Da sconosciuto avvocato e professore, all’ebbrezza del potere, all’uscita di scena di questi giorni. Nel mezzo, giravolte e camaleontismi, personalizzazioni e fallimenti. La parabola di Giuseppe Conte, due anni e mezzo vissuti velleitariamente.
«Sono il più amato dagli italiani». La frase ripetuta fino all’ultimo istante sembrava quella del celebre spot di cucine. Parlando di sé in terza persona, con l’ego ormai fluttuante nelle sfere celesti, l’ex premier aggiungeva: «Impossibile fare a meno di Giuseppe Conte». Rocco Casalino, al suo fianco, annuiva: «Presidente, sono tutti con te». Ma l’involontario tremore del suo labbro superiore, innaturalmente turgido, non faceva presagire nulla di buono. Eppure il portavoce più improbabile e sulfureo di sempre seguitava a imbeccare i colleghi con inverosimili retroscena: nuove sfavillanti maggioranze, peones diventati chierichetti, futuro ancora fulgido.
Il borsino della crisi, sui giornali che contano, vedeva quotidianamente impennarsi le azioni del Conte ter. Sembrava davvero fatta: prima un governo di centro destra, poi di centro sinistra, infine di giocolieri. L’ultimo, inarrivabile, camaleontismo. Ma è bastato distrarsi un attimo per assistere al rocambolesco rovesciamento di fronte: Mario Draghi al Quirinale, convocato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. E il giurista pugliese, imbambolato davanti alla tv, a guardare i titoli di coda, con una domanda che gli martellava le tempie: «Dove ho sbagliato?». La lista sarebbe sterminata. Per brevità, basterebbe ricordare il passato più recente: l’esasperata personalizzazione, il raffazzonato Recovery plan, la difesa a oltranza dell’assistenzialismo grillino. E, ovviamente, aver sottovalutato un incallito giocatore d’azzardo come Matteo Renzi, che aveva poco da perdere e tutto da guadagnare.
«Sono il più amato dagli italiani» si beava Conte. In virtù dell’incrollabile certezza, titillata da benevolenti sondaggi di gradimento, ha favorito la più balorda caccia al transfugo mai vista. Voleva «volare alto», ma si è ritrovato al comando della «Mastella airlines», con la classe turistica riempita da un gruppetto di gitanti parlamentari. «Saremo il partito di Conte» gongolava, a nome della scombinata comitiva, il senatore italo-argentino del Maie, Ricardo Merlo. «Ofelè fa el to mesté!» dicono però i lombardi. La caccia ai «responsabili» dell’acerbo Giuseppi non poteva certo eguagliare quella dell’inossidabile Silvio Berlusconi. Una cosa è venir approcciati dal soffice Clemente, sindaco di Benevento in trasferta, ben altra è una trattativa imbastita dal furbo Denis Verdini, ora ai domiciliari, come d’uso ai tempi del Cavaliere.
Peccati di gioventù. Che ne sapeva l’avvocato pugliese di transfughi e ribaltoni? Viene reclutato tre anni or sono all’università di Firenze, dov’è ordinario di Diritto privato, da un rabdomante di talenti quale Alfonso Bonafede, suo devoto studente in passato e guardasigilli in futuro. Conte diventa quindi l’ipotetico ministro della Pubblica amministrazione nel fantagoverno grillino. A marzo del 2018 i Cinque stelle stravincono le elezioni. Già, ma chi se li marita? Dopo due mesi di infruttuosi tentativi, arriva l’accordo con la Lega. Manca però il premier. A quel punto, qualcuno si ricorda del professore dai modi cortesi e la pochette nel taschino.
Maggio 2018. Lui si gode una giornata al mare con il figlio Niccolò, dieci anni. A Maurizio Belpietro, che riporta l’aneddoto nel libro Il trasformista, racconta il momento che gli ha cambiato la vita: «Mi telefonò Di Maio: “Giuseppe, ti chiederei la cortesia di venire a Milano”. Io ero in spiaggia. Gli domando perché. “Ti vorrei fare conoscere Salvini”». Casalino, rivela ancora il direttore di Panorama, aggiunge: «C’era stata una riunione. Il Movimento aveva scelto Conte. La Lega, invece, puntava sull’economista Giulio Sapelli. Quella fu una furbata. Eravamo consapevoli che lui era di un livello superiore. “Mettiamoli subito indirettamente a confronto” pensammo. “In modo da evidenziare la genialità di uno e la follia dell’altro”. Era un modo per mettere in imbarazzo la Lega». Insomma, anche all’epoca l’autostima non difettava: «Dicono che sono un avvocato sconosciuto, ma di cause ne ho fatte migliaia» assicurava del resto Conte.
Nonostante la pur comprensibile celebrazione, è proprio così. Un totale sconosciuto, per un irripetibile incidente della storia, viene eletto presidente del consiglio. Al prescelto, va detto, non tremano i polsi. Anzi, si convince di essere l’uomo giusto al momento giusto. L’unico capace di mettere insieme due partiti agli antipodi. Altro che colpo di fortuna, ruolo meritatissimo. Smette in un attimo la toga da civilista e si proclama «avvocato del popolo». E quando il leader della Lega, nell’estate 2019, lascia la maggioranza, l’allora premier non ci pensa due volte. Se ha fatto un governo con il diavolo, figurarsi con l’acquasanta. Lui è sempre stato di sinistra, d’altronde. Fuori la Lega, dentro il Pd: nascono i giallorossi.
Da destra a sinistra, senza scomporre quel ciuffo sbarazzino. Provate a mettervi adesso nei sartoriali panni del civilista pugliese. A nessuno era mai riuscita una giravolta tanto sensazionale. Le maggioranze cambiano. Lui invece resta. E quando si trova a fronteggiare il virus venuto da Wuhan, non riesce più a contenere l’onnipotenza. Certo, il momento è tragico. Ma lui dice tutto e il contrario di tutto. Vara i personalistici Dpcm notturni esautorando il parlamento. Nomina un grigio boiardo, Domenico Arcuri, commissario all’emergenza conferendogli sterminati poteri e libertà di fallimento. Spalleggia la grillina Lucia Azzolina, improbabile ministro all’Istruzione, nella chiusura a oltranza delle scuole. Inaugura una politica economica fatta di inservibili bonus. E tiene bene a distanza chiunque possa fargli anche un solo centimetro di ombra, vedi il manager Vittorio Colao, chiamato da Mattarella alla guida di una task force per la ripartenza. O lo stesso Draghi che, a settembre 2020, si permette di attaccare l’ordalia di sussidi: «Gli incentivi devono creare nuovi lavori, non salvare quelli vecchi». Vengono ignorate perfino le garbate critiche sui ritardi al Recovery plan sussurrate del commissario dell’Ue per gli Affari economici, il non certo ostile Paolo Gentiloni.
Rinchiuso nella sua torre eburnea, Giuseppi non li degna neppure di un’alzata di sopracciglio. Non ne ha bisogno. «Ho i ministri migliori del mondo» informa. Dunque, per la proprietà transitiva, anche lui è un premier formidabile. E gli italiani lo sanno fin troppo bene, tanto da continuare a tributargli un consenso che i suoi predecessori si sognavano. A partire da quel Matteo Renzi: vorrebbe fargli le scarpe, briga e rimesta, minaccia e bladisce. Un partitino del due per cento spera di far vacillare l’armata giallorossa: quella che lui, dal niente, ha creato. Si agiti pure, il leader di Italia Viva. A chi vuol far paura?
Conte si credeva davvero l’esemplare più furbo della Terza Repubblica. «Onorevole Craxi, com’è questo Andreotti?» domandò una volta Giampaolo Pansa al leader socialista. «È una volpe, ma prima o poi tutte le volpi finiscono in pellicceria» rispose Bettino. Un quarto di secolo dopo c’è un nuovo «Ghino di Tacco» uso a imboscate e scorrerie: Renzi. Conte lo sfida in parlamento. Un duello all’ultimo sangue mentre il sole scompare all’orizzonte. Schiena contro schiena, dieci passi in avanti, giravolta e pam! Ma quando Conte cerca la pistola nella fondina, sicuro di riuscire a sparare per primo, si accorge che gli hanno rubato la rivoltella sotto il naso.
All’ingenuo Giuseppi lo scaltro Matteo dovrebbe dedicare un monumento equestre, magari in piazza Colonna, laddove il premier uscente ha improvvisato una mesta conferenza stampa d’addio annunciando i suoi desiderata: guidare i Cinque stelle alla riscossa. Vedremo. Intanto, è riuscito in un’impresa sensazionale: riabilitare, seppur temporaneamente, colui che faceva faville solo per il maccheronico «Shock! Because…» e le lodi al regime saudita in veste di remuneratissimo conferenziere. Già, dopo ben trentadue mesi filati a Palazzo Chigi, Giuseppi è caduto in trappola. Manco fosse uno sconosciuto avvocato di Volturara Appula.