Il vecchio Continente, se si esclude il fuoriuscito Regno Unito con la sua Astrazeneca, non è riuscito a produrre autonomamente un proprio farmaco. Ad oggi dipende dalle forniture americane. Questa debolezza, in realtà, è esemplificativa della rinuncia Ue alla distruzione creatrice del capitalismo più avanzato, e anche della sua impotenza politica, nel legare lo sviluppo dell’Unione europea a quella dei grandi progetti industriali, tecnologici e finanziari.
L’Europa ha perso la gara dei vaccini. Il vecchio Continente, se si esclude il fuoriuscito Regno Unito con la sua Astrazeneca, non è riuscito a produrre autonomamente un proprio vaccino. Ad oggi dipende dalle forniture americane, un segno che sul piano strategico ed industriale la situazione europea è più grave di quanto l’opinione pubblica sia disposta ad ammettere. Ci si è concentrati sul dilettantismo con cui sono stati negoziati e scritti i contratti di fornitura dalla Commissione, non senza ragione considerato il rapporto tra l’estensione della burocrazia di Bruxelles e la sua scarsa efficacia, ma si è forse trascurata l’impotenza produttiva dei principali Paesi europei. Si potrebbe obiettare che la tedesca Biontech, come partner minore dell’americana Pfizer, sia stata la prima a lanciare un vaccino ma anche in questo caso è stata l’ala americana della joint venture a primeggiare. Senza considerare che i tedeschi sono coinvolti nella produzione del vaccino più complesso da mantenere e distribuire tra quelli disponibili e nonostante l’investimento di 375 milioni di euro da parte del governo di Berlino per spingere la ricerca.
In altre parole, non esiste un vaccino interamente scoperto e prodotto nei confini dell’Unione europea. Una debolezza che si sconta con la lentezza e l’andamento a singhiozzo dell’approvvigionamento. Un paradosso dato che l’Unione europea ha una popolazione più anziana delle altre aree del globo (Giappone escluso) ed è il primo mercato per i vaccini in termini di popolazione. I più bisognosi, insomma, ed i più incapaci a reagire. Tuttavia, se alziamo lo sguardo dall’emergenza pandemica, registriamo come questa impotenza produttiva europea non riguardi soltanto il farmaceutico ma anche altri settori. Gli europei non producono smartphone e device, mercato dominato da cinesi, coreani e americani; non dispongono di colossi dei software né di colossi digitali; non saranno probabilmente in grado di costruire da soli la rete 5G; rischiano di restare indietro sull’elettrico; non hanno sviluppato il fintech al pari delle altre potenze. La vecchia Europa è rimasta legata alla manifattura, in cui eccelle in qualità, senza avere la capacità di coordinamento e di scala per primeggiare nei nuovi settori, che sono quelli più strategici e sui cui si consuma la competizione mondiale tra Stati. I Paesi europei hanno meritoriamente integrato i propri mercati, ma ciò non è bastato ad evitare il sorpasso dell’Asia e a colmare la distanza con l’America in tanti, troppi settori.
La vicenda del vaccino, in realtà, è esemplificativa della mollezza economica del vecchio continente, della sua rinuncia alla distruzione creatrice del capitalismo più avanzato, e anche della sua impotenza politica, nel legare lo sviluppo dell’Unione europea a quella dei grandi progetti industriali, tecnologici e finanziari. L’impressione è che i Paesi europei si siano più dedicati, in nome della concorrenza, a limitarsi l’un l’altro invece di cooperare con alleanze e consorzi aziendali. A questo si è aggiunta una burocrazia esorbitante e rigida che ha mostrato i propri limiti proprio nelle procedure di approvazione della vaccino e nella redazione dei contratti. Infine, ha davvero senso unificare tutte le norme per la produzione agricola o per le ristrutturazioni edilizie ad esempio e poi rinunciare a costruire un grande capitalismo europeo nei settori fondamentali del mondo odierno? L’Europa dovrebbe andare al contrario: deregolamentare e lasciar diversificare spontaneamente i vecchi settori, specie quelli più a consumo interno, e coordinarsi, fondersi, unirsi su quelli oggi strategici.