Secondo i sondaggi, l’ex presidente, coinvolto nella più grave vicenda di corruzione nazionale (ma amico di Papa Francesco e della sinistra italiana, nonché protettore del terrorista Cesare Battisti), avrebbe concrete chance di tornare al potere. Del resto, grazie a cavilli procedurali, le condanne che doveva scontare sono state annullate. E, visto il suo programma elettorale, per il Paese sudamericano sarebbe un altro disastro.
In una vivacissima riunione di fine anno nel suo appartamento di São Bernardo do Campo, hinterland di San Paolo, alla presenza della sua protetta Gleisi Hoffmann, la presidente del PT, il Partito dei Lavoratori, e dell’eterno factotum Paulo Okamotto, tra un sorso di vino di Bordeaux e l’altro – tante le bottiglie aperte da 1.000 euro l’una – il redivivo della politica brasiliana, il 76enne Luiz Inácio Lula da Silva, ha definito l’alleanza con il suo futuro vicepresidente, Geraldo Alckmin. Già candidato di destra alle presidenziali 2006, proprio contro Lula che in quell’occasione definì «corrotto», ora Alkmin, politico vicino all’Opus Dei ed ex governatore dello Stato di San Paolo, ridiscende in campo come vice di Lula alle elezioni del prossimo 2 ottobre. Le variabili della politica…
È così: l’ex presidente, grande amico e «consigliori» di Massimo D’Alema e del sindaco di Roma Roberto Gualtieri, se la dovrà vedere con Jair Bolsonaro, il leader uscente. Le prospettive che il sindacalista nato povero e arricchitosi con il più grande scandalo di corruzione della storia del Brasile, quello del gruppo Odebrecht costretto per la vergogna persino a cambiare nome in «Novonor», sia eletto per la terza volta sono concrete. Lo dicono gli ultimi sondaggi, che accreditano Lula di un 44% delle intenzioni di voto, mentre il Mito, come i supporter chiamano Bolsonaro, è fermo al 24%. La «terza via», e possibile sorpresa nella contesa, è rappresentata da Sergio Moro, giudice simbolo della lotta nazionale contro il crimine, il solo che sia riuscito nell’impresa di porre in evidenza l’endemica corruzione che attanaglia il Brasile, mettendo le manette ai polsi a decine di grandi imprenditori e di politici famosi, il più celebre di tutti proprio Lula.
A festeggiare l’ultimo dell’anno con colui che è stato anche protettore di Cesare Battisti, c’era anche «Janja», la sua fidanzata (da oltre quattro anni, ovvero dopo la morte della seconda moglie Marisa Letícia nel febbraio 2017, ma i maligni affermano che sia da molto più tempo nella sua vita). All’anagrafe la signora fa Rosangela Silva, e ha 21 anni in meno dell’araba fenice della politica brasiliana. Sociologa, su Twitter si è battuta per vedersi riconosciuto un account ufficiale con tanto di spunta blu e intende sposarsi entro fine anno con l’amato fondatore del PT. Lei si definisce «tesserata al PT dall’83» e «fidanzata con un certo Pernambucano di Garanhuns», ovvero Lula, che «innaffia» di cuoricini su Twitter a ogni suo intervento pubblico.
Celebrato dalla sinistra e da quasi tutti i media globali che rispondono all’ideologia liberal, Lula è appunto l’uomo che nell’ultimo giorno del suo secondo mandato non ha trovato di meglio che concedere rifugio all’ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo, Battisti. Adesso ha dunque buone chance di tornare a essere il baricentro della terremotata politica nazionale.
Certo, l’ex presidente è corrotto come dimostrato da decine di testimonianze ai processi – non ultima quella del suo ex ministro dell’Economia, Antonio Palocci – e dalle conseguenti condanne.
Però, grazie a un giudice della Corte Suprema, Luiz Edson Fachin, già avvocato fedelissimo del PT, per un cavillo procedurale è stato definitivamente assolto, tutte le sue condanne sono state annullate e la decina di procedimenti che lo vedevano imputato svaniti magicamente nel nulla. Così, invece dei 100 anni di condanna che avrebbe potuto vedersi comminare, ecco Lula di nuovo in pista con la fedina penale pura come un giglio, pronto a ricandidarsi per una sesta volta alla presidenziali. La prima era stata nel 1989, anni luce fa per lui, che per sua stessa umile ammissione sarebbe «l’anima più onesta» del proprio Paese. Questione di punti di vista.
Certo, l’ex presidente gli agganci ai vertici del potere mondiale li possiede, e molto importanti. È infatti adorato da Papa Francesco: il pontefice lo ha ricevuto non appena uscito dal carcere – dove ha comunque trascorso 580 giorni in una cella «di lusso» con tutti i comfort, nella sede della Polizia federale di Curitiba. Risalendo nella sua biografia, era stimatissimo anche da Giulio Andreotti che lo incontrò nei primi anni Ottanta, in una casa vicina alla Santa Sede. Così come è osannato anche dai democratici Usa, non a caso Barack Obama qualche anno fa lo aveva etichettato, tra un brindisi di champagne e l’altro, come «il miglior politico del mondo».
Chiariamo una cosa. Sarà certo un Lula diverso quello che molto probabilmente rientrerà a Palácio do Planalto, il luogo di lavoro del presidente a Brasilia. Un Lula che trascorre le sue vacanze estive a Cuba, alla corte di Raúl Castro, «amico fraterno» e che appoggia apertamente le dittature di Daniel Ortega in Nicaragua e di Nicolás Maduro in Venezuela. Un nuovo Lula le cui riforme – che hanno come modello l’Argentina dei due Fernández, Alberto e Cristina, e la Spagna di Pedro Sánchez e Podemos – sarebbero un disastro per il Brasile e la sua economia.
«È tempo di cancellare la legge sul tetto fiscale, che pone un limite alla spesa pubblica, cancellare la riforma del lavoro introdotta dalla presidenza di Michel Temer nel 2017, cambiare la politica dei carburanti, mettendo prezzi controllati a benzina e nafta che non devono essere in linea con quelli internazionali, è tempo di fermare le privatizzazioni e rivedere i contratti dannosi per il mio Paese» continua a ripetere Lula, che proprio a capo dell’economia intende richiamare il suo ex ministro «genovese» Guido Mantega, inviso ai mercati e responsabile della più grave recessione verde-oro di sempre, quella del secondo mandato di Dilma Rousseff.
Per l’autorevole giornalista brasiliano José Roberto Guzzo «se Lula vincerà le presidenziali, poi nessuno potrà lamentarsi quando scoprirà che il proprio governo è disposto a violare la Costituzione per imporre un regime al Brasile». Già perché, analizza Guzzo, lo stesso ex presidente ha ripetuto più volte che lo Stato sudamericano, sotto la sua guida, «sarà un Paese socialista».
Le elezioni di ottobre però «sono per scegliere il più alto rappresentante istituzionale dal 2023 al 2027, e non per imporre alla popolazione un nuovo regime politico, economico e sociale. Il problema è che Lula e il PT sono convinti che una loro vittoria alle votazioni li autorizzerà a trasformare il Brasile in un altro Perù, o un’altra Bolivia – in pubblico non osano dire Venezuela o Cuba – con l’economia consegnata interamente al potere statale, in sintonia con la litania socialcomunista che è stata sperimentata nel mondo negli ultimi 100 anni e ha dato i ben noti frutti».
A peggiorare le cose, «Lula in persona ha già fatto sapere» aggiunge Guzzo «che il Brasile avrà bisogno di una dittatura e il modello che promette di imporre, se vince, è agghiacciante. Perché, secondo lui, ci manca uno “Stato forte”, con un “partito forte” che dia gli ordini, governi la vita del popolo e decida cosa è bene e cosa è male per tutti. La Cina, pensa il candidato presidente, è ciò di cui ha bisogno oggi il Brasile».
In tutte le interviste rilasciate da Lula ai media italiani, questi «piccoli difetti» dell’ex sindacalista non solo spariscono ma diventano virtù, a cominciare dalla corruzione mostruosa che si trasforma magicamente in «una grande abilità politica di aggregazione». Che tale capacità fosse dovuta, nel recente passato, alla distribuzione a pioggia di favori e stecche è un dettaglio ignorato dalla stampa nostrana.
Per capire che le cose non stanno proprio così basterebbe andarsi a leggere l’ultima denuncia contro l’ex sindacalista, messa a verbale in Spagna dall’ex capo dell’intelligence militare chavista, Hugo Carvajal detto «il Pollo», che ha confessato agli inquirenti iberici di avere inviato personalmente valigie piene di dollari per anni a Lula e ai suoi compagni di partito del PT. Ma nei peana al politico brasiliano della stampa europea e di quella liberal statunitense, questo non lo leggerete mai.
