La spesa pubblica sfonda il tetto dei mille miliardi di euro e la pressione fiscale tocca un record. Lo Stato intermedia oltre il 56 per cento del Pil e le entrate sono in crescita. In campagna elettorale si discute su come cambiare le imposte, ma lo spazio di manovra pare limitato. In concreto, però, si può partire dalle cartelle esattoriali scadute….
Lo Stato quest’anno spenderà oltre mille miliardi di euro, soglia già sfondata per 7 miliardi nel 2021. La macchina pubblica intermedia, stando al consuntivo 2021, mangia il 56,3 per cento del Pil, che è stato pari a 1.775,4 miliardi. Vuol dire che per fare investimenti, per vivere i cittadini, le imprese, hanno a disposizione poco più di 770 miliardi.
Ma al Fisco le entrate non bastano: ne incassa circa 840 di miliardi, e fa ogni anno 160 miliardi di euro di debiti in più. Nel 2021 il Governo Draghi – dati della Cgia di Mestre – ha aumentato la spesa pubblica di 56 miliardi (fanno oltre 154 milioni al giorno in più). Oltre 900 miliardi sono spesi, avvertono gli artigiani veneti, «per liquidare gli stipendi dei dipendenti del pubblico impiego, per consentire i consumi della macchina pubblica e per pagare le prestazioni sociali».
Quando il nuovo governo si troverà a scrivere la legge finanziaria avrà di fronte due anniversari. Sono passati quasi 40 anni da quando, il 14 ottobre del 1983, ai conservatori del Regno Unito Margaret Thatcher disse: «Uno dei grandi dibattiti del nostro tempo riguarda quanto del vostro denaro dovrebbe essere speso dallo Stato. Non esistono i soldi pubblici, esistono solo i soldi che i contribuenti danno al settore pubblico». Il secondo anniversario cade sempre in ottobre, ma fra due anni: cent’anni dalla morte di Maffeo Pantaleoni, uno dei più grandi economisti che l’Italia abbia avuto. Emise questa sentenza: «Qualunque imbecille può inventare e imporre tasse. L’abilità consiste nel ridurre le spese, dando nondimeno servizi efficienti, corrispondenti all’importo delle tasse».
L’ottobre in arrivo si annuncia difficilissimo per l’inflazione (quella alimentare stimata al 14 per cento, quella generale oltre l’8: su 1.900 miliardi che gli italiani custodiscono in banca già 120 sono evaporati, al contrario i mutui sono triplicati al 2,8 per cento) per i conti pubblici, per la caduta possibile del Pil visto che pure l’export – dati di giugno: meno 2,2 miliardi di saldo – è in negativo, per la corsa dei tassi che rende più oneroso il servizio del debito, per la crisi energetica che ci costringerà a stare al freddo e razionare gas.
La campagna elettorale molto si è accesa sul tema fiscale; la proposta di flat tax diversamente modulata dalla Lega e da Forza Italia ha infiammato il fronte progressista che si è schierato contro, agitando lo spettro di incostituzionalità (non è così perché l’articolo 53 della Costituzione esplicitamente si riferisce al sistema tributario nel suo complesso) e sulla sua sostanziale iniquità. A sua volta il segretario del Pd Enrico Letta è tornato sulla sua proposta di una tassa di successione sui patrimoni milionari, per dare ai neo-diciottenni una dote di 10 mila euro. Per quanto vaga, sarebbe una nuova patrimoniale.
Si ragiona sul taglio del cuneo fiscale (lo hanno fatto del 2 per cento col Decreto aiuti: vale meno di 20 euro al mese) e di tassare gli extraprofitti delle società energetiche: doveva generare 10,5 miliardi, ha portato nelle casse statali 900 milioni. La norma è scritta male e si presta a mille interpretazioni. Nell’Ungheria di Viktor Orbán, la tassa sugli extraprofitti è generale e così anche Unicredit e San Paolo dovranno sborsare una quarantina di milioni. Ma il punto è se ci sia la capienza nei conti pubblici per aggiustamenti di questo tipo o non si debba invece pensare a una rivoluzione fiscale a beneficio di tutti per quanto riguarda la trasparenza e la facilità di rapporto con l’Agenzia delle entrate, ma non a favore di tutti per quel che riguarda la diminuzione del prelievo complessivo. Perché i contribuenti italiani sono afflitti da due patologie del sistema: la complicazione delle leggi tributarie e la quantità di scadenze e adempimenti (in agosto, nel mese delle ferie, si contano 205 compiti fiscali da svolgere); la gravosità dell’imposizione.
Le spiegazioni per la compilazione della denuncia dei redditi in Italia sono contenute in 300 pagine e non c’è modo di far fronte a questi impegni se non pagando un commercialista o rivolgendosi ai Caf. La strada dell’autodichiarazione precompilata dall’Agenzia delle Entrate nasconde un tranello: se c’è un errore si paga il ravvedimento operoso. Mario Draghi ha affermato che non avrebbe alzato le tasse, ma ha raggiunto il record di pressione fiscale al 43,5 per cento. Il presidente del Consiglio si è intestato di aver dato aiuti senza scostamenti di bilancio ma si è scordato di dire che mentre il Pil fatica ad arrivare a +3, il fisco nei primi sei mesi ha incassato 188 miliardi e 674 milioni di euro con un incremento del 10, 9 per cento pari a 18,5 miliardi. Per farci cosa? Lo apprendiamo dalla Cgia di Mestre, ma la Confartigianato ha aggiunto: siamo al 24° posto per efficienza di servizi in Europa e al 26° per la fiducia nella pubblica amministrazione che costringe imprese e professionisti a spendere 238 ore l’anno (pari a 10 giorni) per gli adempimenti tributari.
Se questo è il quadro, difficile immaginare che si possa risolvere tutto. Sul cuneo fiscale i margini di manovra sono strettissimi. Alberto Brambilla e Paolo Novati, esperti dell’istituto indipendente Itinerari Previdenziali hanno fatto uno studio sulle dichiarazioni dei redditi. Se ne ricava che quasi metà degli italiani non paga tasse; chi dispone di redditi da 29 mila euro è meno del 22 per cento dei contribuenti ma paga più del 71 per cento dell’Irpef. L’unico versante possibile è la decontribuzione: ma già oggi il sistema pensionistico ha un deficit di 160 miliardi.
Poiché tutti gli aiuti – la pioggia di bonus è irrefrenabile – si fermano a un Isee al di sotto dei 35 mila euro, chi percepisce 35.001 euro è più povero di chi guadagna 29 mila euro. Perciò un tema che deve essere affrontato è quello della cosiddetta «tax expenditure»: la massa di deduzioni, detrazioni, bonus che pesa sul bilancio dello Stato per 63 miliardi. La tassa sugli extraprofitti energetici ha forti profili di incostituzionalità, dovrebbe essere formulata come prelievo speciale sulle società (si veda Viktor Orbán) ma sarebbe un’addizionale che di solito fa scappare i capitali.
C’è poi il tema lanciato da Enrico Letta sulle tasse di successione. In Italia esiste già una patrimoniale immobiliare che sottrae circa 25 miliardi all’anno e peraltro contiene, con la cedolare secca sugli affitti, una flat tax. Andare oltre appare complicato. Sempre in tema di successioni c’è una ulteriore imposta: al di sopra del milione di euro moglie e figli pagano il 4 per cento, altri parenti pagano, fosse anche un solo euro l’asse ereditario, dal 6 all’8 per cento.
C’è infine l’enorme capitolo delle imposte indirette. L’Iva vale 160 miliardi per l’erario, pensare che si tagli è demagogia anche perché l’Europa campa su questa imposta. Le proposte di ridurla sui generi di più largo consumo per raffreddare l’inflazione sono poca cosa. Lo Stato ha diminuito l’Iva sul gas dal 10 al 5 per cento, ma poiché il gas costa 8 volte di più, l’erario incassa quattro volte tanto.
Ernesto Maria Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate, ha suggerito a Draghi la battuta nel suo discorso del 20 luglio al Senato sui mille miliardi di evasione nascosti nelle cartelle. Strano che il premier ci sia cascato. Quei mille miliardi non ci sono. La dimostrazione l’ha data l’ultimo saldo e stralcio. In sei anni, dei 26,3 miliardi previsti ne sono stati incassati appena 6,3. La ragione è che sono crediti inesigibili. Draghi, che è «proprietario» del Monte dei Paschi di Siena, con i soldi degli italiani ha autorizzato la vendita degli Npl (i crediti non più esigibili) ricavandoci al massimo il 15 per cento. Ma non lo fa con le cartelle esattoriali scadute e talvolta non dovute da anni. Sono gli Npl dello Stato. Ammetterlo toglierebbe molti alibi a chi grida all’evasione.
Raffaello Lupi, eclettico tributarista, ordinario di Scienza delle Finanze a Roma Tor Vergata, c’illumina: «In Italia le leggi tributarie sono troppe e fatte male. Quanto all’Agenzia delle Entrate non fa proprio nulla, lo sanno pure loro, ma annunciano i proclami sull’evasione. Sono parole al vento».