Dei sette miliardi di euro inviati (in 30 anni) dall’Ue in Palestina, quanti sono finiti ad Hamas? Oggi, sulla trasparenza di questi aiuti l’Europa vuole avviare «una profonda revisione». Purtroppo è tardi.
Da quasi trent’anni, un fiume di denaro scorre. Da Bruxelles verso la Palestina. Quantificarlo è impresa improba. Sette miliardi, almeno. Calcolo per difetto. Ancora più ostico è il quesito: come sono stati usati i soldi inviati dall’Unione europea? Ufficialmente, sono destinati ad alleviare le sofferenze della popolazione. Ma quanti di quei fondi, stanziati per scopi umanitari, hanno finito per foraggiare Hamas? Impossibile saperlo, ovviamente. Di certo, l’Ue è il principale finanziatore indiretto del gruppo terroristico. Un effetto collaterale. Fino a qualche settimana fa, sopportabile. E adesso sempre più imbarazzante.
Dopo la pioggia di missili del 7 ottobre scorso, lanciati dalla Striscia di Gaza su Israele, la Commissione annuncia però di voler sospendere i pagamenti. Salvo poi ricredersi, negando ogni contributo al movimento islamico. «Non tutti i palestinesi sono terroristi» dice Josep Borrell, Alto commissario dell’Unione per la politica estera. Ovvio: ma Hamas controlla Gaza. Com’è possibile che quei soldi siano sfuggiti al gruppo fondamentalista? Impossibile. I miliziani controllano militarmente sia il territorio che i sussidi alla popolazione. Bruxelles, alla fine, annuncia così «una profonda revisione delle spese e dei progetti». Pilatesca come sempre. Eppure, il dubbio è ormai certezza: anche noi, seppur di traverso, stiamo finanziando gli spietati. L’Europa, a dispetto degli ultimi e stentorei dinieghi, lo sa da sempre. Comincia a spedire ai palestinesi sostanziosi contributi dal 1994, un anno dopo gli accordi di Oslo tra Israele e Olp, che oggi continua a governare la Cisgiordania. Il primo consuntivo ufficiale arriva diciannove anni dopo. Ed è tanto dettagliato quanto sconfortante. Un rapporto della Corte dei conti europea, datato ottobre 2013. La relazione speciale è intitolata: «Il sostegno economico diretto dell’Unione europea all’Autorità palestinese». Conclusione: parte dei danari inviati viene «sprecata, sperperata o persa nella corruzione». E non si tratta, già allora, di bruscolini: dal 1994 al 2012, l’Ue ha finanziato con 5,6 miliardi di euro il popolo palestinese per favorire «la coesistenza di due Stati e porre fine al conflitto». In appena quattro anni, solo un miliardo era stato destinato a salari, pensioni, servizi e conti pubblici. Con una gestione, però, approssimativa e inefficiente: con modesti risparmi e scansando le riforme promesse.
Insomma: dieci anni fa la Corte dei conti del Lussemburgo denuncia la scarsa trasparenza dei fondi europei. Soprattutto quelli finiti a Gaza, controllata da Hamas dal 2006. Dove «un numero considerevole di pubblici dipendenti veniva pagato senza recarsi al lavoro e senza fornire alcun servizio». Anche quelli che non avevano impiego «per ragioni politiche». Tanto che la Corte suggerisce di sospendere il pagamento di stipendi e pensioni «per trasferirlo alla Cisgiordania». Bruxelles quindi paga i dipendenti pubblici palestinesi, compresi quelli inevitabilmente scelti da Hamas. Con il movimento islamico, scrive il report, «l’Ue non ha avuto alcun contatto politico», mentre «ha cercato di mantenere la propria assistenza alla popolazione locale». Ma è pensabile che i terroristi non abbiano intercettato quei soldi? Anche perché il programma, rinominato «Pegase», prevede molti progetti a Gaza. Che difatti gli esperti contabili decidono di visitare: missioni e colloqui, a caccia di irregolarità e sperperi. La situazione politica però, scrivono, rende «difficile svolgere verifiche obiettive».
E oltre ai sussidi, Bruxelles paga pure i «servizi pubblici essenziali». Come il combustibile per la centrale elettrica. O i fondi alle imprese private. «Tuttavia» dettaglia l’audit degli esperti lussemburghesi «la Commissione non ha predisposto una valutazione dei rischi specifici di corruzione a Gaza». Non verificando nemmeno che i fondi «siano usati per sostenere la fornitura di servizi pubblici». Vent’anni di lauti finanziamenti. Seguiti da un altro decennio di aiuti. Fino a oggi. Lo scorso dicembre, durante un’audizione della Commissione per gli affari esteri, viene quantificato il totale: l’Ue e gli Stati membri «erogano annualmente alla Palestina 1,2 miliardi di euro in aiuti pubblici allo sviluppo». E la più munifica, ovviamente, è l’Unione. Che si definisce, del resto, «il più grande fornitore di assistenza esterna ai palestinesi». Solo per la «cooperazione bilaterale», nel triennio che va dal 2021 al 2024, ha stanziato 1,17 miliardi di euro. Al momento, sono stati spesi 681 milioni, distribuiti tra i cinque obiettivi del piano: dalla democrazia allo sviluppo economico sostenibile. Ma i soldi dovrebbero servire pure per continuare a pagare salari pubblici, assistenza sociale, urgenze sanitarie.
Nel 2022, per esempio, 145 milioni sono stati impiegati nel «sostegno finanziario diretto»: 55 in stipendi e pensioni, 13 agli ospedali di Gerusalemme Est, 50 per le famiglie vulnerabili e 20 spesi nell’acquisto di vaccini. Poi c’è l’assistenza ai rifugiati: 97 milioni solo l’anno scorso. E i programmi di sviluppo, per «la creazione di posti di lavoro e l’accesso all’acqua e all’energia». Ma ci sono ulteriori aiuti, che passano da altri programmi europei, focalizzati su diverse urgenze: diritti umani, società civile, assistenza umanitaria. E accordi tra facoltà europee e palestinesi. I fondi stanziati per l’Università islamica di Gaza, per esempio. Voluta dal fondatore di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin, è stata accusata da Israele di mettere a disposizione «laboratori per i razzi» e ospitare «riunioni segrete dei leader militari». L’ateneo distribuisce agli studenti perfino dvd dedicati ai «martiri» caduti negli attacchi a Israele. Ebbene: oltre a finanziare Erasmus+, il progetto di scambio tra studenti, dal 2014 al 2022 l’Ue ha assegnato all’ateneo palestinese 1,7 milioni di euro per i programmi di studio. Uno dei professori dell’Università di Gaza era Abd al-Aziz al-Rantissi, il cofondatore di Hamas. Tra gli illustri ex studenti c’è invece Isma’il Haniyeh: il capo politico del movimento, che dirige la guerra dal Qatar. E Mohammed Deif: il misterioso comandante delle Brigate Ezzedin al-Qassam, il braccio armato di Hamas, considerato la mente dell’ultimo attacco a Israele.
I governanti europei assicurano: non abbiamo mai sovvenzionato i terroristi. Ma è un inganno lessicale. Dietro l’inutile forma, si nasconde l’orribile sostanza: Bruxelles resta un finanziatore ignaro, ma solo a parole. Gli spietati sono riusciti perfino a trasformare i tubi degli acquedotti in rudimentali razzi da lanciare contro il nemico. Eppure, a marzo 2018, la Commissione europea annunciava la più grande infrastruttura mai realizzata nell’area: «Questo progetto sopperirà al fabbisogno più urgente di acqua potabile a Gaza e allo stesso tempo contribuirà alla crescita economica, alla sostenibilità ambientale e alla stabilità». L’Ue ha investito nel nobile scopo quasi 100 milioni di euro. Qualche giorno dopo il raid del 7 ottobre scorso, diventa però virale un vecchio video. Si vedono i militanti di Hamas costruire missili con quei tubi. Ovvero: mentre Bruxelles si compiaceva di aver contribuito a costruire più di 30 miglia di condutture idriche per due milioni di palestinesi, i miliziani si vantavano di poterle trasformare in letali razzi.
D’altronde, Hamas ha usato pure gran parte del cemento donato dalla comunità internazionale per i suoi scopi bellici. Doveva servire per costruire ospedali e scuole. È stato impiegato per costruire tunnel. Ci passano armi, esplosivi, soldati. E anche gli ultimi civili israeliani rapiti. Con un comunicato ufficiale, la Commissione europea annuncia ora una urgente e profonda revisione. «È importante rivedere attentamente la nostra assistenza economica alla Palestina» proclama la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Nessun aiuto al Movimento islamico di resistenza, dunque. Impegno simbolico. Ma soprattutto tardivo. Hamas continua ad arraffare quel che arriva a Gaza. Da 30 anni, il fiume scorre. Senza nessun argine per i terroristi predoni.
