Cina, Russia, Iran… In una realtà iperconnessa e contratta dai conflitti, il confronto tra Oriente e Occidente si è spostato pericolosamente vicino al nostro Paese.
È un fatto che la spinta verso Occidente della Cina e la sua strategia di iperconnettività determinino oggi un curioso fenomeno di «rattrappimento geopolitico». Di colpo, orizzonti lontani appaiono prossimi. L’Estremo Oriente si è fatto vicino. All’interno della Nato, per esempio, si discute di una ridefinizione della sua missione, e l’inclusione del Pacifico nel perimetro di intervento dell’organizzazione di difesa. L’idea di fondo è che non si tratterebbe di uno sconfinamento verso Oriente bensì di una ratifica di uno stato di fatto: è l’Oriente stesso a essersi tuffato in Occidente.
Si prendano le baruffe tra cinesi e russi. Queste non insistono più solo sulla sconfinata frontiera tra Russia e Cina, ma fanno ormai capolino nel Mediterraneo. A impensierire i russi è l’imminente conclusione di un accordo strategico tra Cina e Iran. Si tratta di un accordo che prevederebbe investimenti cinesi praticamente in ogni settore, compresi quelli relativi alla telecomunicazione e alla cooperazione militare, in cambio di sconti sul petrolio e sul gas iraniano, per 25 anni.
Da tempo, la Cina ha un rapporto privilegiato con la repubblica islamica. Per la Via della Seta terrestre, infatti, Teheran torna utile per aggirare i tradizionali colli di bottiglia del Corno d’Africa e Suez attraverso la mezzaluna sciita che si protende nel Mediterraneo. Ed è per molti versi paradossale che questo rapporto si rinsaldi proprio ora. Esportando il coronavirus tra i suoi partner, Pechino ha prima di tutto causato danni enormi all’Iran, facendo letteralmente tornare indietro le lancette della storia al 1979. Inoltre è da escludere che i cinesi intendano inimicarsi le monarchie sunnite del Golfo, acerrime rivali degli iraniani.
Come ha ricordato di recente il media online Atlantico Quotidiano, la Cina ha accordi di partnership con Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ovvero i due principali nemici dell’Iran. Con Riad esiste una Commissione congiunta per i negoziati, che è co-presieduta direttamente dal principe Mohammed Bin Salman e dal vice premier cinese Han Zheng. Quanto agli Emirati, hanno nominato un inviato speciale del presidente per le relazioni con la Cina (Khaldoon al Mubarak), ricambiato dai cinesi con la nomina dell’inviato Yang Jiechi, uno dei principali dirigenti del Partito comunista (è tra i 25 membri del Politburo cinese, con delega al controllo degli affari esteri, nonché ex ministro degli esteri della Repubblica Popolare).
Si consideri infine che la Cina da tempo dispone di altri punti d’accesso al Mediterraneo, sfruttando per esempio la sua proiezione in Maghreb o il porto greco del Pireo, ora «sinizzato». Ne consegue che la presenza cinese nel quadrante orientale impensierisce non poco i tradizionali attori del Levante e dell’Eurasia. Come la Russia. Mosca danza sul confine della Persia e dell’India almeno fin dai tempi de Il grande gioco di Peter Hopkirk (quello che gli zaristi chiamavano Torneo delle Ombre), e non ha certo intenzione di cedere il passo ai cinesi. Tanto più che il ciclo economico cinese non pare più in fase espansiva, e che l’aggressività del Dragone non è più graduale e sottotraccia ma apertamente conflittuale. Con ogni probabilità, Mosca ne intuisce le ragioni.
Negli anni Settanta del secolo scorso, gli strateghi cinesi provarono a fare della prosperità economica una priorità strategica. A differenza dei loro cugini sovietici, incapaci di generare prosperità per le masse e reggere così la competizione con gli americani, i cinesi puntarono proprio sulla creazione di benessere per giustificare la privazione di libertà e diritti. Dopo 40 lunghi anni, il ciclo di generazione di prosperità si è significativamente smorzato.
L’aggressività del Partito comunista cinese non si scarica più sulla creazione di prosperità, bensì su nazionalismo e conflittualità con l’Occidente. Questa dinamica è poi accentuata dalla gestione neo-imperiale di Xi Jinping, con il quale è venuta meno la tradizionale collegialità del Partito comunista cinese. Xi ha bisogno di un nemico esterno per giustificare la perdita di slancio economico. Diversamente, sa che farebbe fatica ad assicurare l’ordine interno.
Ma la Russia, nata dalle ceneri dell’Unione Sovietica, sa che il nazionalismo senza freni può sfociare in conflitto globale. Non intende rimanerci impigliata, e soprattutto negli ultimi tempi, ha di molto attenuato la convergenza rispetto a Pechino. Dall’Italia, in particolare, il fenomeno è ben percepibile. I russi competono con i cinesi nei Balcani, nel Maghreb e nel Levante. Da Roma si vede benissimo.
* Esperto di scenari strategici, fondatore di Policy Sonar
