Home » Attualità » Politica » Ritratto in chiaroscuro della Lady di ferro

Ritratto in chiaroscuro della Lady di ferro

Ritratto in chiaroscuro della Lady di ferro

L’infanzia tormentata e l’abbandono del padre, il debutto in politica a 15 anni e, da lì in poi, una carriera sempre in ascesa, sino alla poltrona di premier. Dove, tra pregiudizi e rapporti (tesi) con alleati e avversari, ma con il sostegno dei fedelissimi e di certi inossidabili affetti, il nuovo Presidente del Consiglio – al maschile, come ha preteso con orgoglio – si gioca la partita più difficile. Per lei e per l’Italia.


Quando ha messo piede la prima volta nella sua nuova stanza da presidente del Consiglio a palazzo Chigi, Giorgia Meloni si è sentita quasi mancare l’aria. Un po’ per l’emozione, che l’ha paralizzata fin dal momento che ha varcato il portone, attesa sul tappeto rosso con i militari che suonavano l’inno di ingresso. «È una cosa un po’ impattante emotivamente», ha sussurrato a Mario Draghi che l’attendeva sorridente in cima ai due scaloni che portavano alla sala dei Galeoni per la cerimonia della campanella con cui si formalizza il passaggio di consegne.

La stessa sensazione l’ha accompagnata la mattina, entrando nella stanza che sarà il suo ufficio finché il nuovo governo manterrà la fiducia del Parlamento. Ai collaboratori Meloni ha confessato un certo disagio per l’arredo di altri tempi, la tappezzeria giallo-oro che scurisce l’ambiente, la scrivania antica e preziosa, le tende giallo-senape che filtrano ogni luce obbligando spesso a tenere accesa quella elettrica. Le finestre con doppi vetri non si possono aprire. Quella dietro la scrivania che si affaccia su piazza Colonna è inarrivabile perché, in mezzo, tre grandi bandiere oscurano ancora di più la stanza. Dall’altro lato c’è una finestra su via del Corso angolo via del Tritone che in teoria si può aprire, ma poi non si riesce manco più a parlare: il traffico intenso e il vociare delle frotte di turisti in coda davanti ai magazzini Zara entrano dentro come ci si trovasse in mezzo all’incrocio stradale.

Unica nota positiva: la poltrona del premier oggi è una comoda seduta in pelle nera con le rotelle. Prima ce n’era una antica, risalente all’epoca dei Chigi, sfondata dalla girandola dei presidenti del Consiglio che l’avevano calcata nella lunga storia repubblicana. Nell’estate 2013 l’allora premier Enrico Letta la fece restaurare: il conto fu salato (25 mila euro), e si preferì utilizzarla solo in occasioni speciali.

È arrivata lassù la ragazzina che a 15 anni decise di entrare in politica, iscrivendosi alla sezione della Garbatella – quartiere popolare di Roma – del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento sociale italiano. Era il giorno successivo alla strage di via D’Amelio, dell’assassinio di Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta. Una lunga strada compiuta in gran parte da sola, conquistandosi la carriera politica a morsi. Anche la vita, perché Giorgia da bambina ha imparato a crescere in una famiglia di sole donne: il padre le aveva abbandonate piccolissime e lei e la sorella Arianna erano cresciute con mamma Anna Paratore, passando da una vita agiata alle difficoltà quotidiane per mettere insieme il pranzo con la cena.

Giorgia non è infatti nata alla Garbatella, il quartiere che poi ne avrebbe segnato l’adolescenza e la vita. Viveva in una bella casa in una zona bene di Roma Nord, e quella era la sola cosa che aveva lasciato un padre con cui poi non avrebbe mai avuto alcun tipo di rapporto. Ancora bimbetta (poco più di tre anni) con la sorella maggiore decise di preparare una festa notturna. Accesero una piccola candela in stanza, e la lasciò lì andando poi davanti alla tv a vedersi qualche cartone animato. Era accanto a due peluche, e in pochi minuti le fiamme distrussero l’appartamento. Mamma e figlie salve, ma l’unico bene che avevano non c’era più. Si trasferirono in una modesta casa alla Garbatella con la mamma ragioniera che aveva trovato qualche lavoro intermittente per campare. Nel trasloco spuntò fuori una vecchia macchina per scrivere Olivetti Lettera 24 e a mamma Anna venne l’idea di arrotondare le scarse entrate trasformandosi in scrittrice. Aveva buone letture alle spalle (lei fece leggere a Giorgia Il Signore degli Anelli di J. R. R. Tolkien e La storia infinita di Michael Ende). E grazie a chi la presentò prima a un piccolo editore (Edizioni Le Onde) e poi al più affermato Armando Curcio editore, si trasformò inizialmente in Josie Bell e dopo in Amanda King, finte scrittrici americane di romanzi rosa. Scriveva di notte e li sfornava a ripetizione: dalla metà degli anni Ottanta a fine anni Novanta, oltre 100 titoli. Nella quarta di copertina sempre la stessa nota biografica: «Vive con le due figlie in una villetta sulla spiaggia di Malibu, da quando ha divorziato da suo marito». Sono stati fondamentali per mantenere agli studi le ragazze, fino a quando non ha trovato un lavoro regolare da ragioniera.

Dalla sezione della Garbatella la storia politica di Giorgia è stata rapida come un fulmine: prima l’incontro con il gruppo dei gabbiani Colle Oppio guidato da Fabio Rampelli (oggi vicepresidente della Camera), che la lanciò come candidata al consiglio provinciale di Roma. Eletta, conobbe Francesco Lollobrigida (detto Lollo), all’inizio scontrandosi con lui, poi legando stretto. Lo fece conoscere alla sorella Arianna che se ne innamorò: hanno messo su famiglia. Più nota la storia di Atreju, la festa annuale nata proprio dalla lettura del libro di Ende, con cui Meloni si è fatta conoscere ogni anno ben prima della nascita di Fratelli d’Italia.

Con lei c’era quella che ancora oggi è la sua squadra: oltre a «Lollo», il toscano Giovanni Donzelli, Patrizia Scurti, l’assistente che la marca come una guardia del corpo, Giovanna Iannello, la portavoce, Paolo Quadrozzi (ufficio stampa) e Tommaso Longobardi (l’uomo dei social). A loro si sarebbe aggiunto qualche anno dopo Giovanbattista Fazzolari, che sarebbe diventato suo capo di gabinetto quando Silvio Berlusconi la nominò ministro della Gioventù. Fazzolari è stato il coordinatore del programma di Fratelli d’Italia alle elezioni politiche del 2022 e ne sarà il garante dell’attuazione anche a palazzo Chigi, dove Meloni lo vuole tenere a stretto contatto. Il gruppo dei fedelissimi è considerato anche nel suo partito – da chi è più distante – una sorta di clan, e spesso se ne sparla. Non va giù il nemmeno rapporto troppo stretto con la sorella Arianna e Lollo, che spesso ne hanno condizionato le scelte politiche. Come per la non fortunatissima candidatura di Enrico Michetti a sindaco di Roma del 2021, naufragata insieme al centrodestra in un’elezione che sembrava a portata di mano. Michetti era una passione della sorella Arianna, che lo ascoltava ogni mattina andando al lavoro nelle sue filippiche su Radio Radio, emittente romana. Non ci fu verso di fare cambiare idea a Giorgia sul consiglio dato dalla sorella, ed è finita come è finita.

Se Berlusconi la rese ministro per la prima volta, fu Gianfranco Fini a volerla candidata alla Camera dei deputati nel 2006, facendola poi eleggere vicepresidente dell’assemblea di Montecitorio, la più giovane nella storia repubblicana. Con Berlusconi i rapporti furono difficili fin dall’inizio. Lei non sopportava che anche in pubblico la chiamasse «la piccola»: in un filmato, la parola fu distorta e trasformata sui social in un «Dove è la zoccola?», facendo centinaia di migliaia di visualizzazioni. Con Matteo Salvini, l’altro alleato, i contrasti non sono stati pochi e perfino le litigate furiose (sono sempre stati concorrenti sullo stesso mercato politico), ma di base c’è stata più consonanza di idee e più rispetto reciproco. Con il Cavaliere questa chimica non è mai scattata. Si sentì quasi umiliata quando lui annullò le primarie del Pdl dove Meloni si era candidata nel dicembre 2012. Lei decise proprio per quello di dare vita a Fratelli d’Italia e andò a comunicarlo a Berlusconi. «Quando glielo dissi, a Palazzo Grazioli» ha scritto Giorgia nella sua autobiografia «mi rispose con quel suo fare pragmatico da uomo d’affari che ha imparato come tutto, e quasi tutti, abbiano un prezzo. «Va bene, ho capito… Allora, dimmi: che cosa vuoi, che cosa vuoi fare?».

Due mondi distanti. Lo si capì bene anche nel 2018, nelle famose consultazioni al Quirinale dove Salvini era per la prima volta leader del centrodestra e Berlusconi al suo fianco mise in scena lo show dell’«uno, due e tre» con le dita della mano a far capire che era ancora lui a dare le carte e ad avere preparato il discorso del leader della Lega. Meloni si indignò per quello show che umiliava l’altro alleato, e scrisse a un amico che aveva assistito alla scena: «Adesso Silvio ha davvero rotto il c…». Senza mezzi termini, come spesso fa lei. In politica quei toni ha imparato ad abbandonarli. Anche in queste settimane di formazione del governo dove Berlusconi si è riconquistato la scena. Quando gli obiettivi hanno inquadrato quel foglietto con giudizi assai poco lusinghieri su di lei, Meloni ci ha scherzato su: «Ma te lo devi proprio scrivere che io sono una str…, altrimenti te lo dimentichi?». Si è preparata a lungo per la vita istituzionale, e il freno a mano scatta di istinto.

Da Berlusconi però Giorgia ha «ereditato» una mania: quello di scrivere tutto quello che ascolta su un quadernetto o un foglio per appunti: è il suo modo di mandare a memoria. E dopo avere scritto è in grado di ripetere le stesse cose a braccio in qualsiasi occasione. Prende appunti anche da persone lontanissime da lei, e trasforma poi con il suo modo di vedere la realtà. Sa che deve imparare, perché troppo non conosce. Ma la sua grande angoscia è che l’impatto con la realtà di governo non finisca con il trasformare lei, nel farla diventare quella Draghetta (piccola Mario Draghi) che già ora Maurizio Crozza interpreta. Dopo le elezioni ha implorato gli amici: «Mi raccomando, se mi vedete cambiare troppo, sparatemi».

Nella vita personale qualcosa dovrà cambiare. Non ha mai avuto scorta (e talvolta ha avuto paura), e ha sempre odiato essere inseguita da fotografi e giornalisti soprattutto quando si ritira fra le mura familiari con il compagno Andrea Giambruno (giornalista Mediaset) e la figlia Ginevra. Finora il weekend era per loro, a Roma o a Milano. Per proteggere la privacy anche nei mesi estivi portava la bambina a fare il bagno a Focene, dove sfocia il Tevere, sulla spiaggia più improbabile, popolare e inquinata di Roma, Coccia de’ Morto («testa di morto»), resa celebre da Paola Cortellesi e Antonio Albanese nel film Come un gatto in tangenziale. Giorgia ha raccontato che la cosa faceva sorridere il suo grande amico Marco Mezzaroma (industriale e primo marito di Mara Carfagna): «Dice» ha scritto lei «che far fare il bagno a Ginevra in quel mare è l’undicesima vaccinazione obbligatoria richiesta dal ministero della Salute. Ma a me il posto piace, anche perché, negli anni, è diventato meta fissa dei miei amici storici. E se a un certo punto riesco a scappare due ore, so che lì troverò sempre qualcuno di allegro». Non chiudersi troppo nel bunker con i più stretti collaboratori e saper tenere l’equilibrio di una maggioranza dove gli altri due leader sono maschi alfa poco abituati a essere «comandati» da una donna è la prima sfida da affrontare per sperare in un governo di legislatura.

Meno complicata, nonostante la difficilissima congiuntura economica e internazionale, l’attività di governo. Il programma è davvero comune anche sui temi più spinosi. Il primo dossier è quello degli aiuti contro il caro bollette, e si allungherà la copertura temporale dell’ultimo decreto Draghi rafforzandone anche gli importi. Qui sono tutti d’accordo. Ci sarà anche un intervento sugli extraprofitti, con l’idea però di colpire chi ha fatto i guadagni più straordinari con la speculazione: i gestori delle sovvenzionatissime rinnovabili, che costano assai poco e hanno fatto guadagnare troppo grazie al prezzo di rivendita legato a quello dell’energia da fonti fossili. Pure sul fisco il programma è comune e non farà litigare. Già annunciato l’innalzamento del tetto al contante, prendendo a riferimento la lettera inviata dalla Bce nel 2019 al governo Conte bis. E il nuovo provvedimento di rottamazione delle cartelle servirà a dare entrate nella prossima manovra. Subito un allargamento della flat tax per le partite Iva da 65 a 100 mila euro, poi una sua estensione allargata ogni legge di bilancio.

Si stanno facendo i calcoli sulle cifre a disposizione per ridurre il cuneo fiscale. L’obiettivo è tagliare 5 punti, due terzi a favore dei lavoratori e un terzo a favore delle imprese durante questa legislatura. Non è ancora certo se c’è spazio immediato in questa manovra, ma c’è una spinta forte a trovarlo per dare un messaggio alle imprese. Non c’è tempo per mettere mano a una vera riforma della Fornero, ma vengono prorogati al 2023 tutti i correttivi esistenti, in scadenza il 31 dicembre (da Opzione donna a quota 42). Il reddito di cittadinanza verrà riformato con un provvedimento ad hoc che per ora faccia restare dentro il sistema del welfare i risparmi che si vogliono ottenere.

Tecnicamente è un dossier di più lunga attuazione, e quindi non sarà possibile mettere le cifre definite in legge di bilancio. Su immigrazione, sicurezza e riforma della giustizia le distanze fra i partner di governo sono davvero minime ed è anche probabile che con Matteo Piantedosi al ministero dell’Interno tornino in primo piano i decreti sicurezza che lui stesso aveva scritto quando Salvini era ministro dell’Interno. La nave della Meloni è partita fra i marosi. Convinta di poterli affrontare e anche superare. È la sua scommessa…

© Riproduzione Riservata