Dal «viceré» Vincenzo De Luca al governatore pugliese Michele Emiliano, al loro collega Stefano Bonaccini… I presidenti di Regione presto in scadenza, come vari sindaci di grandi città – con il cuore a sinistra ma preoccupati del futuro – accarezzano l’idea di rielezione a dispetto delle regole in vigore. Nel Pd si oppone una sempre più appannata Elly Schlein. E loro? Aspettano. Perché i segretari passano, il potere resta.
Vin Chen Zin ha deciso finalmente di onorare il suo soprannome più esotico: «Siamo sulla linea di Kim II-sung» informa difatti De Luca. Ovvero, nei perigliosi dintorni delle dittature coreane. Il governatore campano vuole ricandidarsi «in eterno». Nonostante l’odiatissima segretaria dem, Elly Schlein, voglia far fuori lui e i famigli. Sull’eventualità del terzo mandato, a differenza del suo predecessore Enrico Letta, si dice «piuttosto sfavorevole». L’usuale fumisteria sta per: dovrà passare sul mio corpo. Quello che spera il suo agguerrito avversario, a cui la Parolaia arcobaleno ha spavaldamente infilato un dito negli occhi, sostituendo il figliolo Piero alla vicepresidenza della Camera.
Nel Deluchistan non si vuole ammainare bandiera. Ma Vin Chen Zin è solo il capintesta del partito del terzo mandato. Altro che cattolici e riformisti. È la corrente più temibile del Pd. Pronta a far tornare la fluida usurpatrice sotto i portici bolognesi, a tracannare le amate «birrette». È lo squadrone degli avversati «cacicchi». Faranno di tutto per non essere scalzati. Sono governatori e sindaci: tanti voti e imperiture ambizioni. Dopo la sfilza di scoppole, restano l’ultimo fortilizio elettorale nelle città e nelle regioni. Si sono già saldati sull’abolizione dell’abuso d’ufficio. Elly, che mastica di giustizia quanto noi di termodinamica applicata, scodella la solita supercazzola: «Va rivisto, ma non va abrogato». Gli amministratori locali, stremati dal miscuglio tra alterigia e vaghezza, assaltano. Vincenzo il coreano fulmina la Ocasio-Cortez del Ticino: «Non ha diritto a parlare chi ha assistito al calvario di quelle cinquemila persone che in Italia hanno subito procedimenti e poi sono risultate innocenti».
È stata una schermaglia. Il terzo mandato, invece, rischia di diventare guerriglia. Stavolta è in gioco la sopravvivenza politica di tanti acerrimi nemici della segretaria. Un altro giro di giostra per governatori e sindaci dem. È il partito dei viceré, che mirano a lambire l’eternità. Minaccioso, agguerrito, compatto. Potrebbe terremotare l’esile transizione di Elly. Dopo quattro mesi, la sua favoletta pare ai titoli di coda. S’è messa contro chiunque. Ha sostituito vecchie glorie con improbabili promesse, scelte quasi sempre con un inscalfibile criterio: detestare il vecchio Pd. Ex vendoliani, vaporose suffragette, evanescenti apolidi. È il «tortello magico». Al Nazareno, fino a qualche settimana fa, preconizzavano: fatale sarà la scontata disfatta alle europee. «Se continua così, non ci arriva nemmeno…», aggiungono adesso. Il «ma-anchismo» sulla guerra in Ucraina. La maldestra vicinanza ai Cinque stelle. Le lunari priorità, dai diritti civili alla spagnola passando per la transizione ecologica alla continentale. Insomma, un inciampo via l’altro, riuscirà ad arrivare almeno alle elezioni europee?
Giugno 2024 pare lontanissimo. E potrebbe essere preceduto dal voto per migliaia di comuni e 28 capoluoghi. Dopo due mandati, tanti sono al capolinea: Antonio Decaro a Bari, Dario Nardella a Firenze, Luca Vecchi a Reggio Emilia, Gian Carlo Muzzarelli a Modena. Sperano però di potersi asserragliare negli ultimi fortini democratici. Il vessillifero è proprio Decaro, presidente dell’Anci, l’associazione dei comuni: «Limitare a due mandati l’impegno di un sindaco significa limitare la possibilità di programmare: prima di mettere in cantiere e realizzare interventi ci vogliono sette anni». Dunque, urge innalzare la durata ad almeno tre lustri. Vista pure l’epocale abbuffata del Pnrr.
Il gattopardesco argomentare non collima però con le intenzioni della deflagrante Elly, che vuole annientare avversi potentati. Ribalderia perigliosa: meglio perdere gli ultimi avamposti o acconsentire alle brame dei rari governatori piddini? Al fianco di Don Vincenzo, che in Campania s’è visto addirittura commissariare il partito con il bergamasco Antonio Misiani, si schiera un’altra leggenda: Michele Emiliano, sovrano pugliese. Anche a lui non dispiacerebbe correre per la terza volta nel 2025: «Sono a disposizione». Argomenta: «Non sono questioni che si decidono in sede politica. Bisogna stabilire se tre mandati sono possibili oppure no dal punto di vista giuridico. Siccome lo statuto della Campania, come quello della Puglia, non ha limite, sinceramente non so in che modo il Pd possa pensare di fermare la volontà di De Luca». E la sua, va da sé.
A Palazzo Santa Lucia, sede della giunta campana, già circola difatti una bozza di legge che permetterebbe il tris. Come del resto ha fatto nel 2020, grazie a un diabolico cavillo, Luca Zaia in Veneto. Il leghista, dunque, punterebbe addirittura alla quarta legislatura filata. Matteo Salvini, leader del Carroccio, è favorevolissimo. Potrebbe così tenere lontano dalla guida del partito l’eretico Zaia. Massimiliano Fedriga, che guida il Friuli-Venezia Giulia, acconsente: «Zaia merita di farne altri dieci di mandati». Da presidente della Conferenza delle regioni, ha già presentato conseguente proposta: abolire il limite dei due quinquenni consecutivi: «La maggioranza dei governatori è favorevole».
La segretaria dem, invece, resta ostile. Se acconsentisse, dovrebbe dire pure addio all’alleanza con i Cinque stelle, alfieri delle due legislature perfino in parlamento. «Non possiamo pensare a un dialogo con il Pd se decidono di dare l’ok al terzo mandato in Regione per De Luca» allerta l’ex presidente della Camera, Roberto Fico, rottamato proprio dal limite imposto ai pentastellati. E poi quale migliore occasione, ragiona Schlein, per liberarsi dalla folta pattuglia di oppositori interni? A partire da Stefano Bonaccini, ovviamente. Il governatore emiliano manda un pizzino a colei che l’ha sconfitto alle primarie: «Evitiamo di personalizzare, la segreteria affronti la discussione sul terzo mandato». Anche il suo, incidentalmente, scade nel 2025. Ma punta a rimanere: lo confermano indirettamente le brame per venir nominato commissario alla ricostruzione, incarico che non riuscirebbe certo ad assolvere nei due anni che gli restano.
Assieme agli scornati bonacciniani è pronto a dar battaglia, in vista delle prossime amministrative nel 2024. Decaro svelena: «Il sindaco può essere bocciato dai cittadini, mentre ci sono parlamentari che nessuno conosce e che vengono continuamente eletti». L’altro indomito è Nardella. Le sue velleità ottengono perfino l’appoggio di Romano Prodi, mito giovanile di Elly, piuttosto ostile al nuovo corso: «I limiti a queste cariche mi hanno sempre fatto riflettere. Saranno gli elettori, casomai, a escludere un terzo mandato». In Toscana si voterà pure a Prato, dove Matteo Biffoni smania per ricandidarsi. L’incarico del sindaco di Milano, Beppe Sala, scade invece nel 2026. Dunque, il tema diventa meno stringente. Anche lui però, in assenza di migliori alternative, vorrebbe restare al suo posto. Intanto, si sgola contro Schlein sull’abuso d’ufficio: «È una legge che non ha senso. C’è un tre per cento di condanne e un 100 per cento di danno d’immagine. Credo che pure il Pd avrebbe dovuto ascoltare un po’ di più i sindaci su questo».
Ma è il partito del terzo mandato quello che potrebbe dare a Elly la spallata. Sarà il pretesto decisivo per far saltare tutto? I malumori covano. Non è solo la voglia di sempiterno o la deriva nordcoreana. È sopravvivenza. Guidare una regione o un’importante città garantisce grandi poteri, enorme visibilità, adeguata ricompensa. E degne alternative scarseggiano, in particolare nel Pd di Schlein. Che punta a far eleggere, da Bruxelles a Roma, solo pretoriani. Con un’aggravante: la riduzione del numero dei parlamentari, voluta dai grillini, ha tagliato 330 poltrone, tra deputati e senatori. Stroncando così le aspirazioni di tanti governatori e sindaci. Dopo due mandati, in passato potevano ambire al refugium peccatorum: Palazzo Madama o Montecitorio. L’epocale taglio degli eletti ha invece costretto a rivedere le ambizioni degli immarcescibili. Tra il lusco e il brusco, meglio rimanere al proprio posto. Facendo di necessità virtù.
Elly malsopporta. Loro non perdono occasione per marcare distanza dalle sue iperuraniche istanze. Sono pronti a tutto. Come il prode centurione di cui raccontò Tito Livio. «Hic manebimus optime» disse risoluto per non abbandonare Roma: «Qui staremo benissimo». E anche i «cacicchi» non vogliono lasciare i loro possedimenti. Nonostante i voleri dell’imperatrice arcobaleno.
