Monsieur de La Palice, nobilissimo combattente francese, è passato alla storia per un epitaffio storpiato sotto le mura di Pavia: «S’il n’était pas mort, il ferait encore envie» (se non fosse morto farebbe ancora invidia) diventato «se non fosse morto sarebbe ancora in vita». Anche l’Europa, e segnatamente l’Italia dove il governo presunto dei migliori avviandosi all’uscita non trova né soldi né modi per metterci una pezza, vorrebbe fare ancora invidia, ma forse non sta benissimo.
La battaglia del metano che sta diventando anche quella del grano annuncia un Medioevo prossimo venturo, mentre i governi si svenano per inseguire le quotazioni energetiche fuori controllo. Promettono: soffocheremo la Russia con la strategia del boa, poco alla volta. Per ora correndo dietro a Vladimir Putin e accattonando gas ovunque; difficilmente s’incontrano venditori democratici al punto di aver consegnato al dittatore (epiteto affibbiatogli da Mario Draghi) Recep Tayyip Erdogan le chiavi della mediazione sull’Ucraina, e così rischiamo di fare come il criceto nella ruota. La Germania ha già sborsato 120 miliardi, l’Italia una cinquantina e pare ne abbiamo pochi altri, Spagna e Portogallo che si vantano del loro domestico price-cap hanno già finito la corsa perché a colpi di otto miliardi al mese per ammortizzare le bollette saltano per aria; la Francia si scambia elettroni con Berlino altrimenti non ce la fa, respingendo l’Europa verso l’asse franco-tedesco.
Non è un buon segno, alla faccia del mitizzato protocollo del Quirinale tra Italia e Parigi con «photo opportunity» di Sergio Mattarella ed Emmanuel Macron. Al netto del fatto che Christine Lagarde – la presidente a sua insaputa della Bce – stringe tardivamente i tassi perché l’inflazione in Europa vola al 9,1 per cento. Le tocca inseguire il dollaro tonificato dalla Federal Reserve che continua la stretta monetaria, ma l’euro sta stabilmente sotto la parità col biglietto verde. Al G7 hanno stabilito di tagliare il petrolio russo, peccato che di quei Paesi solo Stati Uniti e Canada siano autosufficienti nel fare il pieno. Gli altri pagano salato e si vede. Gli uffici statistici di Bruxelles dicono che la recessione è dietro l’angolo. Perfino Paolo Gentiloni (Pd), commissario europeo all’Economia, detto «er Moviola», ha dovuto ammettere: «L’incertezza rimane eccezionalmente elevata e il rischio di recessione è in aumento».
Anche l’unità politica costruita in tempi pandemici pare sfarinarsi. Lo si vedrà col nuovo patto di stabilità. Dice sempre Gentiloni che si dovrà «rientrare dal debito con lo sviluppo, ma le politiche fiscali non devono alimentare l’inflazione». Torna l’Europa a due velocità. Un avviso, anche in previsione del fatto che a Roma s’insedi un governo che non piace alla tecnocrazia europea, ce l’hanno già dato: ratificate il Mes, ovvero il delicato (per chi l’adotta) Fondo salva-Stati. Ci tocca sperare, lapalissianamente, che la morte ci trovi vivi. Ha fatto due conti Standard & Poor’s, un nome una garanzia: «povero» in inglese si dice poor – ed emerge che la bolletta energetica salirà di mille miliardi di cui oltre la metà da pagare con un euro affetto da anemia cronica. Goldman Sachs è ancora più pessimista: 1.900 miliardi se bastano. L’Europa c’impone, dopo il «green pass» per il Covid, il «cold pass»: sarà obbligatorio stare al freddo per risparmiare. Con i razionamenti del gas, le docce fredde, le città buie, una pioggia di tasse e la ricerca dell’alternativa al termosifone col ritorno del camino (dove, per dirla con Giovanni Pascoli, «Serbo per il mio verno anche le foglie aride del granturco, ecco via via mi scaldo ai gambi e dormo sulle spoglie») tramonta la grandeur dell’Europa, oggi disunita, debole e costretta a un’economia di guerra senza che nessun parlamento abbia dichiarato la guerra.
Siamo all’Austerity 2.0 e per quanto Ursula von der Leyen annunci l’impossibile «price cap» a tutto il gas o l’inutile tetto al prezzo del metano russo – visto che Putin non ce ne darà di ulteriore – siamo alla canna del gas. Eppure nessuno vuole rinunciare al Green deal, all’albagia delle «emissioni zero» mentre le centrali a carbone vanno al massimo e gli egoismi sovranisti delle nazioni europee si contano in miliardi. C’è chi li sta guadagnando – la Norvegia 80, quasi altrettanti l’Olanda, la Danimarca una quarantina coi suoi giacimenti – grazie alle sanzioni alla Russia e chi li sta perdendo per sostenere l’Ucraina invasa dove è ripreso il campionato di calcio e i bomber hanno preso il posto delle bombe. Assomiglia, la presidente della Commissione europea, alla «piccola fiammiferaia» mentre il suo vice Frans Timmermans, olandese che vuole distruggere l’agricoltura al punto che mentre Putin minaccia il blocco del grano lui taglia i pesticidi in nome dell’Europa verde e dimezza la nostra produzione, fa il tifo per il TTF, cioè la borsa di Amsterdam fulcro della speculazione sul gas. L’Unione è la fonte del problema. La borsa di Amsterdam fu istituita nel 2003 (prima il gas si trattava a Londra) per volere di Bruxelles con un doppio intento: dare una piattaforma energetica all’euro per accreditarlo come moneta di riferimento, alzare il prezzo del metano per rendere competitive le energie rinnovabili. Prima del TTF (il mercato spot) il metano si comprava con contratti a lunga scadenza (molti sono ancora in essere ed è lì che lucrano le grandi società) con quotazioni agganciate al greggio. Egualmente l’Europa promette di disaccoppiare il prezzo dell’elettricità da quello del gas: erano stati accorpati ancora una volta per favorire le energie rinnovabili. Ora la baronessa Von der Leyen promette marcia indietro; ma Christian Zinglersen, direttore dell’Acer (l’agenzia europea di vigilanza sul mercato elettrico) e danese come Andersen (l’autore della Piccola fiammiferaia), un paio di mesi fa ha scritto: «Tutte le misure atte ad abbassare i prezzi dell’energia potrebbero disincentivare gli investimenti del settore privato in soluzioni innovative e tecnologie per la decarbonizzazione e la generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili».
È evidente che la Commissione europea ha giocato col gas come arma di persuasione per spingere al massimo il Green deal. Siamo messi così mentre Putin usa il rubinetto del Nord Stream – il principale gasdotto che porta in Europa il metano della Siberia – come una garrota. Ora lo ha chiuso del tutto e a tempo indeterminato. Dicono che non può durare perché anche lui ha bisogno di vendere il gas. Vero. Ma ne sta piazzando il 63,4 per cento (aumento del 100 per cento) alla Cina che glielo paga in rubli e accelera sulla costruzione del secondo viadotto siberiano verso Pechino, mentre il petrolio lo dà all’India. Gazprom in sei mesi ha fatto 40,9 miliardi di dollari di utile, il surplus commerciale russo a fine anno è stimato a 265 miliardi di dollari, il secondo dopo la Cina. Al presidente americano Joe Biden, che chiedeva ai Paesi produttori di estrarre più greggio per neutralizzare la Russia, ha risposto l’Opec che li riunisce: ha limitato la produzione e aumentato i prezzi. Ma i nostri governanti dicono: niente paura, abbiamo il pieno di scorte. Sicuro? In Italia si è scoperto che avere riempito i serbatoi all’83 per cento, traguardo ragguardevole, corrisponde ad avere da parte due decimi del fabbisogno. Insomma due mesi col Nord Stream in sciopero e si ferma tutto. Il nostro ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani ha però predisposto un piano strategico.
Per tutta l’estate ha promesso niente razionamenti, però quando il gioco si fa duro sappiamo come fare. Termosifoni al massimo a 19 gradi con l’Italia in sei zone climatiche e accesi con un ritardo di 15 giorni e un’ora in meno al giorno, poche docce, lavatrici e lavastoviglie a pieno carico (le famiglie unipersonali sono 8,5 milioni, loro devono aspettare che si accumulino un bel po’ di piatti prima di lavarli), lampioni spenti al 40 per cento (c’è una denuncia per violenza sessuale ogni 131 minuti, 9 al giorno per strada), tv e tutti gli elettrodomestici staccati quando non utilizzati salvo il frigo. Ah, e poi riapriamo le centrali a carbone e insistiamo a convincere famiglie e condomini a istallare i panelli solari. Che poi per ottenere un permesso ci voglia un paio d’anni è affare del prossimo governo.
C’è però una faccenda strana. Riguarda Daniele Franco, ministro dell’Economia alle prese con un decreto aiuti che non ha «capienza». Lo Stato grazie a inflazione e caro energia ha incassato l’11 per cento più del previsto, ma forse non vuole mollare tutti i soldi. Insiste Franco, e anche i partiti in modo assai retorico in campagna elettorale, sulla tassazione degli extraprofitti sin qui assai sparagnina nel gettito (meno di due miliardi su oltre 10 previsti), senza considerare che quella tassazione un effetto lo ha avuto: non colpisce i colossi energetici – che tra l’altro hanno, ancorché partecipati dal pubblico, e in maniera del tutto lecita, sedi legali in Olanda dove non si pagano tasse sugli utili – bensì le piccole aziende che hanno istallato i pannelli solari. Il meccanismo è questo: chi produce energia deve cederla in rete a compensazione della propria bolletta. Se si è venduta energia a un prezzo più alto della media degli ultimi cinque anni, pur pagando quella che si ricompra dalla rete a un prezzo più alto, si deve versare la differenza che è intesa come extraprofitto. Perfetto.
In ogni caso non basta, perché la stima fatta da Goldman Sachs è che l’aumento complessivo della bolletta per l’Italia sarà di 200 miliardi. Chi paga? Lo Stato no di sicuro. Il ministro Franco ha già fatto sapere che i soldi non ci sono e Draghi, a chiunque gli abbia chiesto uno scostamento di bilancio, ha risposto: vade retro. E allora? Semplice, i costi della crisi si scaricano sulle famiglie: più 3.500 euro all’anno di cui 780 di inflazione alimentare, il resto rappresentato da luce, gas e trasporti. E lo pagano anche le imprese: un aumento di costi di energia stimato in 80 miliardi. Voilà la risposta: si paga arretrando economicamente. Gli effetti sono l’inflazione all’8,4 per cento, quella alimentare al 10,5, i consumi ridotti in volume dello 0,5 per cento. Ci sono120 mila aziende del terziario a rischio, con 370 mila posti di lavoro in bilico; un’azienda agricola su tre in difficoltà e 60 mila già chiuse; interi settori ormai al collasso, dalla ceramica al vetro, dalla carta al legno, dalla metallurgia all’edilizia.
A maggio – ultimo dato disponibile – la cassa integrazione è cresciuta del 3,7 per cento. Il tema forte oggi è la crisi di liquidità delle imprese e il fatto che i fornitori di energia non rinnovano i contratti. Non sanno come elaborare i listini e pretendono fideiussioni bancarie dai clienti. L’Arera, che regola i prezzi dell’energia, si pronuncerà a giorni sulle prossime bollette. Gli incrementi attesi sono tra il 60 e l’80 per cento. Se il governo non corre ai ripari, sono dolori. Ma la coperta di Palazzo Chigi è cortissima. L’inverno per voi sarà lungo e freddo, ha profetizzato Putin. Forse almeno su questo ha ragione.
Poco caldo, molti rischi
Abbassare i termosifoni è una buona idea, certo. Ma se si esagera con l’austerity, con l’occhio solo alle bollette, le conseguenze sulla salute non sono affatto trascurabili. Soprattutto sul sistema cardiovascolare e sulle difese immunitarie di chi è più fragile.
di Luca Sciortino
Per far fronte ai rincari delle bollette un certo numero di italiani sarà tentato di trascorrere un bel po’ di tempo al freddo. Del resto, il 65,7 cento delle famiglie italiane, secondo l’Istat, possiede impianti autonomi per il riscaldamento a metano. Ad altri potrebbe invece accadere di avere in casa temperature piuttosto basse, almeno per qualche giorno, visto che i termosifoni resteranno accesi per un periodo di tempo minore. Indagini statistiche in altri Paesi, come il Regno Unito, calcolano in un 23 per cento gli utenti che prevedono di non accendere mai il riscaldamento in inverno. Quanto questa percentuale varierà da nazione a nazione dipenderà da diversi fattori, non ultimi quelli legati all’inflazione e alle politiche governative.
Ma che rischio corre chi vorrà fare scelte più drastiche, anche per periodi limitati (tenendo conto che ogni grado in meno assicura un risparmio del 10 per cento)? La prima cosa da tenere a mente è che più si abbassa la temperatura più i vasi sanguigni si restringono e il sangue diviene viscoso. «C’è una soglia, 12-13 gradi, oltre cui una persona che ha problemi cardiovascolari può incorrere in infarti o ictus. Questo perché a una costrizione dei vasi dovuta al freddo segue un aumento della pressione sanguigna» dice Roberto Volpe, medico ricercatore dell’Unità prevenzione e protezione del Cnr. «Al cuore e all’organismo in generale viene richiesto un maggiore impegno per produrre energia e calore, per cui il metabolismo accelera e con esso il battito cardiaco che diviene tachicardico. Il cuore dunque si affatica e consuma più ossigeno. Qualcuno potrebbe vedere tutto questo come un fatto positivo, dal momento che consumando più calorie, si dimagrisce. Ma bisogna considerare che per combattere il freddo si tende a mangiare di più, soprattutto cibi calorici, e a bere alcolici».
Se il riscaldamento non è sufficiente, aumenta anche l’eventualità di infezioni respiratorie, specialmente in chi soffre di ostruzioni bronchiali di vario tipo che limitano il flusso di aria ai polmoni. E di broncopneumopatia cronica ostruttiva oggi soffrono in tanti (è al quarto posto tra le cause di morte in Europa e America, conseguenza del fumo di tabacco e dell’inquinamento).
Quando poi la temperatura di casa è più bassa e c’è più umido, il sistema immunitario è meno efficiente e, nello stesso tempo, muffe, acari, virus di raffreddori e influenzali prolificano rapidamente. «Il pericolo maggiore di infezioni respiratorie lo corrono gli immunodepressi, come pazienti che hanno leucemie, mielomi, linfomi» continua Volpe. «Ma tutti corrono il rischio di avere eritemi da freddo e disturbi cutanei da vasocostrizione periferica intensa e prolungata, come la sindrome di Raynaud, caratterizzata da mani pallide e dolenti, e arteriopatie periferiche»
Quando si dorme, però, è giusto che la temperatura non sia troppo alta. «Di notte, dovrebbe essere di circa 16-17 gradi, un po’ più bassa di quella diurna. Se c’è troppo caldo le mucose tendono a disidratarsi e seccarsi, divengono più vulnerabili a batteri e virus. Quindi il riscaldamento va programmato di conseguenza o anche spento» aggiunge Volpe. «Il sonno è facilitato se la temperatura corporea riesce ad abbassarsi di un grado, se c’è troppo caldo si fa fatica ad addormentarsi. Per far questo l’organismo accresce il flusso verso le estremità in modo da disperdere calore. Inoltre, la temperatura leggermente più bassa favorisce il rilassamento muscolare e quindi il sonno».
C’è, infine, un aspetto legato alle temperature nelle abitazioni raramente tenuto in considerazione. A una casa termicamente più efficiente si associa un maggiore benessere psicologico. Lo dicono numerose ricerche che ci concentrano su diversi aspetti del problema. Per esempio si è dimostrato che vivendo in case fredde un adolescente su quattro è a rischio di malattie mentali, mentre con un calore adeguato solo uno su 20 lo è. Altri studi, similmente, suggeriscono che le probabilità di evitare una depressione aumentano in coloro i quali vivono in abitazioni con temperature corrette. Vale quindi la pena abbassare la temperatura in casa anche di un paio di gradi, vestendosi con indumenti più pesanti. Ne guadagna l’ambiente e il portafoglio. Ma molti non dovranno esagerare, neppure per motivi economici.