Secondo alcuni dietro l’attacco (presunto) della magistratura ci sarebbe la Riforma della Giustizia del Ministro Nordio; riforma, diciamo la verità alla fine molto più morbida rispetto a quanto previsto in principio e forse rispetto alle reali necessità del Paese. Secondo altri è invece mera opposizione politica di un mondo di sinistra ad un governo di destra avvalorato ad esempio dalle presunte inchieste sul padre (ripudiato da sempre) del papà di Giorgia Meloni o quelle sulle attività ed i contatti della mamma della premier.

Lasciamo ai tribunali il tempo (speriamo breve) di stabilire colpevolezza o innocenza di Santanché, Delmastro e del figlio di La Russa. Il danno politico però è fatto e, soprattutto, il problema resta.

Nella Costituzione c’è scritto che esistono tre poteri nel nostro ordinamento: esecutivo, legislativo, giudiziario. La sensazione è che però non ci sia alcun equilibrio tra questi. Soprattutto non ci sono barriere a fermare gli interventi della giustizia in politica. Al punto che alla domanda: ma chi è più potente in Italia, un politico o un magistrato? non abbiamo risposta.

Qualcosa però va fatto e non per salvare un politico o un esecutivo: qualcosa va fatto per ridare credibilità alla giustizia. Gli italiani non si fidano, anzi, la parola giustizia o processo o tribunale mettono paura. Questa cosa dovrebbe preoccupare tutti, per primi i magistrati. Ma forse sono troppo impegnati a fare altro per accorgersene.

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