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La ripresa arriverà non prima del 2022

La ripresa arriverà non prima del 2022

Rubrica Portugal Street

Il recupero dei livelli pre-crisi, a eccezione della Cina, avverrà fra un anno, in Italia forse fra due. Per questo occorre realizzare quelle riforme strutturali che da tempo auspichiamo. Le risorse non mancano. Quello che serve, però, è una strategia a medio termine.


La pubblicazione odierna dei dati Istat sul mercato del lavoro completa una serie di numeri e analisi che negli ultimi giorni sono stati diffusi, a livello nazionale e a livello internazionale. Lo scenario che ne emerge è abbastanza uniforme e coerente. La ripresa non sarà così veloce come ci si attendeva qualche mese fa.

Il recupero dei livelli pre-crisi, Cina a parte, avverrà non prima del 2022. Per l’Italia forse anche non prima del 2023. La crescita che ci attende sarà, inoltre, lenta e diseguale, accentuando i divari (regionali, generazionali, di condizione) oggi esistenti. Peraltro, le incertezze continuano a essere molte e soprattutto in grado di condizionare negativamente le aspettative, sia quelle delle famiglie sia quelle delle imprese.

Interi settori produttivi rischiano di essere paralizzati ancora per molti mesi e, seppure il Governo abbia adottato molteplici provvedimenti di sostegno finanziario, la loro futura sorte è molto incerta. Gli effetti sul mercato del lavoro e sulle prospettive occupazionali non tardano a farsi vedere. Se analizziamo il numero di occupati tra oggi e l’inizio della pandemia la perdita è di oltre 400.000 unità, il numero di disoccupati è aumentato di 80.000 unità e vi sono quasi 230.000 inattivi in più.

Sono numeri che appaiono contenuti rispetto alla gravità della crisi, ma purtroppo falsati dall’adozione di misure protettive dei lavoratori quali la Cassa Integrazione e il blocco dei licenziamenti. In questa maniera si è, dunque, «congelato» il mercato del lavoro rimandando a una fase successiva gli aggiustamenti necessari con il rischio, però, di una esplosione di disoccupazione. E occorre tenere anche presente il fatto che molte di queste attività probabilmente non esisteranno più nei prossimi mesi.

I dati mostrano chiaramente come la perdita di occupazione avvenga tra gli indipendenti e i contratti a termine. Giovani, donne e lavoratori autonomi sono le categorie che stanno soffrendo di più dal progressivo deteriorarsi del mercato del lavoro. La fragilità degli andamenti occupazionali è dimostrata anche dalla progressiva riduzione delle probabilità di assunzioni dichiarate dalle imprese e dalla continua crescita degli inattivi.

Emerge molto chiaramente in questa crisi come siano assolutamente diversi i mercati del lavoro dell’Europa continentale fondati su meccanismi di protezione del posto di lavoro da quelli di stampo anglosassone dove si tende a proteggere di più il reddito da lavoro, con i secondi che subiscono in maniera più evidente le oscillazioni del contesto economico.

Appare altrettanto evidente come sia differente il peso delle politiche passive rispetto alle politiche attive nei due gruppi di Paesi e quanto sia complessa la transizione dalle une e alle altre. Nulla di più esemplare, guardando al caso italiano, vi è della vicenda dei navigator e della parabola di questo ultimo biennio delle politiche attive nazionali.

La cosiddetta «seconda ondata» trova, dunque, il mercato del lavoro in una situazione molto complessa e le politiche del lavoro non pronte ad affrontare le sfide che si pongono davanti a noi. Anche in questo ambito si è perso tempo prezioso e non si è stati capaci ancora di cambiare passo. Troppo limitato il segnale dato dal Fondo nuove competenze.

Occorreva, invece, disegnare una precisa strategia sulle competenze, organizzare una rete più resistente e proattiva dei servizi per l’impiego, rendere più flessibile la normativa contrattuale, costruire un più efficace sistema di incentivi alle assunzioni, ridisegnare le politiche passive in direzione di una più robusta passerella verso le politiche attive, riprendendo l’assegno di ricollocazione.

Strategie semplici, ma capaci di contenere positivamente le «rotture» del mercato, indirizzandole verso quelle riforme strutturali che da tempo auspichiamo ma che tardano a svilupparsi. Il tempo ci sarebbe ancora, sfruttando la legge di bilancio e i decreti «ristori». Le risorse finanziarie non mancano certamente, ciò che appare assente è una idea di strategia, una visione di medio termine. L’arrivo delle risorse del Recovery Plan non può trovare, su questi filoni, l’Italia assente o male preparata.

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