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Per chi non suona la campanella

Per chi non suona la campanella

• Quasi 8 milioni di studenti e le loro famiglie ancora non sanno come (e quando) torneranno in classe a settembre. Mancano aule, docenti e bidelli. Persino i banchi. Al governo nessuno si occupa di questa emergenza epocale. Tanto meno la ministra Azzolina.

• L’emergenza è tutta sulle spalle dei presidi


Scriveva Piero Calamandrei, uno dei padri del diritto: «Trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere». Di fronte a quel miracolo la ministra Lucia Azzolina, che ha studiato filosofia, è attonita. Direbbe Kant: subisce la sindrome del sublime. Che per lei è una sorta di horror vacui davanti alla scuola, quest’enorme spazio di azione culturale, quest’universo di leggi, regole, persone, edifici. Troppo grande forse per una giovane bilaureata siciliana che è entrata in Parlamento dalla porta di servizio. Il Movimento Cinque stelle in Campania aveva più seggi che candidati e lei, trombata a Verbania, si è ritrovata eletta al Sud.

La sua storia politica assomiglia a quella di Forrest Gump. Lei peraltro sorride spesso con labbra vermiglie e i suoi provvedimenti sono un po’ come una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita. Possono essere il metro statico (cioè calcolato da banco a banco per avere il distanziamento sociale nelle classi) o il metro dinamico (calcolando lo studente che si muove e quindi con maggiore necessità di spazio), le mascherine o le barriere in plexiglass, le rime buccali o le rime baciate, la Dad (sarebbe la scuola via internet preclusa a circa il 40 per cento degli studenti italiani) o i monobanchi che a Palermo stanno realizzando segando in due quelli che avevano.

Ha avuto anche un passato da sindacalista, ma ora che deve occuparsi dei precari della scuola, ora che deve trovare 85 mila insegnanti, si tira addosso le critiche di tutti. In particolare dei presidi che sono sul piede di guerra. Se va bene riuscirà a mettere in cattedra 20 mila nuovi professori, meno di quelli (quasi 30 mila) che a settembre andranno in pensione e così si dovrà ricorrere a un esercito di 60 mila supplenti che non è detto abbiano voglia di pigliare l’incarico. La previsione che si fa adesso al ministero è che per il 14 settembre ci saranno almeno 30 mila cattedre scoperte. La ministra non ha voluto attingere dalle graduatorie provinciali e ha bandito il concorsone che è già cambiato tre volte. Le candidature al concorso scadono a fine luglio, entro il 14 settembre dovrebbero entrare in cattedra in 80 mila! Impossibile, ma il governo che ha dato 2,4 miliardi alla scuola per far fronte a un’emergenza epocale peraltro non l’aiuta; lei è in balìa del comitato tecnico e nelle tante, qualcuno dice troppe, esternazioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte le scuole non vengono mai nominate. Siamo stati il primo Paese a chiuderle, saremo l’ultimo a riaprirle mentre in tutto il resto d’Europa la scuola è stata la prima preoccupazione dei governi. Da noi i privatisti che a settembre dovranno sostenere la maturità dimezzata che ha caratterizzato l’anno scolastico 2020 non sanno neppure se e come faranno l’esame perché non sono state nominate le commissioni, non ci sono le sedi. Alla Azzolina hanno affiancato come commissario straordinario all’emergenza Domenico Arcuri – impegnato a render conto dei suoi stipendi alla Corte dei conti – e qualcuno sussurra che non sia un buon auspicio.

Appena gli hanno dato l’incarico Arcuri ha cominciato a sparare numeri: 2 milioni di test sierologici, il 50 per cento di banchi nuovi che a spanne fanno 4 milioni di nuove postazioni visto che gli studenti di ogni ordine e grado sono quasi 8 milioni, 10 milioni di mascherine al giorno per le scuole e tutto da trovare entro il 10 agosto. I test sierologici li faranno i medici di famiglia e le Asl. Tutto bello, poi il ministro della Salute Roberto Speranza fa sapere che il massimo della prevenzione per la scuola sarà la raccomandazione ai genitori di provare la febbre a casa ai figli. Qualcuno deve avergli spiegato che mettere la mascherina ai bimbi delle materne è complicato…

Ma in tutto questo la ministra Azzolina tace e non si sa neanche se acconsente. Resta il fatto che abbiamo la scuola peggiore d’Europa – lo dice l’Ocse – e non per colpa dei professori. Tanto che viene da chiedersi se a un governo che vuole prolungare sine die l’emergenza Covid non faccia un po’ comodo che quel miracolo di trasformare i sudditi in cittadini non si compia, perciò le scuole restano chiuse e l’incertezza a 50 giorni dalla (teorica) ripresa delle lezioni è totale. «Azzolina è come terrorizzata dalle responsabilità che si deve prendere» chiosa Andrea Cangini, capogruppo di Forza Italia nella Commissione istruzione del Senato e responsabile nazionale cultura degli azzurri. «È indecisa a tutto e per non sbagliare non fa. Utilizza il paravento dell’autonomia scolastica per scaricare tutto sui presidi, ma alle scuole non danno un euro e soprattutto non danno certezze. L’ho quasi gridato in Commissione perché questa cosa m’indigna: non hanno colmato nessun vuoto normativo, non hanno dato nessuna indicazione. Anche aver trasformato sindaci e presidenti di Provincia che peraltro non hanno un soldo dopo la famosa riforma Delrio in commissari per gli interventi di edilizia scolastica non serve a nulla. Non sono stati erogati fondi, non ci sono criteri».

Anche la storia del metro dinamico o del metro statico è diventata una barzelletta. Come si fa a governare istituti che hanno 100 classi in questo modo? «La verità e che al governo della scuola non importa nulla e la Azzolina non è capace. Avevo chiesto che si usasse il periodo estivo per recuperare il gap formativo accumulato in questi mesi di chiusura, ma non mi hanno ascoltato. Hanno raccontato la favola della formazione a distanza senza dire che il 40 per cento dei ragazzi vive in case sovraffollate senza accesso a internet. Hanno fatto perfino le vacanze di Pasqua, ma con le chiese vuote. Ci stiamo giocando un’intera generazione e fra meno di due mesi non si sa come ripartire».

I problemi sono enormi e tutti irrisolti. La Azzolina ha detto ai presidi: se avete bisogno di più spazi per il distanziamento utilizzate le palestre e le mense. Questo significa che i ragazzi non faranno educazione fisica e sparirà il tempo pieno. Per le famiglie diventa un dramma. Del tutto insoluto è il problema dei laboratori. Ci sono scuole come i tecnici o i professionali dove è impossibile il distanziamento senza l’abbandono del programma didattico. Ne sanno qualcosa al Pietro Piazza di Palermo, un alberghiero inserito in un complesso didattico enorme: il più grande d’Italia. Sono poco meno di 3 mila studenti (tra corsi diurni e serali, divisi in 120 classi), 370 professori, 120 impiegati tra il personale amministrativo. Una città-scuola di cui si fa carico il dirigente Vito Pecoraro che si sta arrangiando. E per tutti il problema è la caccia agli spazi. Si ipotizza di usare anche le caserme dismesse, i teatri. Dove fino all’anno scorso stavano 25 alunni oggi non ne entrano più di 15. Ci sono regioni come le Marche dove le classi sono di oltre 29 alunni, città come Roma e Napoli con classi di 35. Servono soluzioni, ma nessuno è in grado di trovarle. Tutti sono in cerca di ditte disposte a lavorare d’agosto anticipando i costi perché i fondi dal ministero non sono ancora arrivati, tutte le scuole sono in cerca di personale Ata (dai bidelli ai tecnici) indispensabile se si moltiplicano le aule, ma non c’è un concorso per le assunzioni.

E poi c’è il gravissimo problema degli addetti alle mense: non prendono lo stipendio da febbraio, non sanno se torneranno a lavorare a settembre e molti hanno cercato alternative. Così a Roma una scuola su cinque rischia di non riaprire, a Bologna il problema più grave sono i trasporti, a Palermo si sta facendo il censimento delle biblioteche e degli atri. Preoccupante la situazione a Napoli dove in centro non ci sono spazi, per paradosso va meglio in periferia e proprio a Scampia dove la ministra ha fatto uno scivolone quando ha parlato delle scuole negli appartamenti che in realtà non esistono.

Ma il problema degli spazi in tutta Italia è drammatico. Acutissimo a Milano dove nidi e scuole per l’infanzia sono al limite e, come ha avvertito l’assessora Laura Galimberti, per 3 mila bambini (il 10 per cento del totale) non ci sarà posto e comunque addio al tempo pieno per tutti. Come dire alle famiglie: dovete arrangiarvi. Ma se il quadro delle scuole statali è desolante, pessima è la situazione delle scuole pubbliche paritarie. Una su tre chiuderà e di quelle che chiudono molte si offrono come spazi alternativi per ospitare gli studenti in sovrannumero delle statali. Altre invece si mettono sul mercato offrendosi di accogliere chi viene «espulso» dalle aule dello Stato, ma le rette per molte famiglie sono insostenibili.

Anche se le scuole cattoliche stanno facendo di tutto per accogliere. È il caso, per esempio, di grandi complessi educativi come la scuola salesiana di Borgomanero (Novara). Anche sulla scuola come su tutto il resto il governo è diviso e a farne le spese sono i cittadini (o forse sudditi). La viceministra all’Istruzione Anna Ascani (Pd) ha messo le mani avanti: «Sulla scuola non si può sbagliare. Lo sa Arcuri, lo sa il presidente del Consiglio. Dalla riapertura a settembre dipende la credibilità di un Paese».

Lo dice anche Carlo Cottarelli che ha già bocciato senza appello la scuola: «Pesano le tante ore saltate dagli studenti per la mancanza di un piano serio della gestione della crisi». A settembre non resta che sperare in un miracolo.

L’emergenza è tutta sulle spalle dei presidi

Per chi non suona la campanella
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In un mese e mezzo gli 8 mila direttori d’istituto dovranno applicare le prescrizioni sanitarie del ministero a studenti, insegnanti e personale amministrativo. Senza risorse e indicazioni chiare. E c’è persino chi pensa di acquistare le casette prefabbricate dei terremotati per fare lezione.

di Giorgio Sturlese Tosi

Supereroi senza poteri ma con la responsabilità della salute di milioni di ragazzi. Ai presidi italiani è stato affidato il compito di organizzare, dopo sei mesi di anarchia, il rientro a scuola in sicurezza di quasi otto milioni di studenti. Da soli, dovranno vedersela con le prescrizioni sanitarie ma anche con genitori, professori e bidelli, ognuno determinato a far valere i propri diritti.

In questi giorni, dietro le vetrate dei loro istituti, si intravedono correre tra le aule con il metro e la calcolatrice in mano. Un occhio alle misure degli spazi da dividere per garantire il distanziamento e l’altro ai bollettini della Protezione civile sull’andamento dei contagi. Perché con solo un mese e mezzo a disposizione si fa strada l’idea che la scuola possa davvero riaprire in sicurezza solo se il virus scomparirà prima della campanella.

Per ora, è il caos. Oggi ci sono 369.769 aule che dovranno ospitare 7 milioni e 599.259 studenti. Fa una media di 20 studenti per classe. Troppi. Secondo le stime, il 15 per cento degli studenti non troverà posto tra i banchi. Il 28 maggio il ministero dell’Istruzione aveva fissato in un metro la distanza minima tra studenti per poter riaprire in sicurezza. Un mese dopo, il 22 giugno, lo stesso ministero ha precisato che quella distanza era da intendersi a livello statico, cioè quando si sta seduti al banco, e non anche a ricreazione. I dirigenti scolastici hanno dovuto strappare le piantine già disegnate e rifare tutto. Hanno così guadagnato qualche posto, ma siamo ancora lontani dall’obiettivo.

«Serviranno almeno 2 milioni di nuovi banchi singoli» calcola il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli. Banchi che dovranno essere acquistati dal commissario straordinario Domenico Arcuri. «E soprattutto servono 30 mila aule in più» dice ancora Giannelli, che descrive una situazione a macchia di leopardo. «Si scarica tutta la responsabilità della riapertura sui dirigenti scolastici, che si devono arrangiare con quello che hanno. Potevano pensarci prima, ora il ministero ci deve dire chiaramente cosa dobbiamo fare se al 1° settembre, quando ripartiremo con gli studenti che devono recuperare le insufficienze, non saremo pronti».

I compiti assegnati loro dal ministro Lucia Azzolina sono i più disparati. Nel Piano scuola si dice anche che i dirigenti scolastici organizzeranno «specifici momenti formativi su privacy e sicurezza nella didattica digitale integrata, gestione dello stato emergenziale, gestione delle riunioni e degli scrutini a distanza». Gli 8 mila presidi italiani hanno ricevuto anche l’ordine di modulare gli orari d’ingresso e d’uscita degli studenti per non creare affollamento sui mezzi di trasporto pubblici nelle ore di punta.

Impresa impossibile: lo stesso ministero ha stimato che tra studenti, insegnanti, personale amministrativo e genitori, si muovono ogni giorno verso le scuole 22 milioni di persone. L’associazione nazionale dirigenti scolastici, Andis, denuncia «il grave ritardo, le perduranti incertezze e la mancanza di indicazioni univoche con cui il ministero sta avviando le procedure necessarie per un rientro in sicurezza degli studenti e del personale».

Esempi virtuosi, per fortuna, non mancano. Milena Piscozzo, dirigente scolastico dell’istituto comprensivo Riccardo Massa, nel milanese, è quasi pronta. «Ho già provveduto alla formazione dei collaboratori scolastici, i bidelli, e ho già acquistato mascherine, visiere, gel disinfettante e guanti. Già calcolato il distanziamento statico e dinamico tra studenti: usufruiremo anche della mensa, mentre i pasti sanno serviti in aula».

Intraprendenti anche all’istituto San Giuseppe Lasalle di Milano: «Siamo abituati a rimboccarci le maniche senza aspettare aiuti dall’alto» dice il preside Massimo Guerreschi. «Dei 300 milioni promessi dal governo alle scuole paritarie finora non abbiamo visto niente; abbiamo riorganizzato aule, orari e ingressi in autonomia, e per garantire la didattica in presenza abbiamo trasformato la nostra chiesa in aule». Una scelta non scontata per un istituto cattolico.

Nel frattempo in molti istituti si naviga a vista. Sempre a Milano, altri presidi stanno valutando i prezzi delle casette di legno prefabbricate, modello terremotati. Il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro ha proposto di posticipare l’apertura al 10 ottobre perché «non siamo in grado di aprire le scuole a settembre con questi matti che ci sono al governo che non ci stanno dicendo niente: non ci danno un euro, scaricano su dirigenti scolastici, insegnanti e famiglie».

Ai presidi di Pisa mancano decine di aule e il Comune sta organizzando un bando per trovare locali privati. Tra le ipotesi c’è anche quella di usare capannoni industriali abbandonati, ma Asl e Vigili del fuoco rilasceranno le certificazioni in tempo? Il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, ha esortato così i sindaci della regione: «Avete 40 giorni di tempo per concentrarvi su interventi di massima urgenza. Prendetevi anche gli avvisi di garanzia, ma andate avanti per riaprire le scuole a settembre».

Mentre a Bari i presidi hanno manifestato davanti all’ufficio scolastico regionale sedendosi dietro ai banchi che si erano portati dietro.

C’è poi la questione, finora rimandata, dei test sierologici al personale docente: obbligatori, come vorrebbero i genitori, o su base volontaria, come ha anticipato il ministero della Salute Roberto Speranza? «Su questo non abbiamo ancora avuto indicazioni, quando arriveranno ci penseremo», risponde un preside milanese. Sarà bene pensarci per tempo però, visto che si parla di 669.883 docenti e 101.170 insegnanti di sostegno a cui fare il test e prevedere le sostituzioni sia per i malati che per i positivi asintomatici.

E se un alunno si contagia in classe, di chi è la colpa? Roberta Fanfarillo, responsabile dirigenti scolastici della Flc Cgil, ammette: «I presidi sono molto preoccupati: in caso di contagio dovremo dimostrare di aver applicato tutte le disposizioni previste dal ministero». Sarà anche per questo che un migliaio di presidi del Centro e Sud Italia che hanno vinto il concorso al Nord hanno rinunciato all’incarico. Anche i supereroi, a volte, devono arrendersi.

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