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Maria Rita Gismondo: «Io, la pecora nera»

Maria Rita Gismondo: «Io, la pecora nera»

Contraria al green pass. Osteggiata dalle lobby universitarie e dalle altre «virostar», a partire da Roberto Burioni e Massimo Galli. La professoressa che, all’inizio della pandemia, giudicò il Covid una semplice influenza si toglie qualche sassolino dalle scarpe: «Il ministro Roberto Speranza? Responsabile di almeno metà dei contagi». Mentre sulla terza dose: «Non si può andare avanti così, a vaccino e cappuccino».


Ultima porta a destra, in fondo al corridoio. La professoressa Maria Rita Gismondo siede nel suo ufficetto, dietro una piccola scrivania. Dirige il laboratorio di Microbiologia clinica, virologia e bioemergenze dell’Ospedale Sacco di Milano. Qui, due anni fa, viene isolato il primo ceppo del coronavirus. Impresa replicata lo scorso novembre, con la variante Omicron, sequenziata qualche stanza più in là. Nel frattempo, Gismondo è diventata un’acclamata televirologa, tendenza bastian contrario. «Guardiamo tutti lo stesso quadro: loro si sono polarizzati sul nero, io sull’azzurro. Ognuno interpreta i dati in base al proprio carattere. Un’ottimista patologica come me vede sempre spiragli di positività, gli altri no. Pochi si sono curati del peso delle parole sui media. L’enfasi catastrofista ha creato un danno psicologico, sociale ed economico assolutamente paragonabile a quello della pandemia».

Il suo approccio fiducioso, fin dall’inizio, è stato però avversatissimo.
«Il 20 febbraio 2020, proprio in questo laboratorio, una nostra meravigliosa collaboratrice fa la prima diagnosi di un caso italiano di Covid. Tre giorni più tardi, di fronte alle continue e allarmate richieste, una sera decido di fare un post su Facebook».

Lei annota: «È una follia questa emergenza. Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale».
«Il primo grande collega ad attaccarmi è Roberto Burioni, nonostante avesse appena assicurato: è più facile essere colpiti da un fulmine che essere contagiati».

Lui dileggia: «Temo che la signora del Sacco abbia lavorato troppo nelle ultime ore, dovrebbe riposarsi». «Disse proprio così».

Lo conosceva?
«Non sapevo nemmeno chi fosse. Insegna microbiologia è vero, ma non lavora in un laboratorio».

Com’è finita?
«Mi ha mandato una mail di scuse».

Non è stato l’unico ad assaltare…
«Per questo, dopo i continui attacchi mediatici, mi sono temporaneamente ritirata».

La sua frase più incriminata rimane: «Quando questo sarà finito, farò un ciondolo d’oro a forma di coronavirus».
«Quella volta, m’è scappata la mano. Lo riconosco: ho fatto una battuta infelice. Anche se è stato un episodio reale. Un gioielliere ci ha portato davvero dei ciondoli in reparto. Un modo per ringraziarci. Per carità: ho sbagliato io e, forse, pure lui. Ma non credo
di meritare l’ergastolo per questo».

Il tempo, su molte controversie, sembra averle dato ragione.
«Già allora dicevo che c’erano più infetti di quelli rilevati. O che bisognava capire, per tutelare i più fragili, chi muore davvero per Covid e chi no. Tutti argomenti poi pacificamente accettati. Il 22 marzo 2020 finisce però alle agenzie una diffida firmata dal professor Pier Luigi Lopalco, presidente del Patto trasversale per la scienza, di cui fa parte Burioni. Mi intimano di non parlare più in pubblico».

E lei?
«Il mio avvocato querela. Subito dopo, tocca a Galli».

L’insigne Massimo, fino a qualche mese fa direttore di Malattie infettive nel suo stesso ospedale? Anche lui non s’è certo sottratto…
«Ci conosciamo da 25 anni. E sa qual è la cosa più ridicola? In seguito alle sue accuse, abbiamo continuato a pubblicare insieme lavori scientifici».

Prima del Covid eravate in buoni rapporti?
«Ottimi! Isolato il virus, mi chiede perfino di poterlo usare per una ricerca. Vuole bruciare quelli dello Spallanzani, con cui c’è sempre stata un’aspra rivalità. Qualche giorno più tardi, però, passa agli insulti».

Lei, al tempo, è la «Grande minimizzatrice». In un articolo del Foglio, intitolato Il silenzio degli incompetenti è d’oro, Galli baruffa: «Quelli che hanno pensato di fare audience dicendo che è poco più di un’influenza, dovrebbero ritirarsi in un dignitoso riserbo».
«E poi, intervistato da Selvaggia Lucarelli, rincara: “Mi sta facendo ogni genere di guerra in ospedale. È una donna con cui non va d’accordo quasi nessuno”».

È vero?
«Chieda pure in giro chi è quello detestato da tutti per la sua supponenza».

Come spiega tanta acredine?
«Maschilismo dilagante. Incontrollabile super io. Forse, per lui, il Sacco doveva essere solo Galli. Non Galli e Gismondo. Ma la cosa più grave è che, visto il clima, la commissione disciplinare dell’Ordine dei medici mi ha convocato ben due volte».

Perché?
«Ufficialmente, aveva ricevuto alcune lettere in cui mi accusavano di aver sottovalutato i rischi del Covid. Comunque, obbedisco. Vado, con tutta la documentazione, assieme al mio avvocato. Mi chiedono di scrivere, chiusa in una stanza, che ho sempre agito nell’interesse della salute pubblica. È umiliante, ma faccio il compitino. Peccato che poi, quando denuncio Galli per aver disatteso il codice deontologico con le sue dichiarazioni, lo stesso Ordine non sembra altrettanto zelante. Dopo due solleciti, attendo ancora fiduciosa che mi chiamino».

La osteggiano?
«Mi sono sempre ribellata a lobby universitarie e logiche baronali. Ho fatto persino annullare un concorso per ordinario a Palermo. Mi bocciarono due volte: la prima perché avevo troppi lavori internazionali, la seconda perché ne avevo troppo pochi. All’epoca, fece scalpore. Un giornale m’intervistò. “Sono una pecora nera” dissi. “E non mi sono piegata alla politica dello ius prime noctis”. Un luminare si sentì chiamato in causa e mi denunciò. Ho vinto pure in Cassazione».

Resta un pecora nera, dunque?
«E me ne vanto! Non sono vista con simpatia da chi gestisce il sistema. Nelle commissioni dei concorsi universitari, difatti, non mi chiamano mai».

Galli è indagato proprio con l’accusa di aver favorito i suoi protetti in due concorsi, tra cui l’assunzione di quattro dirigenti biologi. Un tentativo che non si sarebbe concretizzato, scrive la Procura di Milano, proprio «perché fortemente osteggiato da Gismondo».
«Si riferiscono a una selezione interna al Sacco, durante l’emergenza Covid. Lui pretendeva di mettere i suoi, dando già nomi e cognomi. Io mi opposi: “Se c’è un concorso, si guardano i curricula. Altrimenti vi denuncio tutti”. In un’intercettazione, finita agli atti, mi definivano una persona impossibile con cui trattare. Magari perché sono una con cui non si può venire a patti».

I magistrati indagherebbero anche sul presunto uso «improprio» di un laboratorio.
«Gli ospedalizzati al Sacco devono passare, per le analisi, dal reparto che dirigo. Lo impone la legge, non io. Invece spesso, con i pazienti di Galli, è stato usato un “laboratorio fantasma”, finanziato dall’Università. Potrebbe fare solo ricerca, previa autorizzazione del comitato etico. Non è possibile usarlo per la routine».

Un anno fa, a febbraio 2021, il professore assicurava di aver pieno il reparto di varianti inglesi…
«Ecco, dove aveva fatto le analisi? Mentre lui lanciava allarmi poi sconfessati persino dal direttore generale del Sacco, noi, nell’unico laboratorio ufficiale, contavamo appena tre casi».

È stato quel «laboratorio fantasma» a scoprire che Galli, poi curato con i monoclonali come rivelato dalla Verità, era stato infettato da Omicron?
«Non lo so. Se l’hanno fatto, è una cosa fuori dalla legalità ospedaliera. Siamo noi gli unici deputati a sequenziare le varianti».

Allora, avete fatto voi a fare le salvifiche analisi?
«Questo tenderei a escluderlo. Di Galli, nel nostro laboratorio, non s’è parlato. E un collega, di solito, non passa certo inosservato…».

Ricapitoliamo: sta male, è un paziente a rischio, ha la variante sudafricana. Grazie alla tempestiva diagnosi, accede alla cura
più adeguata.

«Ha avuto la fortuna di beccare l’ultima dose di monoclonale disponibile a Natale».

L’ultima?
«Ce n’erano cinque. A lui è stata somministrata quella rimasta. Adesso ne sono arrivate altre: 300 in tutta la Lombardia, appena 10 al Sacco».

Si riferisce al Sotrovimab, il solo efficace contro Omicron?
«Esatto. La produzione non è certo immediata. In Lombardia, alla vigilia di Natale, c’erano 1.400 persone ricoverate per Covid in area medica e 168 in terapia intensiva. L’ex primario del Sacco è stato uno dei pochissimi a ricevere una dose dell’unico monoclonale utile… Credo che, viste le patologie di cui soffre, quelle di cui ha parlato lui stesso, sia entrato nei parametri
di rischio».

Non ci sono stati favoritismi?
«L’anomalia, secondo me, starebbe piuttosto a monte: nel sequenziamento. Dovevamo farlo noi. Invece, chi se n’è occupato?
Il “laboratorio fantasma”? Legalmente, può fare solo ricerca».

Sarebbe quindi un illecito?
«Certo».

Comunque sia: Galli ora è in pensione. E può dedicarsi, a tempo pieno, a fare la virostar in tv. Sebbene, pure lui, si sia detto
e contraddetto…

«Abbiamo sbagliato tutti nell’emergenza. Certo, alcune cantonate restano inaccettabili».

Per esempio?
«Io sono stata sempre contraria al Green pass. Piuttosto, il governo doveva avere il coraggio di imporre l’obbligo. Così, qualche mese fa, in una chat che abbiamo tra specialisti, scrivo che il vaccino protegge dalla severità della malattia ma non dall’infezione. Interviene allora il famoso Burioni: “Alcuni caproni”, sostiene, non dovrebbero partecipare alla discussione».

Cos’è, la chat dei virologi illustri?
«In realtà, ci sono dentro anche immunologi e persino membri del Cts. Serve a scambiarci pubblicazioni e pareri».

Tornando a Burioni: il tempo le ha dato ragione.
«Purtroppo, abbiamo il fanatismo sì vax contro quello no vax. Il vaccino sia benvenuto. È stato un salvavita. Ma non si può andare avanti così: a vaccino e cappuccino».

Cosa non funziona?
«È strutturato sulla parte più mutevole del virus: lo spike. Era prevedibile che non sarebbe stato definitivo. Dobbiamo però tendere a un richiamo annuale, come l’influenza. E questo, in linea teorica, potrebbe farlo meglio un vaccino proteico, che ha il virus al suo interno, tipo il Novavax».

Niente quarta dose?
«Non avrebbe precedenti nella storia».

I bambini devono essere immunizzati?
«Nella fascia da 0 a 19 anni, dice l’Istituto Superiore di Sanità, ci sono stati 34 morti per Covid, non sappiamo se con altre patologie. E l’Aifa sostiene che, ogni 10.000 somministrazioni, c’è un caso di endocardite, magari non grave. Lei, padre, correrebbe questo pericolo?».

E nel lungo periodo ci sono rischi?
«Intanto, qui siamo di fronte a un Tso globale. Il vaccino viene somministrato per prevenire l’infezione, simulandola. Noi invece blocchiamo la malattia: è terapico, non preventivo. Comunque: per conoscere gli effetti a lungo termine di qualsiasi farmaco, bisogna osservarlo per 10 o 15 anni. Questo dice la scienza. E ricordarlo non vuol dire essere no vax. Non si può simulare, in anticipo, la reazione del sistema immunitario. D’altronde, pure la copertura doveva durare un anno, ora s’è scoperto che crolla dopo tre mesi. E il governo, a ruota, ad accorciare la durata dell’inutile green pass».

Il ministro della Salute, Roberto Speranza, è inadeguato?
«Alcuni errori erano inevitabili, altri restano incomprensibili. A partire da «tachipirina e vigile attesa». Posso capire all’inizio. Ma il protocollo, totalmente inadeguato, viene confermato il 26 aprile 2021: quando già l’Istituto Mario Negri ha presentato uno studio sulle cure domiciliari, azzerando praticamente i ricoveri. Ma c’è un Cts? Ha mai letto una pubblicazione? Non a caso, Lancet
l’ha definito il peggiore d’Europa. Nato per combattere una malattia da virus, non ha nemmeno un virologo».

Altre mancanze?
«Speranza ha consigliato misure ridicole e inadeguate, dalla scuola ai trasporti. Ma soprattutto è responsabile almeno della metà dei contagi, perché ha dato indicazioni fuorvianti sui vaccini. E non ha neppure rettificato le sbalorditive parole del premier, Mario Draghi».

Quelle sul green pass, che avrebbe dato la sicurezza di «ritrovarsi tra persone non contagiose»?
«Una frase che ha finito per acuire un deleterio senso di sicurezza».

In tempo di pandemia, Draghi o Giuseppe Conte?
«Non vedo nessuna differenza, dal punto di vista sanitario. Per esempio: hanno magnificato il nuovo commissario straordinario, Francesco Paolo Figliuolo. Ma, semplicemente, è arrivato quando i vaccini erano disponibili».

Continuiamo però a dirci che siamo i migliori d’Europa.
«Inutile autoreferenzialità. Pensiamo piuttosto alla connivenza con l’Oms, sul piano pandemico. È stata vergognosa. Solo un anno dopo, hanno pubblicato un elenco di buone intenzioni. Insomma, continuiamo a navigare a vista».

Chi sono allora i migliori?
«I tanto criticati Paesi nordici».

Pure l’Inghilterra?
«Ha lo stesso numero di morti dell’Italia. Ma lì, almeno, non è stata distrutta l’economia. Da noi, invece, la gente è psicologicamente rovinata».

Di chi è la colpa?
«Della comunicazione, fin dall’inizio: tutti chiusi a casa ad aspettare il bollettino farlocco, che enfatizzava i contagi piuttosto che i ricoveri. Critica che ho fatto subito. Adesso, anche su questo punto, mi danno ragione».

È più brava dei suoi colleghi?
«Sono solo più coraggiosa e meno politicamente corretta. Tra gli altri, serpeggia la paura di uscire fuori dal coro. Meglio rimanere sottovento».

Nessun indisciplinato?
«Matteo Bassetti lo conosco fin da ragazzo. È stato sempre un po’ narciso. Tra tutti, però, è quello che ha detto cose più vere».

Andrea Crisanti?
«Durante una trasmissione, mi accusò di avere morti sulla coscienza perché avevo sostenuto che era un’influenza. Ma sa qual è la cosa più strana? Noi cinque, quelli che andiamo più spesso in tv…».

Chi?
«Io, Galli, Bassetti, Burioni, Crisanti e Antonella Viola, sebbene subentrata in seguito e più filogovernativa. Beh, noi cinque non ci siamo mai messi attorno a un tavolo per parlare del virus. Le pare normale?»

Lei è vanitosa?
«Cerco di nasconderlo. Il mondo dei media è una specie di circo. Potrebbe dare l’illusione di aver potere, ma è caduco. Svaniremo dagli schermi con la fine della pandemia».

C’è invidia tra voi, riveriti accademici?
«A molti non fa piacere che altri tolgano spazio».

Solo in Italia ci sono i televirologi.
«In America, a parlare in tv, è Anthony Fauci. Punto. Ma se io accetto di andare è perché credo sia utile una parola di speranza: la gente ha bisogno di conforto e consigli».

L’ha scritto anche sul Fatto quotidiano.
«Sono molto contenta della collaborazione. E faccio il mio articolo prima di leggere il giornale, per non essere condizionata
dalla linea editoriale».

La condivide?
«In parte. Non quando Marco Travaglio si lascia andare alla passione per Conte, forse eccessiva».

Gli altri giornali, invece?
«Apprezzo molto La Verità. Ha avuto coraggio. Quando rischiava di essere quasi oscurata, è andata avanti senza paura. Che poi, è quello che ho fatto anch’io».

E in tv dove va più volentieri?
«Ovunque. Sono le reti, piuttosto, che selezionano. Per esempio, Bianca Berlinguer mi ha invitato solo due o tre volte. Evidentemente, non ha gradito. Poi s’è sposata con Galli…».

Come avviene il matrimonio?
«Molti colleghi, da Burioni a Ilaria Capua, hanno un contratto».

Lei?
«Me l’hanno offerto, ma non lo trovo opportuno».

Bassetti e Viola, intanto, sono sotto scorta per le minacce dei no vax.
«Uno status symbol».

Tanti hanno attaccato renitenti e dubbiosi.
«Io ho sempre cercato il dialogo. C’è invece chi, vedi Burioni, dice che dovrebbero stare chiusi in casa come sorci. Altri aggiungono che non meritano di essere salvati. Frasi gravissime, contro ogni deontologia professionale. Curiamo gli uomini, non le idee. Adesso ci permettiamo di criticare gli stili di vita? Allora, non salviamo nemmeno chi ha un cancro ai polmoni dopo aver fumato tutta la vita? In terapia intensiva un no vax vale quanto un drogato in overdose. Anche perché è stato il fanatismo a generare tanti timori e perplessità».

Fanatismo per natura o convenienza?
«È ormai una sorta di lasciapassare, in una società che non ammette dubbi. Sempre nella chat dei virologi, quella in cui Burioni m’ha insultata, ci sono medici che, pubblicamente, dicono di essere efferati vaccinisti. Poi però, tra noi, si pongono ragionevoli dubbi, come ogni scienziato dovrebbe fare. Ma non hanno il coraggio di esporsi».

Perché?
«Se oggi ambissi a un incarico politico o parapolitico, secondo lei sceglierebbero me o Galli?».

Può rivelare i nomi dei colleghi doppiogiochisti?
«Mi ci faccia pensare…».

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