Luglio sembra oramai molto lontano, quando il governo Conte proclamava festante il ritorno di Autostrade allo Stato attraverso l’intervento di Cassa depositi e prestiti. La resistenza della famiglia Benetton e dei fondi d’investimento coinvolti in Atlantia è più dura e difficile da scardinare di quanto previsto a Palazzo Chigi. Addio al tavolo con la Cassa. Il governo può fare poco. O tornare all’idea dell’esproprio o invocare il golden power per evitare che stranieri prendano la rete. Ma – paradosso – la lascerebbero in mano alla famiglia di Ponzano.
Luglio sembra oramai molto lontano, quando il governo Conte proclamava festante il ritorno di Autostrade allo Stato attraverso l’intervento di Cassa depositi e prestiti. La resistenza della famiglia Benetton e dei fondi d’investimento coinvolti in Atlantia è più dura e difficile da scardinare di quanto previsto a Palazzo Chigi. Il tavolo salta sulla manleva, cioè sullo scudo dalle responsabilità (i risarcimenti) che potrebbero essere accertate durante il processo sul crollo del ponte Morandi a Genova, che Atlantia non vuol concedere alla Cdp. Tuttavia, che il cda di Atlantia, che controlla Aspi (Autostrade per l’Italia), volesse prendere tempo e complicare la negoziazione era già nell’aria ad agosto, quando i suoi vertici avevano proposto una dual track per mandare in porto la trattativa, facendo sparire l’aumento di capitale riservato per Cdp. La cosiddetta dual track prevede o la vendita diretta della quota dell′88% di Autostrade sul mercato o la scissione di Autostrade da Atlantia, con la cessione della prima attraverso un processo più complesso e graduale. Già ad inizio agosto, dunque, per Atlantia non si poteva tornare allo schema del 14 luglio, che prevedeva come passo iniziale l’ingresso di Cdp nel capitale di Autostrade attraverso un aumento di capitale riservato. Atlantia, invece, ha annunciato il 24 settembre che la strada è quella decisa da tutti i suoi soci negli ultimi due mesi. Le richieste della Cassa su aumento di capitale riservato e manleva sono respinte.
La trattativa è, dunque, in stallo e qui si aprono i problemi politici per il governo. Il primo è il cono d’ombra sulla strategia della famiglia Benetton, che controlla Atlantia, libera di fare delle quote in Autostrade ciò che vuole. I Benetton prendono tempo, il Cda ha annunciato che entro il 16 dicembre dovranno essere presentate le offerte non vincolanti per le azioni di Aspi, e si guardano intorno. Nulla, di fatti, impedisce ad Atlantia di cedere il suo 88% a gruppi stranieri operanti nelle infrastrutture, paventando uno scenario da incubo per il governo. A quel punto tra gli analisti c’è chi si aspetta l’esercizio della golden power, in un’ottica di protezione della rete italiana, col paradosso però che Aspi resterebbe nelle mani dei Benetton pur di non finire allo straniero. Dopo la rottura con Cdp nulla esclude, comunque, che Atlantia possa dilatare le procedure di cessione con chicchessia per tenersi quanto più a lungo Autostrade e per spuntare un’uscita migliore o una quota di minoranza più ampia.
Il governo può fare ben poco a questo punto. A meno di non tornare al progetto originario del Movimento, cioè a quella revoca della concessione che però aprirebbe una serie di gravi problemi gestionali e legali per l’esecutivo e che vede contrari tutti gli alleati di governo. L’esecutivo potrebbe minacciare la revoca, ma oramai con quale credibilità? Il secondo problema è che il governo non può chiedere, come sta cercando di fare in questi mesi, troppo alla Cassa depositi e prestiti, che opera con precisi vincoli statutari privatistici e che poggia le sue operazioni sul risparmio degli italiani. In altre parole, come la rottura della trattativa dimostra, la Cassa non può sempre soddisfare i desiderata della politica. In questo scenario, tutti i piani del governo rischiano di andare a rotoli. Non si realizzerebbe la politica di parziale nazionalizzazione di Autostrade; non si materializzerebbe la sanzione ai danni dei Benetton per la scarsa manutenzione che ha portato alla tragedia di Genova; non ci sarebbe quel protezionismo finanziario sulle infrastrutture strategiche nel caso di un’operazione di un concorrente straniero o ci sarebbe soltanto in forma paradossale; emergerebbero immediatamente i limiti del nuovo interventismo statale del governo giallorosso. I prossimi mesi ci diranno se quello di Atlantia è un semplice bluff volto a spuntare migliori condizioni per la cessione a Cdp e ad altri investitori istituzionali o se, invece, i Benetton hanno ancora reali spazi di manovra sia per tenersi Autostrade che per venderla semplicemente al migliore offerente. Nel primo caso lo Stato rischia di fare un cattivo affare a vantaggio di Atlantia, mentre nel secondo la maggioranza rischia di fare una pessima figura.
