Con la giustificazione di un’alimentazione più sana è in corso un’offensiva alle produzioni del nostro Paese da parte di chi vuole occuparne gli spazi di mercato. Così tra etichettature a semaforo europee e «overdose» di proteine vegetali, si cerca di sostituire ai principi riconosciuti della dieta mediterranea uno standard di consumo globale.
Quanto vale il «mangiare all’italiana»? Tra ciò che produciamo (140 miliardi di euro) ed esportiamo (42 miliardi, nonostante la pandemia) e ciò che gli altri imitano (i cosiddetti prodotti «italian sounding» 100 miliardi) o falsificano (60 miliardi), il totale assomma a oltre 340 miliardi di euro. Metterci le mani sopra, però, è complicato: troppo frazionate le aziende, troppo incidente il rapporto di un’agricoltura che esalta la biodiversità con la trasformazione (600 diversi salumi, 430 formaggi, 350 pani, 540 diverse «cultivar» di olive, 350 uve da vino, 40 Dop e Igp vini compresi in media per ogni regione, 5 mila ricette che alimentano la cucina più praticata, consumata e desiderata nel mondo) infine troppo elevati gli standard di qualità; meglio eliminare dal mercato questi fastidiosi competitori.
Così è partito un attacco allo stile alimentare italiano che usa armi improprie: l’ambiente, l’etica, la salute con le istituzioni internazionali che non si vergognano di cadere in contraddizione con loro stesse. La prima e più clamorosa: l’Onu dichiara con l’Unesco la dieta mediterranea, di cui l’Italia detiene il primato, Patrimonio dell’umanità e la stessa Onu nel prossimo autunno chiama a raduno a New York tutti i Paesi per affermare che la dieta mediterranea fa male perché troppo proteica. Non c’è da stare allegri perché in gioco ci sono gruppi multinazionali e potenze economiche consapevoli che chi è padrone della fame è padrone del mondo; una su tutte la Cina, che ha una forte preoccupazione per la sua tenuta alimentare e ha già trasformato vaste zone dell’Africa nella propria fattoria.
Si è spesso affermato che la prossima guerra sarebbe stata scatenata non dal petrolio, ma dall’acqua; però già se ne combatte una per le proteine che sta infiammando i prezzi. Soia, mais, semi oleosi hanno raggiunto cifre mai viste prima: la farina di soia è raddoppiata in un anno, i fagioli arrivano a oltre i 550 euro a tonnellata. Tutti i cereali sono «in tensione» e il valore mondiale di questo comparto dovrebbe arrivare a 466 milioni di tonnellate, con un aumento del 5,8 per cento rispetto all’anno scorso.
Un segno è l’incremento abnorme dei prezzi dei piselli da proteina: stando all’istituto di ricerche MarketsandMarkets, tra 4 anni sarà un mercato da 1.400 milioni di dollari, il doppio dei 745 milioni di dollari fatturati nel 2020. Del pari cresce il mercato degli olî vegetali. Secondo l’indice Fao, la quotazione è salita dell’8 per cento quest’anno raggiungendo il valore più alto da quasi 10 anni. Le ragioni? Questi olî servono all’industria alimentare per produrre, per esempio, le imitazioni della carne, ma sono anche i biodiesel. Torna così la lotta tra agricoltura destinata all’alimentazione (ma quale?) e quella per la produzione di bioenergia. In campo ci sono la Commissione europea e organizzazioni come Onu, Fao, Oms. Anche per queste ragioni l’Europa non riesce neppure a mettersi d’accordo sulla Pac, la nuova Politica agricola comune (per l’Italia, in ballo circa 50 miliardi di contributi fino al 2027).
Un punto sui cui la presidente della Commisione Ursula von der Leyen non demorde è il Green Deal applicato all’agricoltura. Cardine ne è il programma Farm to Fork (dalla fattoria al piatto) rappresentato dal Nutri-score (la famigerata etichettatura a semaforo che premia la Coca-Cola Light e condanna l’olio extravergine di oliva). Il Nutri-score si basa su sale, grassi, zucchero contenuti nei cibi, ma non prende in considerazione né le razioni giornaliere né la chimica nascosta negli alimenti. Studiato dall’epidemiologo francese Serge Hercberg, è di fatto sponsorizzato dalla Nestlé, la più potente multinazionale del cibo – 3 mila marchi, oltre 80 miliardi di euro di fatturato – ormai decisa a diventare una healthy company (peraltro la stessa azienda, a inizio anno, ha ammesso in un documento interno che il 60 per cento dei propri prodotti non raggiunge gli standard di «alimento salutare»).
A far cadere l’ultimo velo d’ipocrisia ci ha pensato il vicepresidente della Nestlé e capo delle relazioni Ue, Bart Vandewaetere. Su Twitter ha postato un video in cui invita a un brindisi «con questa nuova alternativa al latte, fatta con piselli gialli frullati del Belgio e della Francia… e Nutri-score A (massimo livello di qualità, ndr). Salute!». Ma cosa c’è nella bevanda Nestlé? Piselli gialli, fibre di cicoria, zucchero e olio di girasole. Sempre da Nestlé arriva in Autogrill l’hamburger vegano. Gli ingredienti del Sensational Garden Gourmet Burger? Proteine di soia reidratate (52 per cento), acqua e proteine di soia concentrate (19,9) oli vegetali in proporzione variabile (colza, cocco), aceto di alcol, aromi, metilcellulosa come stabilizzante, concentrato di vegetali e frutta (mela, barbabietola, carota, ibisco) sale, estratto di malto d’orzo.
Questo per l’Europa è il futuro alimentare, questo è il motivo della guerra delle proteine che sta mettendo in ginocchio la zootecnia e il comparto lattiero caseario italiani. Sempre l’Europa, su proposta della Commissione, ha dato via libera all’uso alimentare dei vermi della farina (tenebrio molitor). Gli insetti ammessi come alimenti (su richiesta della francese Sas Eap Group di Tolosa che detiene la Micronutris) fanno parte, scrive la Ue, della strategia Farm to Fork per avviare l’Europa da qui al 2030 a sistemi alimentari sostenibili in cui gli insetti rappresentano una risorsa proteica a basso impatto ambientale e possono essere utili per la transizione green delle produzioni alimentari continentali.
Uno studio Fao, l’organizzazione internazionale per il cibo e l’agricoltura, di cui è direttore generale il cinese Qu Dongyu dice: non ci sono abbastanza proteine nel mondo per tutti e la sovrappopolazione creerà un’insufficienza agricola. Alla Fao come vicedirettore generale c’è Maurizio Martina, ex ministro agricolo ed ex segretario nazionale del Pd, che non ha mosso un dito. Né si è chiesto come possa la Fao raccontare che in Europa bisogna mangiare insetti se il consumo di carne è in continua discesa e la popolazione pure. Commenta per Panorama Marina Donegani, nutrizionista che ha il lodevole vizio di smascherare le bufale sul cibo e, con il padre Carlo, ha scritto per BioMedia editore Free From Fake: «Non c’è regime alimentare migliore della dieta mediterranea e non c’è alcuna ragione né scientifica né economica perché in Italia si debbano mangiare insetti che sono un cibo apprezzato in altre culture alimentari, ma estranei alla nostra».
Un mistero la posizione europea? Lo spiega ottimamente Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia (rappresenta l’agroalimentare di qualità): «Chiedono agli agricoltori adeguamenti al Green Deal che comportano costi molto alti. Forse hanno deciso che solo i ricchi possono mangiare bene, agli altri: insetti! Mi piacerebbe che la commissaria Von der Leyen accettasse un confronto sullo studio di valutazione d’impatto del Farm to Fork. Lo studio c’è, ma la Commissione rifiuta di mostrarlo perché esiste il fondato sospetto che da quei numeri emerga un crollo inaccettabile della produzione agricola europea a vantaggio dei Paesi terzi che così esporterebbero di più in Europa producendo con standard inferiori».
Durissima la denuncia del presidente di Federalimentare Ivano Vacondio: «Dal tentativo dell’Onu di tre anni fa al Nutri-score europeo fino all’ultima critica alla dieta mediterranea, questi attacchi nulla hanno a che fare con gli interessi che dichiarano di voler tutelare. Dietro la questione della salute e dell’ambiente si nasconde il tentativo di frenare la competitività del made in Italy alimentare. Le nostre eccellenze hanno un successo incredibile, non tanto per i volumi che abbiamo esportato quanto per la capacità di ricavare una marginalità altissima. Altro che salute e ambiente: sono le nostre quote di mercato a fare gola».
Intanto Matteo Salvini, con il supporto del sottosegretario all’Agricoltura Gian Marco Centinaio, ha lanciato la campagna «Mangiacomeparli»: in centinaia di piazze vengono presentati i prodotti made in Italy con una raccolta firme per un disegno di legge che vieti in Italia l’uso degli insetti. Anche Stefano Patuanelli, ministro agricolo pentastellato, ha detto che «il Nutri-score è inconcepibile, ingiustificato e inaccettabile. Le esportazioni italiane coprono mercati cui puntano altri e si vuole usare il Nutri-score per stoppare le nostre produzioni a favore di chi non ha accesso a quei mercati. Per farlo si è pronti a colpire la dieta mediterranea, patrimonio dell’umanità».
Però Walter Ricciardi, consigliere del ministro per la Salute Roberto Speranza e già presidente dell’Iss, si è detto favorevole al Nutri-score affermando che il ministro Patuanelli fa il lobbista in favore del made in Italy. Come se non ci fosse già chi si esercita a sputare nel nostro piatto.
