La riforma Cartabia è una sconfitta per i Cinque stelle. Non a caso, sulle nuove norme non si terrà una votazione fra gli iscritti.
Che la riforma della giustizia vada considerata una sconfitta per il Movimento 5 stelle lo certifica la tempestiva (e imbarazzata) decisione dei supremi vertici del grillismo: sulle nuove norme varate stamattina dalla Camera con il secondo voto di fiducia non si terrà nessuna consultazione degli iscritti. Il neoleader Giuseppe Conte ammaina quindi anche questa storica «bandiera» del Movimento, sostenendo con clamorosa ipocrisia politica che la riforma della giustizia «non merita una votazione tra gli iscritti», in quanto «per tre quarti l’impianto normativo complessivo è targato Alfonso Bonafede», cioè sarebbe in continuità con l’operato del ministro grillino.
La falsità dell’assunto viene facilmente dimostrata se solo si pensa che la riforma firmata dal ministro Marta Cartabia ha tra i suoi obiettivi proprio quello di rimediare ai gravi problemi causati dall’abolizione del blocco della prescrizione in sede penale dopo la sentenza di primo grado, introdotto nel dicembre 2018 dal suo predecessore Bonafede e votato anche dalla Lega, allora in maggioranza col M5s.
È vero che la riforma Cartabia ha in parte confermato la disciplina della prescrizione firmata Bonafede, ma ha stabilito che questa valga solo per il primo grado di giudizio: per fare un esempio, quindi, un processo di tribunale per furto – dal rinvio a giudizio alla sentenza – da ora in poi potrà durare anche sei anni. Ma da quel momento (se la riforma in settembre sarà confermata dal Senato) tutto cambierà: in secondo e in terzo grado, la giustizia sarà obbligata a diventare molto, molto più veloce perché per «assicurare tempi certi e ragionevoli al processo» la riforma ha creato un nuovo istituto, l’improcedibilità basata sul tempo.
In generale, il nuovo sistema funzionerà così: se non si arriva a una sentenza d’appello entro due anni, e se non si arriva a un giudizio di Cassazione entro un anno, il ritardo dovrà essere considerato dai giudici «causa d’improcedibilità dell’azione penale». Improcedibilità significa che, quando i termini di tempo saranno superati, le Corti d’appello e la Cassazione dovranno dichiarare «estinto» il processo e l’imputato sarà automaticamente assolto.
Ed è vero che, grazie alle pressioni dei ministri e parlamentari grillini, il ministro Cartabia ha dovuto allungare i termini dell’improcedibilità per cinque reati considerati «particolarmente gravi», e cioè la corruzione, la concussione, l’associazione di stampo mafioso, lo scambio politico-mafioso e i reati con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico. Ma i capisaldi del grillismo giudiziario, e cioè l’Associazione nazionale magistrati e alcuni pubblici ministeri che il M5s considera come altrettanti «fari», continuano a sostenere che la riforma causerà disastri incommensurabili.
Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri sostiene che «decine di migliaia di mafiosi resteranno impuniti», e il procuratore nazionale antimafia e anti-terrorismo Federico Cafiero de Raho sostiene che la riforma Cartabia mette «in pericolo la sicurezza nazionale». Parla apertamente di «obbrobrio giuridico» Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte costituzionale: «Chi conosce i carichi della Corte d’appello e ancor più i carichi della Cassazione», dice, «sa bene che i termini (dell’improcedibilità, ndr) non potranno mai essere rispettati. In tal modo, nel pieno rispetto delle teorie berlusconiane, si ottiene il risultato che si voleva evitare con il blocco dei termini di prescrizione: farla fare franca a chi ha commesso i delitti più gravi».
La vede molto diversamente il centrodestra, che di questa riforma si dice pienamente soddisfatto. E anche giuristi liberali come Franco Coppi, avvocato e professore emerito di diritto penale (il quale all’inizio aveva criticato la bozza di riforma Cartabia) giudicano «positivo il superamento della follia del blocco della prescrizione di Bonafede». Sull’improcedibilità, Coppi sostiene che «una mannaia che manda al macero processi troppo lenti sarà forse dolorosa, in certi casi, ma è necessaria in quanto scelta di civiltà giuridica».
In attesa di vedere quale tra i due schieramenti abbia ragione (e la riforma prevede un periodo transitorio di tre anni, con tempi più lunghi per arrivare all’improcedibilità, proprio per valutare i risultati concreti della nuova normativa), una sola cosa è garantita: a essere sconfitti, in questo braccio di ferro, sono stati i leader e i ministri grillini che oggi si dicono tanto soddisfatti. Si capisce quindi perché Conte eviti accuratamente di sottoporre la riforma al voto degli iscritti. Resta un solo dubbio: la base del M5s reggerà alle continue contorsioni dei suoi vertici?
