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La resurrezione di BoJo

La resurrezione di BoJo

Dopo scandali e passi falsi, il premier britannico Boris Johnson si è rilanciato grazie alla crisi ucraina. Anche se su ritorsioni agli oligarchi russi e accoglienza dei profughi restano troppe ombre.


Chi lo ha incontrato in questi giorni racconta di un uomo diverso. Il volto segnato dalle risicate ore di sonno, l’espressione insolitamente cupa ma determinata, il passo infaticabile del mediatore a tutti i costi. È il nuovo Boris Johnson, sì, colui che tutti ormai davano per politicamente spacciato, travolto dai troppi scandali di casa sua, vale a dire il numero 10 di Downing Street.

Dalle spese mirabolanti per la ristrutturazione dell’appartamento fino agli innumerevoli festini natalizi in compagnia di moglie e staff in violazione di ogni norma anti-Covid, prima smentiti eppoi ammessi con tanto di scuse, tutto remava contro un primo ministro ormai svilito dagli eventi, con i giorni contati. E invece, ecco l’ennesimo colpo di scena: la crisi tra Russia e Ucraina e il crudele attacco sferrato da Mosca contro il presidente Volodymyr Zelensky e il suo popolo.

Se gliel’avessero raccontato, a BoJo, che sarebbe stata una guerra a offrirgli su un piatto d’argento l’ennesima occasione per ricostruirsi una reputazione, probabilmente non ci avrebbe creduto neppure lui. Ma quando è accaduto lui l’ha colta al volo. Anzi, da accorto «animale politico» qual è, è riuscito ad anticipare i tempi, e quando ancora nessuno in Europa credeva alle catastrofiche previsioni americane, Johnson era già lì a mettere in guardia l’Unione che aveva voluto abbandonare, invitandola a compattare le forze contro la minaccia russa. È stato lui, il leader più euroscettico, a muoversi per primo quando Putin ha sganciato la sua offensiva e mentre Biden rimaneva in silente riflessione, si è imbarcato su un aereo diretto in Polonia.

Certo, volarsene all’estero, seppur in momenti così infelici, dev’essere stato più facile che restarsene in patria mentre i suoi stessi membri di partito non facevano che firmare lettere di sfiducia nei suoi confronti e il consenso dell’opinione pubblica era in caduta libera. Una buona dose di cinismo e di distacco dalla realtà non mancano mai alla classe dirigente cui appartiene anche Boris, come spiega molto bene Richard Beard nel suo libro Sad little men, che descrive i danni duraturi provocati dalle «boarding school», i collegi dove venivano spediti i rampolli delle famiglie dell’aristocrazia e dell’upper class britannica, destinati a guidare in futuro il Paese.

Un piccolo esercito di bimbetti di otto anni, strappati dal nucleo familiare, che all’improvviso si ritrovano soli in un ambiente sconosciuto. Per molti di loro, l’unico modo di uscire vincitori da un’esperienza così traumatica è stata la creazione di un distacco emotivo che li ha trasformati in adulti impermeabili anche alle critiche più feroci. Così al nostro riesce facile scrollarsi di dosso l’inchiesta sul partygate e ricostruirsi un ruolo di difensore degli oppressi.

Non prima, tuttavia, di aver azzerato le misure anti-Covid per tener buona l’ala oltranzista del partito, lasciando al cancelliere Rishi Sunak l’onere di far fronte al malcontento delle famiglie alle prese con un tasso di aumenti dei costi di gas e elettricità del 54 per cento, il più alto degli ultimi 30 anni. Il mugugno dell’uomo della strada al quale un pieno di 55 litri di benzina costa 17 sterline in più dell’anno passato non sembra però turbarlo.

In una settimana però BoJo ha pubblicato sul New York Times un piano di sei punti per frenare l’avanzata di Putin, ha ospitato un vertice a quattro dei leader di Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria e Slovacchia, ha invitato il premier Zelensky a rivolgersi al suo parlamento finendo per annunciare il probabile invio di nuovi armamenti antiaerei di supporto, subito dopo il bombardamento dell’ospedale pediatrico di Mariupol.

Sul fronte dell’accoglienza ha promesso l’accesso a 200.000 profughi, ma dopo due settimane di guerra i permessi rilasciati erano appena 300 a fronte di oltre 17.000 richieste presentate. fonti diverse raccontano di decine di persone rifiutate ai centri di frontiera, ma Johnson assicura un rapido miglioramento e questo, per ora, basta. Gli scandali che lo hanno promosso a unico premier della storia nazionale recente coinvolto in un’inchiesta penale sbiadiscono, almeno temporaneamente, davanti alla feroce attualità che lo vede ritornare sulla scena politica interna come l’uomo pronto a guidare l’azione sanzionatoria mirata a colpire al cuore Mosca.

In realtà, anche le tanto sbandierate sanzioni inglesi contro gli oligarchi russi che in centinaia risiedono e lavorano nel Regno Unito da oltre 30 anni restano ancora sulla carta. Senza contare che molti personaggi importanti – non solo per i presunti legami con il Cremlino, ma anche per quelli con le casse del partito conservatore – non sono stati neppure sfiorati. L’Economic Crime Bill, la legge anticorruzione che dovrebbe bloccare il flusso di denaro illecito proveniente dalla Russia, richiederà almeno un paio di settimane per entrare in vigore, ma ci vorranno tempi più lunghi per trovare una via percorribile in grado di evitare la pioggia di ricorsi legali che i miliardari russi di Londra stanno già minacciando di avviare.

Il nuovo slogan «Putin must fail», Putin deve fallire, basterà quindi a garantirgli la resurrezione? «Molto dipenderà da quando il rapporto originale sul partygate e i risultati dell’inchiesta della polizia verranno resi noti» spiega a Panorama il docente di Politica Tim Bale. «Se saranno diffusi quando saremo ancora nel bel mezzo della guerra, il che è possibile, allora Johnson sopravviverà ancora per un periodo sulla base di quanto affermano i suoi sostenitori: che in questa crisi stia rivelando una leadership forte. Per come stanno andando le cose, potrebbe finire così». In questi giorni persino il leader dell’opposizione Keir Starmer ritiene insensato chiedere le sue dimissioni «ora che il premier è ovviamente concentrato sul lavoro che sta facendo e su questo fronte noi restiamo compatti come Regno Unito».

Per i membri del suo partito adesso non è certo il momento di intavolare estenuanti discussioni su un cambio al vertice. Sia per gli avversari politici che per gli amici verrà anche il tempo in cui Johnson dovrà pagare il prezzo dei suoi troppi errori e probabilmente quel tempo non è neppure tanto lontano. Chiunque dovesse presentargli il conto, però, non si ritroverà più di fronte l’uomo sconfitto dalla vergogna di qualche mese fa e se alle nuove elezioni i Tories arriveranno con un nuovo leader, pazienza. Quello precedente, dopo essersi guadagnato un’uscita di scena dignitosa, chissà quale nuova vita si sarà già inventato.

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