Varsavia e Budapest hanno messo il veto, ma a bloccare – davvero – tutto è l’Olanda dove si voterà per le politiche il 31 marzo. Tempi lunghi, anzi, lunghissimi. Nessuno al governo ha il coraggio di dirlo ma in Europa le bocche sono meno cucite e nei corridoi si dice che i soldi del Recovery Fund non arriveranno ai vari paesi prima della fine del 2021. Un pessimismo maturato dopo le ultime giornate infuocate a Bruxelles dove nessun accordo sulla gestione ed organizzazione del progetto è stato trovato.
E’ vero che Polonia e Ungheria hanno fatto la voce grossa durante il Coreper ponendo il veto sull’accordo di bilancio UE 2021/2027 e hanno sbarrato la strada al pacchetto NextGenerationUE – lo strumento economico di sostegno alla ripresa post pandemia meglio noto come Recovery Fund – ma la vera minaccia alla distribuzione dei 750 miliardi (dei quali oltre 200 spettano all’Italia) non arriva da est, ma da nord, dai cosiddetti Paesi Frugali: Danimarca, Finlandia, Svezia, ma soprattutto Olanda.
Fino a quando, infatti, i Frugali non ratificheranno l’accordo a livello nazionale il fondo per la ripresa resterà bloccato e i Paesi Scandinavi faranno di tutto per procrastinare quel momento.
Un passo indietro
Per capire quanto la partita circa NextGenerationUE sia più politica che economica è bene fare un passo indietro e vedere cosa sta succedendo.
La scorsa settimana Consiglio e Parlamento UE avevano raggiunto l’accordo di bilancio per aumentare le risorse al fine di finanziare il Recovery Fund e avevano stabilito le regole d’accesso che gli Stati Membri avrebbero dovuto rispettare per avere diritto al fondo.
Lo Stato di diritto
Uno dei punti fermi vergati da Bruxelles riguarda il rispetto dello Stato di diritto condicio sin equa non per accedere a denaro che in questo momento fa gola un po’ a tutti. Stato di diritto tutt’altro che garantito nei Paesi guidati da Viktor Orbán e Jaroslaw Kaczynski. Gli ambasciatori di Budapest e Varsavia, quindi, hanno votato contro questo meccanismo approvando sì il bilancio, ma chiedendo che lo Stato di diritto venga escluso dalle clausole di erogazione.
Lo stallo che arriva da est, però, secondo gli osservatori internazionali, ha le ore contate e le vere minacce arrivano da altrove.
La Polonia, infatti, non è mai stata isolata come oggi in Europa, mentre l’Ungheria di Orbàn ha perso il fondamentale sostegno dell’America di Trump e ora si trova in uno stato di debolezza visto che la sua economia si regge sui grandi investitori tedeschi (Audi, Opel, Daimler, Bmw, Bosch e Siemens) che hanno tutti gli interessi a sbloccare quei 750 miliardi che ci sono in ballo per la ricostruzione.
Il blocco dei Frugali
Quando, però, in un modo o nell’altro, Bruxelles dribblerà Varsavia e Budapest si troverà di fronte alla barriera che arriva da Nord dove i Frugali – da sempre contrari alla distribuzione dei fondi senza che questi siano vincolati a una serie di regole e obblighi che, in piena pandemia, è difficile anche solo immaginare di poter rispettare – aspettano che il fascicolo NextGenerationUE arrivi nei rispettivi Parlamenti e lì, di fatto, si fermi.
L’Olanda, infatti, è in piena campagna elettorale e fino al 17 marzo 2021, giorno dell’election day, i lavori parlamentari sono paralizzati e spetterà al prossimo governo l’onore e l’onere di affrontare la patata bollente del Recovey Fund con tutte le sue clausole e cavilli.
Quindi almeno fino al 31 marzo il tema del fondo per la ricostruzione non sarà nelle priorità di Amsterdam.
Danimarca e Svezia, poi, sono rette da Governi di minoranza che non hanno il controllo del Parlamento e che vedono con molto sospetto la distribuzione di questo denaro soprattutto ai Paesi del mediterraneo, Italia e Spagna in primis, alle prese con la seconda devastante ondata pandemica e la Finlandia si unisce al coro degli scandinavi.
L’Olanda blocca tutto
A conti fatti, pertanto, è l’Olanda a reggere le sorti del Recovery Fund e a bloccare la messa a disposizione del fondo se non altro fino a fine marzo. Questo significa, per l’Italia, che il pacchetto da 200 miliardi a disposizione da inizio 2021 fatto sventolare sotto il naso degli italiani a mo’ di specchietto per le allodole non arriverà nelle casse dello Stato per lo meno fino a fine 2021 e che quindi per i prossimi 12 mesi la ricostruzione sarà tutta a carico dell’economia nazionale già ora in ginocchio.
Bruxelles minimizza, ma le prospettive di uscita dal cul de sac in cui l’Europa si trova a causa della pandemia sono sempre meno rosee.
