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C’è un altro Gheddafi in Libia

C’è un altro Gheddafi in Libia

Seif El Islam, il figlio del Colonnello, vuol far valere le sue chance alle elezioni presidenziali di dicembre. A dispetto della rivolta contro il regime del padre e, soprattutto, dei nemici interni, il Paese in cerca di leader potrebbe credergli.


«Se andremo veramente alle urne e le elezioni saranno “pulite”, Seif el Islam ha grandi possibilità di vincere con il 70 per cento dei suffragi come minimo. Solo il fatto che sia tornato a parlare dopo 10 anni ha provocato un aumento significativo delle registrazioni dei libici al voto».

Non ha dubbi con Panorama, Abdullah, nome di fantasia (per la sua sicurezza) di uno degli uomini del figlio di Gheddafi, che da Tripoli sta preparando il ritorno in campo dell’erede del colonnello. Il 24 dicembre, per il 70° anniversario dell’indipendenza libica, dovrebbero tenersi le elezioni, presidenziali e forse parlamentari, ma è ancora tutto in alto mare sia dal punto di vista normativo sia per le tensioni politiche e fra le milizie.

Il 7 agosto scorso la Commissione elettorale ha annunciato la registrazione di 2.757.543 elettori. E confermato l’impennata di partecipazione con 30 mila nuovi iscritti al giorno, dopo la «riemersione» di Seif. Per la prima volta dopo 10 anni dalla rivolta del 2011 contro il regime di suo padre, ha incontrato un giornalista del New York Times. «La spada dell’Islam», il significato del nome del delfino di Gheddafi, è riapparso in alcune fotografie, un po’ invecchiato, la barba color pepe, la testa fasciata da una bandana nera in un elegante caftano arabo. E seduto su una poltrona presidenziale. A 49 anni la postura e l’abbigliamento lo rendono più serio e saggio del giovane playboy dei tempi d’oro, quando portava due tigri in Austria come animali da compagnia e frequentava i salotti internazionali, compresi quelli di Marta Marzotto.

Seif el Islam era stato fatto prigioniero nel 2011dai ribelli di Zintan, roccaforte di una milizia 130 chilometri a sud ovest di Tripoli. «Gli uomini che erano le mie guardie ora sono miei amici» ha dichiarato Gheddafi junior in una villa, proprio a Zintan. «Hanno violentato il Paese, che è in ginocchio» sostiene. «Non ci sono soldi, nessuna sicurezza. Non c’è vita. Vai alla stazione di servizio: niente diesel. Esportiamo petrolio e gas in Italia e qui abbiamo i blackout. È più di un fallimento, è un fiasco». Il messaggio giusto per lanciare la sua candidatura alle elezioni, che rimane ancora sullo sfondo, con una frase a effetto: «Sono stato lontano dal popolo libico per 10 anni. Devo tornare lentamente, lentamente come uno spogliarello».

In realtà il figlio del colonnello non è soddisfatto della sua prima uscita sulla stampa internazionale. «Gli accordi erano domanda e risposta per poter esprimere pienamente il suo pensiero sottolineano i suoi uomini. «Ma è stato pubblicato un lungo pastone con qualche dichiarazione di Seif e altre censurate».

«Lui ha anche detto queste parole testuali» afferma Abdullah, che invita Panorama a riportarle. «”Mio padre e i miei fratelli sono stato uccisi, due sono in prigione, mia madre è malata in esilio. Ho pagato un prezzo molto alto, ma sono pronto a lasciare da parte qualsiasi vendetta pur di tornare a una Libia unita e prospera”».

Sui social spopolano le pagine Facebook come «Seif presidente» e la tv filo Gheddafi «Libia del domani» che trasmette dal Cairo con grande seguito. In un sondaggio, il 57 per cento dei libici ha detto di «confidare» nel secondogenito del colonnello che essendo stato a lungo «un fantasma» , non è rimasto coinvolto nella sanguinosa lotta fra fazioni o in ruberie e corruzione. «Sta tessendo una rete di alleanze soprattutto al Sud, ma anche a Tripoli e in Cirenaica. Ha contatti addirittura a Misurata»- rivela una fonte dell’intelligence occidentale in Libia. «I sondaggi sono riduttivi. Se riesce a candidarsi, e non ci sono brogli, vince con l’80 per cento dei voti».

Le voci che si espongono pubblicamente a favore del ritorno di Gheddafi sono poche e timide, come Rabia Abu Ras, membro della Camera dei rappresentanti della Libia, il parlamento di Tobruk, che ha definito positiva la sua riapparizione. I nemici sono tanti, a partire dall’uomo forte in declino della Cirenaica, Khalifa Haftar, ex generale di Gheddafi poi condannato a morte, in contumacia, come traditore. Una candidatura di Seif oscurerebbe l’auspicata discesa nell’arena elettorale di suo figlio Saddam.

La tv di Gheddafi ha rivelato che Haftar avrebbe complottato per assassinare Seif, già finito nel mirino di altri attentati. «C’è chi nel governo libico lo ammira e gli deve gratitudine, ma non si sbilancia ufficialmente sulla sua candidatura. I Fratelli musulmani faranno di tutto per impedirgli di presentarsi al voto, ma presto ci potrebbe essere un video di Seif che si appella alla Libia» anticipa il suo uomo a Tripoli. Il primo ministro ad interim, Abdulhamid Dabaiba, imprenditore milionario, è stato uno stretto collaboratore di Seif durante il regime del padre dal 2007. Al futuro leader libico venne affidato la Libyan Investment and Development Company per alcuni dei maggiori progetti infrastrutturali del Paese, in vista della successione al colonnello, poi travolta dalla rivolta armata.

Altri ex sono il responsabile dell’Economia Muhammad al Hawaji, che fu ministro di Gheddafi. Il ministro degli Interni, Khaled Mazen, era colonnello di polizia del regime. Un altro del vecchio corso è Ajdid Maatuq Jadid, ministro che si occupa dei migranti, rappresentante della tribù Warfalla, fedele al colonnello. «Per chi cerca candidati laici, non confessionali e con un forte seguito, Seif risponde a questi requisiti. Per i russi, è una carta da giocare» spiega Giampiero Massolo, presidente del centro studi Ispi di Milano. Il figlio di Gheddafi ha sempre mantenuto buoni contatti con Mosca attraverso i suoi uomini in esilio in Europa. «Lo vogliono anche gli Emirati, la Giordania, l’Egitto. E la crisi in Tunisia, che ha dimostrato il fallimento della Primavera araba, fa da volano» sostiene la fonte occidentale a Tripoli. Il grosso ostacolo alla candidatura potrebbe essere legale, ma lo staff di Seif è convinto che sia superabile. «Ricercato dalla Corte penale internazionale, come potrebbe candidarsi?» ha detto il presidente del parlamento di Tobruk, Aghila Saleh, stroncando i sogni dei gheddafiani. Seif el Islam è stato accusato, nella rivolta 2011, di presunti crimini di guerra, ma non risulta si sia sporcato le mani di sangue e la mossa della Corte era apparsa strumentale e politica.

«Non esiste una sentenza definitiva di colpevolezza e quindi può candidarsi» affermano i suoi fan. «A Tripoli lo avevano condannato a morte, ma poi è intervenuta l’amnistia. Ora è in corso un appello contro Seif, ma se finirà bene, ha la strada spianata». Nel 2019 sono stati arrestati a Tripoli due russi, che pianificavano operazioni di propaganda e influenza via social e non solo, per preparare la discesa in campo del figlio migliore di Gheddafi. Nei computer avevano un progetto in power point che prevedeva anche manifestazioni lampo a L’Aja, davanti alla Corte, con lo slogan «Al sicuro con Seif».

Per Massolo, ex direttore del Dis, che a Palazzo Chigi coordina le attività dei servizi segreti, «si rischia la nemesi storica. Dopo aver scalzato Gheddafi ritrovarci con l’erede sarebbe un paradosso. Non penso che ce la possa davvero fare e che ci sarà un ritorno al passato. Ma alla fine per una Libia del futuro, se mai ci sarà, tutti dovranno sedersi attorno a un tavolo». n

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