L’ex celeberrimo governatore, saldato il debito con la giustizia per favoreggiamento alla mafia, lancia la sua Democrazia cristiana all’imminente voto amministrativo. E garantisce a Panorama: «Di quei vecchi tempi di scambi e clientele, non è rimasto nulla. Faccio ammenda del passato, per costruire il futuro sul rigore morale». Oggi l’obiettivo è la Sicilia. Domani, l’Italia.
Quanti comizi, oggi?
Quattro. L’ultimo a Messina.
Baci?
Mi sono dato un limite: se proprio devo, meglio le donne. In tempi di Covid, comunque, prediligo i selfie.
Ne faccio a centinaia.
Abbracci?
Huuu… Tantissimi.
Il tempo sembra essersi fermato.
L’affetto per la neonata Democrazia cristiana è enorme.
Totò Cuffaro, ex governatore siciliano e senatore dell’Udc. Lei sembrava morto ed è risorto. Sette anni in carcere per favoreggiamento aggravato a mafiosi e rivelazione di segreto istruttorio. Poi il ritorno alla vita: Cincinnato nella sua tenuta di 70 ettari, nel bel mezzo dell’isola, dove produce vino, olio e frutta. Ora arriva l’agognata nemesi politica.
Chiamiamola rinascita.
In effetti, ha resuscitato la Dc: perfino nome e slogan sono identici al passato.
L’unica differenza è che manca lo scudo crociato. Ce l’ha Udc: meglio evitare un contenzioso. Al suo posto, abbiamo però recuperato la bandiera di San Giorgio: primo simbolo, nel 1929, del partito popolare di Don Luigi Sturzo.
Diabolico.
A Palermo, per la presentazione del partito, lo scorso 19 maggio, c’erano duemila persone…
Sui manifesti elettorali campeggia la scritta: «Vota e fai votare la Democrazia cristiana».
Risale ai primi anni Cinquanta, ma resta intramontabile.
Risorge il «cuffarismo», uso a potere e prebende?
Morto e sepolto. Abbiamo sostituito il cuffarismo con il cuffaresimo.
Irreprensibile movimento culturale a lei ispirato?
Di quei vecchi tempi, improntati su scambi e clientele, non è rimasto nulla. Ho abbandonato un certo tipo di politica. Faccio ammenda del passato, per costruire il futuro all’insegna della passione e del rigore morale. Per questo ho scelto solo persone nuove: senza nessuna esperienza amministrativa.
Come i Cinque stelle.
Nemmeno per sogno! Hanno studiato un anno e mezzo alla nostra scuola di formazione, che si chiama Paideia, ascoltando relatori del calibro di Marco Follini, Paola Binetti o Rocco Buttiglione.
Sarà pure cominciata una nuova e morigeratissima era, ma lei s’è affrettato a designare un’assessora a Palermo, in caso di vittoria alle imminenti elezioni amministrative del 12 giugno.
Smentisco categoricamente. La Dc non chiede niente. Cerca consensi per le idee, non per le poltrone. Antonella Tirrito, una ragazza da sempre impegnata nel mondo cattolico, è stata designata dal candidato di centrodestra.
Ovvero, Roberto Lagalla. «Un mio allievo» l’ha definito.
Un mio amico, più che altro. Da presidente della Regione, nel 2006 l’avevo scelto come assessore alla Sanità.
L’aspirante sindaco ha disertato la commemorazione per il trentennale della morte di Giovanni Falcone. Prova decisiva, sostengono i detrattori: è un marionetta nelle mani di Cuffaro.
La sinistra aveva organizzato l’imboscata, con facinorosi anonimi. E lui credo che abbia preferito evitare polemiche. Il giorno dopo però, senza telecamere al seguito, è andato a Capaci, per rendere omaggio a questi eroi.
In quali Comuni siciliani si presenta la novella Democrazia cristiana?
Ovunque.
Quanto prenderà?
A Palermo tra il 7 e l’8 per cento.
E a ottobre ci saranno le Regionali.
Presenteremo liste in tutte le province. Dopo, forti del risultato ottenuto, risaliremo la Penisola in vista delle Politiche del 2023.
Al grido di: «La Dc è tornata. Torna anche tu».
Questo slogan, invece, l’ho inventato io. Comunque, torna in vita per la terza volta, sempre partendo dalla Sicilia. La prima fu con Sturzo, a Caltagirone. Poi, nel 1943, con Giuseppe Alessi e Salvatore Aldisio: a Caltanissetta. La terza, grazie a questi giovani appassionati e volenterosi: a Palermo.
Manca un leader nazionale. Il suo preferito rimane Matteo Renzi?
Ci sono pure Maurizio Lupi, Mara Carfagna, Mariastella Gelmini e Antonio Tajani. L’importante è far nascere un centro con i moderati: la Dc, l’Udc, Noi con l’Italia, Italia viva e Forza Italia. In più, spero che si aggreghi Prima l’Italia…
Il movimento salviniano che, nell’isola, sostituisce la Lega?
È già pieno di ex democristiani. Magari si presenterà anche alle politiche.
Il centrodestra, intanto, rischia l’implosione sulla ricandidatura di Nello Musumeci: il governatore siciliano, per adesso, è appoggiato solo da Fratelli d’Italia.
Bisogna trovare il modo per tenere insieme la coalizione, come abbiamo fatto a Palermo.
Riformuli meno democristianamente, per favore.
Proporrò una donna.
La stagione di Musumeci succede a quella dell’antimafia al potere: ormai sono caduti tutti gli autoproclamati campioni, da Rosario Crocetta ad Antonello Montante.
S’è scoperto che non avevano nessun titolo per farmi la morale. Anzi, alcuni di loro hanno peccato più di me.
In compenso sono tornati a dettar legge Cuffaro e Marcello Dell’Utri, già condannato per concorso esterno.
Dell’Utri, mischino, non ha fatto nulla. Ha detto solo l’ovvio: che Lagalla era il candidato migliore. Farlo passare per uno che condiziona la politica palermitana è fuori da ogni logica. Cosa diversa è per chi, come me, ha presentato una lista che contribuirà all’elezione del prossimo sindaco.
È tornato sulla scena pure un altro ex governatore, Raffaele Lombardo, assolto dall’accusa di legami con la mafia…
Se due vecchi presidenti hanno ancora tanti consensi e legami forti con gli elettori, vuol dire che nessuno è stato in grado di sostituirli.
L’ultimo apostolo dell’antimafia era Leoluca Orlando, sindaco di Palermo in scadenza. Ha definito «inquietante» il suo ruolo nella scelta di Lagalla.
Di inquietante c’è solo che Orlando abbia ancora il coraggio di parlare. La città è un immondezzaio a cielo aperto, 1.300 bare sono accatastate al cimitero dei Rotoli in attesa di degna sepoltura e lui occupa gli ultimi giorni del suo mandato a pensare se sia o meno opportuno il mio rientro. È patetico.
Panorama, ad aprile 2011, fu l’unico giornale a intervistarla mentre scontava la pena a Rebibbia. Lei giurò: «Quest’esperienza pone fine alla mia carriera politica».
Il mio tempo da protagonista nelle istituzioni è finito. Sono interdetto. Non potrò mai più candidarmi. E anche se potessi, non lo farei. Però, visto che la gente me lo chiede, porto un contributo di idee a un dibattito che brilla per sterilità.
Diceva, ancora: «Sette anni di galera sono tanti. E io sono realista. Ricevo migliaia di lettere e le visite degli ex colleghi. Ma non vivo nell’iperuranio. Oggi parlare di Totò Cuffaro interessa, ma fra qualche anno sarò solo un numero».
Invece, il vuoto che s’è creato fa rimpiangere pure un ex detenuto.
«Ho stima per i magistrati» aggiungeva. «Mia figlia, del resto, vuole fare il pm. Conosce gli atti meglio dei miei avvocati. Ed è convinta che io non abbia mai favorito la mafia. Ne sono orgoglioso».
Lo ribadisco: nutro un’ostinata fiducia nella giustizia.
E sua figlia ha appena superato lo scritto nell’ultimo concorso per entrare in magistratura.
Pensare che possa diventare una paladina della legalità mi riempie il cuore. È la sconfitta della mia sconfitta.
Alessandro Manzoni scriveva: «Il Signore non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande».
Una bellissima frase dei Promessi sposi, a cui vorrei ispirarmi. Ho passato sette anni in carcere, pensando alla redenzione. La vita ha valore solo se si vive per qualcuno o qualcosa.
Sovviene un altro vecchio slogan: «Fai vincere le cose che contano. Vota Democrazia cristiana».
Indimenticabile. Riesumeremo anche quello.
