Quella di Giulio è una delle vicende più dolorose e complesse degli ultimi anni. In essa s’intrecciano il dramma individuale, la violazione dei diritti umani, la Ragion di Stato, la giustizia, le relazioni economiche, il potere. L’arresto del cittadino egiziano studente a Bologna è molto diversa. In entrambe i casi un impegno del governo e delle sue propaggini esiste ed è meglio dell’inazione o della noncuranza. Bisogna ricordare ai progressisti troppo frettolosi che spesso il meglio è nemico del bene, nella speranza di ottenere il massimo possibile per la memoria di Regeni e per la futura vita di Zaki senza trascinare il Mediterraneo nel disordine politico e militare.
Quella di Giulio Regeni è una delle vicende più dolorose e complesse degli ultimi anni. In essa s’intrecciano il dramma individuale, la violazione dei diritti umani, la Ragion di Stato, la giustizia, le relazioni economiche, il potere. Il processo Regeni andrà avanti, i pm di Roma hanno svolta una ricostruzione accurata delle sevizie subite dal ricercatore fino alla morte e, seppur con una blanda collaborazione dell’Egitto, oggi sono noti i nomi dei carnefici. Si potrà procedere, probabilmente in contumacia, contro gli assassini di Regeni. E forse, se la mediazione politica lo consentirà, ottenere l’inflizione di una qualche pena ai responsabili. Una vicenda che mostra la vischiosità dello scenario mediterraneo, in cui un giovane dottorando di Cambridge è stato probabilmente dai servizi di sicurezza stranieri (inglesi?) osservato per raccogliere informazioni sull’opposizione al regime egiziano. Un regime vicino alle principali potenze del Mediterraneo, come Italia e Francia. Regeni deve avere visto, sentito o scoperto troppo finendo in un gioco più grande di lui che lo ha condotto, incolpevole, verso una morte atroce. La famiglia chiede giustizia e con essa sono in molti a proporre al governo il ritiro dell’ambasciatore italiano e la rottura netta delle relazioni diplomatiche con il regime di Al-Sisi. Ma proprio perché in questa vicenda a fatti certi (tortura e morte da parte dei servizi egiziani) s’intrecciano aree grigie ed oscure è opportuno che la politica mantenga il sangue freddo, in un Paese cardine dell’ordine Mediterraneo. E’ fuor di dubbio che l’Egitto abbia un problema con il rispetto dei diritti dell’uomo, con i rapporti nei confronti dei paesi alleati e che Regeni meriti un processo che possa punire i responsabili. E’, però, altrettanto vero che oggi il regime egiziano, pur con tutta la sua efferatezza, sia nel grande gioco del potere Mediterraneo e africano dallo stesso lato della barricata italiana sul fronte del contenimento dell’immigrazione e della lotta al terrorismo islamico. E per questo lo Stato di Al-Sisi si arma e militarizza, comprando grandi partite di forniture dalle aziende strategiche italiane. Siamo consapevoli, d’altronde, cosa ha comportato la rottura di un regime non meno feroce, quello libico di Muhammar Gheddafi, per il nostro paese e per il Mediterraneo.
Bisognerebbe chiedersi, dunque, se un eventuale ritiro dell’ambasciatore, al di là dei simbolismi, possa apportare benefici al processo Regeni o se invece non finisca per far chiudere a riccio il governo egiziano. In una trattativa per la verità e la giustizia, perché anche di questo si tratta, è meglio poter avere fili militari, economici, diplomatici e politici da muovere invece di ribaltare il tavolo.
Una vicenda che s’intreccia con un altro evento tragico, quello della detenzione di Patrick Zaki. La storia di Zaki presenta, tuttavia, delle differenze con quella di Regeni. Si tratta di un cittadino egiziano che studiava in Italia; è stato arbitrariamente arrestato in Egitto per le proprie opinioni politiche, ma non è stato ucciso perché ritrovatosi all’interno di una trama di intelligence. E’ una storia dolorosa, ma non è paragonabile a quella del ricercatore di Cambridge. Anche perché per Zaki il governo italiano, cioè un governo straniero sul piano giuridico, si è mosso subito per cercare di ottenere il rilascio e la possibilità del ritorno nella sua patria adottiva. L’assassinio atroce e politicamente azzardato di Regeni da parte dell’intelligence egiziana può diventare uno strumento per poter chiedere una compensazione con il proscioglimento dello studente di Bologna. In questo senso, però, dovrebbero far riflettere le azioni impetuose del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, che ha scelto di nominare Zaki cittadino onorario del capoluogo lombardo. Nessuno mette in discussione l’importanza del caso e la sua rilevanza sul piano dell’affermazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Tuttavia, certe delicate partite dovrebbero giocarsi tra apparati dei reciproci Stati prima che diventare materia di rivendicazione politica interna. Lo stesso sindaco di Milano si è detto d’accordo sul ritiro dell’ambasciatore italiano in Egitto, azione rischiosa per i motivi sopra descritti. Inoltre, Zaki è egiziano e non va dimenticato quanto sia complesso trattare con un Paese autoritario alleato che ha deciso di mettere sotto processo un proprio cittadino al fine di ottenerne la liberazione. Per questo la Ragion di Stato, per quanto spietata e dolorosa, impone trattative lunghe e su molteplici fronti. Ciò anche quando il sentimento e l’idealismo suscitano il desiderio di una risposta immediata e più coriacea. Purtroppo non funziona così quando ci sono di mezzo Stati, patti internazionali non scritti e strategie militari. In ogni caso, un impegno del governo e delle sue propaggini esiste ed è meglio dell’inazione o della noncuranza. E’ dunque necessario ricordare ai progressisti troppo frettolosi che spesso il meglio è nemico del bene, nella speranza di ottenere il massimo possibile per la memoria di Regeni e per la futura di vita Zaki senza trascinare il Mediterraneo nel disordine politico e militare.