Rame, zinco, nichel, acciaio, petrolio pervadono la nostra vita quotidiani. I prezzi delle materie prime sono saliti anche del 50%. La Commissione ha imposto quote di salvaguardia all’importazione di ventisei categorie di prodotti siderurgici. I dazi potevano andare bene in uno scenario in cui Usa e Cina consumavano meno ed esportavano una gran quantità di materiale in Europa, ma oggi sono deleteri a causa del restringimento dell’offerta. Eppure Bruxelles va verso la conferma delle misure protezionistiche, nonostante il cambio di scenario. Un problema soprattutto per l’Italia.
Rame, zinco, nichel, acciaio, petrolio. Non c’è aspetto della vita contemporanea che non sia toccato da questi minerali. Ogni oggetto quotidiano e gli oggetti che servono per fabbricarlo dipendono dalle materie prime. E in un anno queste sono aumentate mediamente di oltre il 50%. La politica europea non comprende il potenziale impatto economico di questa impennata oppure finge di non vedere. Perché i prezzi volano, innanzitutto. Nella spiegazione entrano in gioco la geopolitica e la strategia. La Cina e gli Stati Uniti hanno varato una politica economica realmente espansiva per far fronte alla crisi deflazionistica sviluppatisi a causa delle restrizioni imposte per il contenimento della pandemia. Una manovra che ha spinto il Pil del Celeste Impero a chiudere il 2020 in rialzo del 2,3% in controtendenza con il resto del mondo ed in particolare con l’Europa, la cui flessione del Pil è stata del 7,2%, secondo le stime del Fmi.
Il rimbalzo americano è in arrivo e sarà lungo. I cinesi e gli americani, che detengono nella propria area territoriale e di influenza gran parte dei siti di estrazione delle materie prime le utilizzano per se stessi. La spesa è introversa, non si esporta. Come sottolinea un report della T-Commodity, società leader nella consulenza strategica sugli andamenti delle materie prime, nel 2020 la domanda cinese ha privato i mercati internazionali di oltre 4 milioni di tonnellate di materie prime producendo un aumento delle importazioni del 38% e provocando un deficit di mercato di oltre 600 mila tonnellate. Infrastrutture, semiconduttori, macchinari industriali devono essere prodotti al ritmo forsennato imposto dal politburo. Il nuovo approccio autarchico cinese fa salire i prezzi, gli americani seguono la china tracciata da Pechino, gli europei la subiscono. All’aumento della domanda interna corrispondono le restrizioni dell’offerta a causa della pandemia. A seguito dei lockdown in tutto il mondo c’è stato un marcato rallentamento delle attività di estrazione, raffinazione e raccolta di rottame e la produzione siderurgica è passata da 150 mln tonnellate nel 2019 a 132 milioni di tonnellate nel 2020. Inoltre, a dare la spinta ai prezzi delle materie prime è intervenuta anche la politica monetaria particolarmente aggressiva adottata dalla Federal reserve la cui azione di compressione dei tassi di interesse al fine di contenere i costi di indebitamento del Tesoro americano ha portato il bilancio a raggiungere 8 mila miliardi di dollari. Da ultimo, vi è l’aumento dei costi della logistica basti pensare che da novembre il costo della spedizione di un container di 40 piedi dall’Asia all’Europa è aumentato di oltre tre volte.
Nel vecchio continente, dove l’economia di trasformazione e la carenza di materie prime paga il prezzo più alto, la situazione è aggravata dalle scelte protezionistiche dell’Unione europea. La Commissione a partire dal 2018, ha imposto quote di salvaguardia all’importazione di ventisei categorie di prodotti siderurgici. I dazi potevano andare bene in uno scenario in cui Usa e Cina consumavano meno ed esportavano una gran quantità di materiale in Europa, ma oggi sono deleteri a causa del restringimento dell’offerta. Eppure la Commissione sembra andare verso la conferma delle misure protezionistiche, nonostante il cambio di scenario sui mercati. Al tempo stesso l’Unione europea continua ad incentivare le esportazioni del rottame, il materiale di recupero delle materie prime, aumentando ulteriormente la scarsità di materiali. Con rara miopia strategica, e forse sotto la pressione della potente lobby dei produttori e distributori dell’acciaio, Bruxelles fa esattamente il contrario di ciò che dovrebbe fare: invece di liberalizzare le importazioni mantiene dazi elevati sui prodotti siderurgici ed invece di restringere l’export lo incentiva. E andrebbe fatto almeno per questo periodo di difficoltà a reperire le forniture. Così invece i prezzi delle materie prime esplodono e la gran parte dell’industria manifatturiera ci rimette. Non è tutto poiché anche l’Europa spenderà di più nei prossimi anni tra Recovery Fund e patto di stabilità derogato. Ciò significa che la situazione potrebbe potenzialmente peggiorare: aumento della domanda, consumi elevati, scarsità di materiale. Ci sono le premesse per una bolla e affinché l’industria europea resti vittima della competizione tra Cina e Stati Uniti. I due giganti importeranno di più ed esporteranno di meno. Pechino per ridurre le emissioni, Washington per attuare l’enorme piano per le infrastrutture di Joe Biden. Così l’Europa affoga tra i due imperi, prigioniera degli interessi costituiti, della rigidità burocratica delle proprie istituzioni e della inconsapevolezza di una politica incapace oramai di pensare strategicamente.