Home » Attualità » Energia » Transizione ecologica: cronache dal ministero che non c’è

Transizione ecologica: cronache dal ministero che non c’è

Transizione ecologica: cronache dal ministero che non c’è

Di cosa si occuperà il nuovo dicastero con a capo il fisico Roberto Cingolani? Ancora non è chiaro. Di sicuro l’ambiente non è stato al centro del governo a trazione pentastellata, fra promesse mancate e opere bloccate. Forse bisognerebbe ripartire proprio da qui.


La prima a dirlo chiaramente è stata la pasionaria dissidente Cinque stelle Barbara Lezzi, prima ancora del voto di fiducia in Parlamento a Mario Draghi. Rivolgendosi a Roberto Fico che aveva esaltato il traguardo del «nuovo super ministero» per la Transizione ecologica, aveva detto: «Vedi un ministero che non c’è». Al di là della forma, infatti, ancora non è chiaro di cosa si occuperà il fisico Roberto Cingolani, scelto da Draghi a capo del dicastero, considerando che l’idea iniziale di unificare le competenze di Ambiente e Sviluppo economico è naufragata: il Mise non solo non è scomparso, ma rappresenta una pedina persa dal Movimento (che sia per il Conte 1 sia per il Conte 2 aveva presidiato il dicastero) dato che ora il titolare sarà il leghista Giancarlo Giorgetti.

Resta, dunque, la domanda: perché l’esigenza di trasformare l’Ambiente in Transizione ecologica? L’idea, condivisa dagli stessi dissidenti interni al Movimento, è che rischia di rappresentare soltanto una sorta di «velo di Maya» finalizzato a coprire i potenziali nervi scoperti dell’esecutivo del «tutti dentro». Anche perché il ministero dell’Ambiente già era chiamato a occuparsi di tale argomento: all’interno del dicastero esiste da anni un dipartimento specifico, il Dipartimento per la Transizione ecologica e gli Investimenti verdi, che, per una sorta di curiosa congiunzione astrale, è gestito dal capo dipartimento dottor Grillo (non Beppe, bensì Mariano).

E da qui la domanda: se proprio i pentastellati avessero voluto rendere l’ambiente centrale nell’azione di governo, perché non farlo nei due e più anni in cui sono stati al governo? A conti fatti tante battaglie promesse sono state perse, dal via libera al Tap in Puglia alla mancata riconversione dell’area dell’ex Ilva a Taranto fino all’ok definitivo alla Tav Torino-Lione. Tutte opere invise ai pentastellati delle origini proprio per le ricadute ambientali.

Ma non è tutto. Tanti altri provvedimenti che pure erano stati promessi per realizzare quella svolta «green» di cui tanto si era parlato, non sono mai diventati realtà. A ottobre 2019, tanto per dire, il governo approva un decreto che prevede, tra le altre cose, «la definizione di una politica strategica nazionale per il contrasto ai cambiamenti climatici e il miglioramento della qualità dell’aria».

Il programma nazionale doveva essere approvato dal Consiglio dei ministri su proposta dell’ex ministro dell’Ambiente Sergio Costa «entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore». È passato più di un anno senza che nulla sia accaduto. Stessa sorte ha avuto anche l’attesissimo «Tavolo permanente interministeriale sull’emergenza climatica»: la norma attuativa che l’avrebbe istituito non risulta adottata.

Il punto è che dietro i provvedimenti si nascondono corposi finanziamenti che, alla fine, restano bloccati. Nella Manovra 2019, per esempio, un articolo prevedeva di stanziare 2 milioni di euro agli enti locali per realizzare le «autostrade ciclabili». Le modalità di erogazione, però, non sono mai state specificate. Esattamente come non sono mai state specificate quelle per «le reti ciclabili urbane»: 50 milioni per ogni anno dal 2020 fino al 2023, di cui avrebbe dovuto occuparsi il ministero delle Infrastrutture, fino a ieri guidato da Paola De Micheli.

Interessante sarebbe stato anche comprendere gli effetti del «credito di imposta per le erogazioni liberali per progetti di bonifica ambientale su terreni ed edifici pubblici»: i 10 milioni destinati annualmente di fatto sono rimasti bloccati perché il decreto attuativo «da emanare entro 90 giorni» non è mai arrivato. Un bel risultato considerando che la norma risale a dicembre 2018.

E c’è dell’altro. Per comprendere quanto sia stata centrale l’attenzione all’ambiente in questi due anni di governo basta ricordare un’altra curiosità: è il 12 luglio 2018 quando Palazzo Chigi approva un decreto relativo alle «disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni» di vari ministeri, tra cui quello proprio dell’Ambiente. L’idea è trasferire dalla presidenza del Consiglio al dicastero allora retto da Sergio Costa «le funzioni in materia di coordinamento e monitoraggio degli interventi di emergenza ambientale». Non solo: il ministero in quest’occasione dovrebbe anche quantificare le risorse necessarie per tale coordinamento e monitoraggio. Oggi è difficile capire chi e in che modo faccia fronte alle emergenze ambientali, dato che mai nulla è stato quantificato.

Una cosa, però, è certa: oltre all’ambiente Cingolani dovrà occuparsi anche di energia, la cui delega emigrerà dal Mise proprio alla Transizione ecologica. E anche qui speriamo che si possa fare di più. O, quantomeno, si possano chiudere i tanti percorsi lasciati a metà. Per esempio, non sarebbe male approvare il provvedimento per l’erogazione di «un contributo, a soggetti con Isee inferiore a euro 30 mila, per l’acquisto di autovetture nuove alimentate esclusivamente ad energia elettrica». L’ultima Manovra ha stanziato per l’occasione 20 milioni di euro. Ma «le modalità e i termini» dovevano essere stabiliti entro fine gennaio, cosa manco a dirlo mai avvenuta.

Questa, però, è solo la punta dell’iceberg. In totale ci sono centinaia di milioni fermi a causa dei tanti provvedimenti mai adottati proprio in tema di «transizione energetica». Quel che pochi sanno, infatti, è che la parola per cui oggi gongolano Beppe Grillo e compagni già circolava da anni tra le maglie di provvedimenti, leggi e norme. Senza che mai nulla (o molto poco) sia diventato realtà. Ecco che, dal settembre 2019, si aspetta la «determinazione dei criteri, delle condizioni e delle procedure per l’utilizzo del Fondo per la transizione energetica nel settore industriale». Identico destino per il «Piano per la transizione energetica sostenibile per individuare le zone ove è consentito lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale»: tutto fermo.

Così com’è bloccato anche il «Fondo d’investimento per le piccole e medie imprese volte alla transizione tecnologica e alla sostenibilità ecologica ambientale dei processi produttivi nell’ambito aeronautico nazionale». E magari, già che ci siamo, si potrebbe riprendere in mano anche il «piano nazionale di interventi di efficientamento energetico degli edifici pubblici adibiti a uso scolastico». Pure questa è una storia piuttosto curiosa. La norma risale al dicembre 2019 ma, nonostante i 40 milioni stanziati, nulla è avvenuto nel corso di un anno. Questa volta, però, la fiamma della speranza resta accesa: non è stata prevista alcuna scadenza temporale al provvedimento attuativo che ancora manca. Cingolani, se vuole, può partire (anche) da qui.

© Riproduzione Riservata