Prima di emettere il verdetto finale, conviene guardare all’esperienza dei 28 Paesi che l’hanno introdotta.
Come un incantatore di serpenti, la flat tax ha la sorprendente capacità di ipnotizzare gli elettori. Sotto sotto sappiamo che la tassa piatta difficilmente verrà davvero introdotta, ce la promettono da anni e poi non se ne fa niente. Eppure, solo il sentir parlare di un’aliquota secca che si applica a tutti i redditi, così semplice, chiara e soprattutto molto attraente per chi guadagna di più, fa sognare. E non a caso i partiti che amano offrire soluzioni semplici a problemi complessi, come Lega e Forza Italia, si sono affrettati a sbandierare la flat tax nei loro programmi elettorali, anche se poi Giorgia Meloni ha raffreddato l’entusiasmo con un bagno nella realtà, proponendo solo una flat tax sugli aumenti di reddito rispetto all’anno precedente.
Comunque la tassa piatta, seppur menomata, resta nel campo della partita elettorale. E continua ad alimentare un dibattito a livello internazionale tra chi la difende e chi invece la considera dannosa. Proviamo anche noi a farle un processo, utilizzando le evidenze e i risultati degli studi più autorevoli. L’avvocato della difesa potrebbe esordire ricordando che nel mondo ci sono ben 28 Paesi che hanno introdotto la flat tax sui redditi delle persone fisiche, dall’Armenia all’Uzbekistan, con aliquote che variano dal 10 al 25 per cento. L’accusa ribatterebbe che nell’elenco non compare alcun Paese avanzato e che le economie con cui l’Italia si confronta, come Francia o Germania, si guardano bene dall’inserire la tassa piatta nei loro sistemi fiscali: i tedeschi, al contrario, sono tradizionalmente favorevoli a una tassazione molto progressiva. E poi ci sono nazioni come la Russia e la Slovacchia che hanno dovuto rinunciare alla flat tax visti i cattivi risultati ottenuti.
«Ma come» si inalberebbe l’avvocato della difesa. «La Russia è considerata proprio un caso di successo perché ha ottenuto quello che si propone la tassa piatta: cioè stimolare la crescita economica compensando il minor gettito!» In effetti, se uno dei rischi della tassa piatta è di far diminuire le entrate fiscali, i suoi sostenitori sostengono che grazie all’«effetto Laffer», una diminuzione delle tasse fa aumentare il Pil e di conseguenza le imposte.
La curva di Laffer, creata dall’omonimo economista, mostra che portare le aliquote fiscali oltre un certo punto è controproducente per aumentare il gettito fiscale. Negli Stati Uniti, i conservatori hanno utilizzato la curva di Laffer per sostenere che una riduzione delle imposte può aumentare le entrate fiscali. In Russia la flat tax al 13 per cento fu introdotta nel 2001 e nel primo anno il gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche crebbe del 25,2 per cento, nel secondo anno del 24,6 e nel terzo del 15,2 per cento.
«Vero», ribatterebbe l’accusa rivolta ai giurati. «Ma il boom del gettito fiscale in quegli anni fu trainato dalla crescita economica dovuta alle vendite di gas, la flat tax non c’entra nulla. E infatti Mosca nel 2021 ha abbandonato il sistema con una sola aliquota e ne ha aggiunta un’altra del 15 per cento. Nell’elenco dei Paesi con la tassa piatta la Russia non c’è più». A questo punto l’accusa mostrerebbe un documento del Fondo monetario internazionale dal titolo «La flat tax: principi e prove» le cui conclusioni sono queste: «Tranne che in Russia, la seconda ondata di riforme della flat tax a bassa aliquota è stata associata a una riduzione del gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. Le risposte comportamentali possono aver attenuato la perdita di gettito, ma in nessun caso sembra essersi verificato un effetto Laffer: queste riforme non hanno innescato effetti abbastanza forti da ripagarsi da sole. In Russia, inoltre, ci sono poche prove che la forte performance del gettito dopo la riforma sia dovuta alla flat tax stessa: sembra piuttosto che abbia riflesso una più ampia ripresa macroeconomica».
Il difensore, poco convinto delle argomentazioni del collega, elencherebbe gli altri pregi della flat tax: è semplice, facileda capire e poco costosa da implementare; riduce l’evasione fiscale; è un incentivo a lavorare e guadagnare di più, con effetti positivi sulla produttività. A quel punto l’accusa tirerebbe fuori un altro documento, questa volta della Banca centrale europea, che recita: «La flat tax non garantisce automaticamente la semplificazione del fisco. Il fatto che i Paesi che hanno introdotto la flat tax abbiano al tempo stesso realizzato altre riforme strutturali rende molto difficile isolare l’impatto della flat tax a livello macroeconomico e sul livello del gettito fiscale». E poi, aggiungerebbe l’accusa, c’è il caso della Slovacchia che nel 2004 adottò l’aliquota fissa e che, dopo soli nove anni, decise di fare dietrofront: il motivo è che non si verificò l’aumento del gettito previsto, creando molti problemi alle casse dello Stato. Nel 2013 il nuovo governo di sinistra ritornò al sistema tradizionale, incrementando le entrate fiscali rispetto al Pil dal 34 per cento nel 2012 al 40 per cento nel 2015. La parola alla giuria: da che parte vi schierereste?