Dietro le proteste nella ex Repubblica sovietica per la grave crisi economica (causata dai tagli al gas) si nasconde l’ombra del Cremlino. Obiettivo: sostenere i partiti di opposizione, filorussi, e ostacolare l’entrata del Paese nella Ue.
«Rossiya, Rossiya» (Russia, Russia) scandiscono 15 mila persone scese in piazza a Chisinau, capitale della Moldavia, a fine febbraio. Una delle più imponente manifestazioni di protesta contro il governo europeista di Maia Sandu, che si susseguono da mesi e ricordano lo scenario della Crimea nel 2014, prima dell’annessione russa. Oggi, però, le truppe di Mosca nell’adiacente striscia di terra secessionista della Transnistria sono di soli 1.500 uomini, pochi per un colpo di mano militare.
Il Quinto direttorato dei servizi di sicurezza federali, l’intelligence russa, preferisce la strategia del caos, che cavalca le proteste per la crisi economica provocata dai tagli del gas e dalla guerra in Ucraina. Lo stratega, secondo il Sis, i servizi segreti moldavi, è il generale Dmitry Milyutin, numero due del dipartimento dell’Informazione operativa del Quinto direttorato. «Il classico tentativo di innalzare la tensione per tenere sulla corda l’Europa» dice a Panorama un esperto di geopolitica che è stato negli ultimi mesi a Chisinau e preferisce non rivelare il proprio nome. «È una “operazione coperta”, che non avrà sbocchi come in Crimea. Un ponte aereo per rinforzare il contingente in Transnistria dovrebbe sorvolare i cieli ucraini».
La Moldavia, ex repubblica sovietica, è un piccolo paese di 2,6 milioni di abitanti fra Romania e Ucraina, lungo un confine di 1.222 chilometri. Il «ventre molle» dell’Europa, che il 4 marzo ricordava il primo anniversario della richiesta di adesione alla Ue. Il vicepremier e ministro degli Esteri della Moldavia, Nicu Popescu, ha detto: «In questa regione, diventata di colpo pericolosa, possiamo sopravvivere solo come Stato membro dell’Unione europea». I missili di crociera russi lanciati sull’Ucraina hanno sorvolato più volte lo spazio aereo moldavo, ma la vera crisi è quella energetica ed economica. La Moldavia dipendeva al 100 per cento dal gas russo e per un terzo come fornitura elettrica. L’aumento dei prezzi dell’energia ha provocato un’impennata nelle bollette del 60 per cento. L’inflazione al 35per cento colpisce soprattutto le fasce più deboli della popolazione, come anziani e pensionati.
Secondo un sondaggio, il 40 per cento dei moldavi lotta per arrivare a fine mese e il 21 è sotto la soglia di povertà. L’arrivo di 700 mila profughi ucraini, in parte rientrati, non ha aiutato la nuova presidente, eletta nel 2020. Il taglio, da settembre, fra il 30 e 50 per cento delle forniture di gas russo è stata la mazzata finale. Non solo: il vitale approvvigionamento elettrico dall’Ucraina è sospeso in seguito all’offensiva missilistica di Mosca che ha colpito le centrali. L’opposizione fa leva sulla crisi per portare le persone in piazza, e paga anche i manifestanti. Per due ore, la tariffa è di 400 Lei in contanti, circa 80 euro. Attivisti del partito d’opposizione, Shor, sono stati arrestati con oltre 700 mila euro in valuta locale in uno zainetto. «La Moldavia fin dal crollo dell’Urss del 1991 non è mai stata anti russa a prescindere. Il presidente precedente, Igor Dodon, era filo Mosca. Il Paese è diviso con i giovani che guardano all’Europa e gli anziani preoccupati per il futuro.
«L’opposizione sfrutta le difficoltà economiche, ma una rivolta armata sarebbe un suicidio» osserva Aldo Ferrari, docente all’università Ca’ Foscari di Venezia. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il capo di Stato moldavo puntano il dito contro Mosca. «Sono state identificate attività sovversive con l’obiettivo di minare la Repubblica di Moldova, di destabilizzarla e violarne l’ordine pubblico» ha rivelato l’intelligence di Chisinau. L’esperto di geopolitica che ha visitato la Moldavia conferma che «da mesi i dimostranti hanno messo le tende di fronte ai palazzi governativi della capitale. Ogni sabato si incontrano, ma non riescono a organizzare una vera e propria «Maidan»: la rivolta a Kiev del 2014 che ha costretto alla fuga il presidente filo russo. Le manifestazioni a fine febbraio a Chisinau facevano temere il peggio, ma il massiccio intervento delle forze dell’ordine ha evitato colpi di mano. Le autorità moldave accusano (talvolta sbrigativamente) alcuni oligarchi riparati all’estero di destabilizzare il paese ed essere sul libro paga di Mosca.
Il nuovo cartello della protesta che urlava «Russia, Russia» è il Movimento popolare. A guidare i cortei due deputate del partito Shor, le pasionarie Marina Tauber e Regina Apostolova. Il fondatore, Ilan Shor, un oligarca di 35 anni, vive in esilio in Israele. In patria è ricercato per corruzione, riciclaggio di denaro e altre attività criminali, ma lui risponde che sono accuse infondate dettate da motivazioni politiche. La sua ascesa è stata favorita dall’acquisto di alcuni canali tv pro russi. La controversa carriera politica è iniziata nel 2015 con l’elezione a sindaco della città di Orhei. Da due anni, il suo partito è la terza formazione politica nel parlamento moldavo, ma solo con il 5,7 per cento dei voti. Un report dell’intelligence russa lo descrive «figura allergica e inaccettabile per alcuni, ma per altri un vero idolo, un leader».
Il dipartimento di Stato americano e gli inglesi hanno inserito Shor nella lista nera delle sanzioni con l’accusa di essersi «coordinato con altri oligarchi per creare disordini politici in Moldavia» e «aver ricevuto sostegno russo» oltre a lavorare con Mosca per ostacolare la candidatura europea del suo paese. Shor non ha mai fatto mistero di essere contrario all’adesione alla Ue che «ci sta portando al collasso economico», e per questo ha un certo seguito. La moglie Sara è una cantante pop che ha ricevuto da Vladimir Putin il titolo onorario di «artista della Russia». Fra il il 5 e 7 dicembre una delegazione italiana guidata dal generale Alessandro Grassano, vice capo del III Reparto Politica militare, ha firmato a Chisinau il Piano di cooperazione per il 2023 con la Repubblica di Moldova. Gli italiani sono stati ricevuti dal ministro della Difesa, Anatolie Nosatii, che ha enunciato gli obiettivi a partire dal «processo di modernizzazione delle forze armate». La Moldavia invierà soldati nelle principali missioni internazionali, a cominciare dal Libano, sotto comando italiano. L’Ue ha stanziato 8 milioni di euro per cyber sicurezza e lotta alla «disinformatzya», dopo gli attacchi informatici. Altri 47 milioni andranno alle Forze armate. Il 25 febbraio l’agenzia americana Usaid ha annunciato 300 milioni di dollari per aiutare Chisinau a superare la grave crisi energetica.
La bandiera della Transnistria, repubblica secessionista della Moldavia non riconosciuta, ha ancora la falce e martello dei tempi sovietici. Una piccola fetta di terra con mezzo milione di abitanti fra la riva orientale del fiume Dniester e il confine ucraino. Dopo il conflitto separatista del 1992 il cessate il fuoco è garantito da un contingente di «pace» di Mosca. «La Transnistria è quanto di più sovietico sia rimasto dell’ex Urss abitata da russi, moldavi e ucraini» sottolinea Ferrari, che è pure direttore delle ricerche dell’Istituto di studi di politica internazionale per la Russia, Caucaso e Asia centrale. Fra i complotti veri e presunti in quest’angolo dimenticato d’Europa, i russi accusano l’Ucraina di volere inscenare un falso tentativo di invasione di Mosca per intervenire a loro volta, oppure di pensare a una provocazione con un’arma radioattiva. «L’unica certezza è che a Cobasna, in Transnistria, esiste un deposito militare, risalente alla Guerra fredda, considerato il più grande arsenale di munizioni in Europa, che fa gola» dichiara Ferrari.
L’ultimo braccio di ferro è l’approvazione, in prima lettura, nel parlamento di Chisinau, di una legge che dichiara «lingua rumena», l’idioma ufficiale nel Paese al posto della «lingua moldava». Per il blocco social comunista vicino a Mosca, è il primo passo verso una futura annessione alla Romania, paese Nato. Bucarest è corsa in aiuto della Moldavia garantendo il 30 per cento della fornitura elettrica persa dall’Ucraina. «Tutti i romeni, destra o sinistra, pensano che la Moldavia sia terra irredenta» spiega Andrea de Polo, avvocato e consulente d’impresa in Romania. «C’è chi ritiene che vada ripresa e chi no. Però sono pragmatici e in questo momento sanno bene che è meglio non provocare i russi».