Roberto Cingolani, responsabile dell’adeguamento ecologico del Paese (con conseguenti risorse da gestire) fa molti annunci impegnativi. Spesso smentiti o seguiti da veloci marce indietro.
Chissà se lui se lo ricorda; quando aveva poco più di dieci anni a Carosello c’era una «réclame» con le Avventure di Cimabue per pubblicizzare un amaro. Non è «body shaming» ma il ministro della Transizione ecologica – dicastero inventato da Beppe Grillo, il che dice già molto, per consentire la nascita del governo di Mario Draghi – assomiglia tanto al povero fraticello che «fa una cosa e ne sbaglia due».
Del resto questo fisico prestato alla politica la lezione di Galileo Galilei l’ha mandata a memoria. La scienza, diceva il genio pisano, procede per prove ed errori. Anche il ministro Roberto Cingolani procede per errori, anzi per paradossi: gli va bene tutto e il contrario di tutto. Che poi abbia in mano la parte più consistente del Pnrr, ovvero 59,47 miliardi, e non si sia capito ancora bene dove vadano a finire, è questione trascurabile. Perché lui gode della totale fiducia di Draghi che è stato geniale nell’accontentare i 5 Stelle creando il dicastero dove ha messo un suo ministro. Tant’è che i pentastellati sponda Grillo-Conte, sostenuti dalla lobby eco-chic e dal radicalismo verde, sono ora tra i più accesi e subdoli oppositori di sua «Emergenza climatica».
Il premier ha prelevato l’ex professore all’Università del Salento, direttore non esecutivo del consiglio di amministrazione della Ferrari, direttore dell’Istituto italiano di tecnologia, da Leonardo dove si era accasato come responsabile dell’innovazione tecnologica. Il professor Cingolani fin dagli esordi è sembrato un po’ «incartato», ma il massimo lo ha espresso in questi giorni. Pungolato dal leghista e ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, ha tessuto un’alleanza con i Paesi «forti» dell’Europa – Portogallo, Romania, Bulgaria e Slovacchia – per chiedere che lo stop ai motori endotermici fosse spostato almeno al 2040. Di parere opposto il collega del Lavoro Andrea Orlando: essendo del Pd è abituato a farsi bello con i voti degli altri, e quindi vuole emissioni zero.
Cingolani comunque ha detto: la linea è spostare tutto al 2040, poi si vedrà. Il Consiglio dei ministri europei dell’Ambiente ha così deliberato: «Fine della vendita di auto e furgoni a benzina e diesel dal 2035». Inutile dire che il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans, l’Olandese ingombrante, esulta: «Il futuro sarà elettrico, le ibride non vanno bene».
Cingolani invece «non pervenuto», salvo che per una deroga di 5 anni per i produttori di nicchia e di supercar, come la Ferrari che il ministro conosce bene. Più o meno è andata così anche con le bollette a rate. Ha cominciato a dare l’allarme nel novembre scorso: c’è il rischio di rincari del 40 per cento. E ha indovinato. Però oltre a dire che il nostro mix energetico ci rende debolissimi, il ministro aveva garantito i soldi per fare fronte al caro bollette e pagamenti a rate. Lo hanno scritto in tre diversi Decreti energia, nessuno è riuscito a beneficiarne perché l’Arera – l’agenzia che si occupa di queste tematiche – a maggio doveva dire come, ma non se n’è saputo più niente.
Sull’energia ha promesso molti fondi: a conti fatti il governo ha impegnato 2,4 miliardi con il Sostegni ter, 103 milioni con il Decreto energia, 950 milioni con il secondo Decreto energia tra sconti e taglio, altri 6 miliardi col Secondo decreto bollette. In tutto, più di 9 miliardi. Solo le imprese, però hanno avuto maggiori oneri per 50 miliardi. A dicembre Cingolani prometteva: «Riapriamo i nostri pozzi di gas». Siamo in piena estate e nessuna trivella italiana perfora, in compenso la Croazia sta succhiando tutto il gas dell’Adriatico. L’esecutivo si fa bello dello sconto su accise dei carburanti e taglio dell’Iva, senza raccontare però che siamo dopo la Germania il Paese con la tassazione più alta sull’energia: 41 per cento. Un prelievo sopportabile fin quando Vladimir Putin ci concedeva il gas a 10 euro, oggi è devastante.
In attesa che Draghi arrivi al «price cap» sul gas (blocco del prezzo impossibile: Olanda e Norvegia non rinunceranno mai ai profitti della speculazione, sui 190 miliardi quest’anno, e la Germania non si farà tagliare altre forniture dalla Russia col rischio di una recessione senza scampo) paghiamo e soffriamo. In sei mesi di rincari lo Stato ha incassato 25 miliardi in più. Ha fatto la tassazione dell’extragettito delle imprese energetiche facendo però arrabbiare le piccole aziende del settore.
Peraltro Cingolani e Daniele Franco, responsabile dell’Economia, hanno usato l’extragettito per convincere gli importatori di gas attraverso le garanzie della Sace, la società pubblica che copre i rischi di differenza di costi, a fare stoccaggi in vista dell’inverno. Secondo il ministro siamo a posto perché «con gli stoccaggi pieni al momento al 55 per cento, l’obiettivo di raggiungere il 90 entro l’anno, condizione per passare in tranquillità l’inverno, resta raggiungibile». Tanto per stare sul sicuro il ministro riavvia «appena un po’» anche le centrali a carbone. Il 20 giugno scorso ha fatto sapere: «Non riapriamo nulla, si usano quelle che ci sono per favorire gli stoccaggi di gas. Se siamo in emergenza le manderemo a pieno regime per sei mesi, forse un anno, magari due». Perché c’è da salvaguardare la transizione ecologica.
La stessa invocata dal sindaco di Piombino Francesco Ferrari che non vuole nel suo porto la nave con il rigassificatore, la massima speranza del governo Draghi. Perché di questa risorsa disponibile ne abbiamo trovata pochina. Ne arrivano per ora 3 miliardi di metri cubi dall’Algeria (grazie alla famiglia di Enrico Mattei, lì considerato un eroe nazionale), l’Azerbaigian dovrebbe portare la sua fornitura a 20 miliardi, ma lo si saprà solo a fine luglio, un po’ forse arriva via nave dagli Stati Uniti, ma a un prezzo astronomico. Il gas di Putin, prontissimo a chiudere il rubinetto, ci serve ancora. E tanto.
Il grande piano strategico si ferma alle buone intenzioni perché il tour africano di Luigi Di Maio tra Angola, Nigeria, Congo ha portato a casa solo promesse. Come quelle del ministro «transitorio» sul nucleare. Appena insediato aveva esordito con: «Dobbiamo puntare alla via italiana alla fusione nucleare», progetto che peraltro esiste. Si è attirato l’ira dei talebani verdi e allora ha ripiegato sull’idrogeno, nell’aprile di un anno fa, che «arriveremo all’idrogeno verde entro il 2030, se non ce la facciamo va bene anche quello blu».
Tradotto: per fare l’idrogeno serve altra energia; se usiamo quella rinnovabile è verde, se usiamo il metano è blu. Il fatto è che la filiera dell’idrogeno in Italia non esiste. Ma Cingolani procede per prova e, soprattutto, errore. Del pari sulle rinnovabili. Prima si è mostrato scettico che si potessero raggiungere gli obiettivi indicati dagli industriali dell’elettricità di 60 gigawatt in tre anni (nel Pnrr la stima è di 70 entro il 2030) sbloccando la burocrazia. Il ministro transitorio aveva parlato di «lobby dei rinnovabilisti» poi, incalzato dalla crisi ucraina, ha fatto cingoli indietro e ha annunciato un decreto (non ne sa nulla nessuno) che sarà la «Bibbia» delle energie verdi. Speriamo non faccia la fine dell’idroelettrico. Nel suo piano di attuazione del Pnrr il secondo capitolo di spesa per circa 12 miliardi è così intitolato: «Tutela del territorio e della risorsa idrica». Servono commenti?
A siccità conclamata, lo scienziato di governo ha proclamato: «Sono molto preoccupato, senza acqua non si fa idroelettrico». Magari ha ragione, in Italia ci sono 4.300 centrali idriche, producono il 17 per cento dell’energia pari al 40 per cento di quella da rinnovabili. Forse, però, è più urgente garantire quella per uso domestico e agricoltura…
Il ministro si spezza, ma non si spiega. E di solito come i gamberi fa un passo avanti e due indietro. Appena entrato nel suo ruolo disse: «Il mondo è pieno di ambientalisti radical chic e di ambientalisti oltranzisti, ideologici, loro sono peggio della catastrofe climatica… non sono la soluzione, sono parte del problema». Magari è vero, ma l’ha detto male. Sarà perché tra i suoi hobby preferiti, oltre ad andare in moto e ascoltare Dire Straits e Pavarotti, c’è leggere i libri di un pugliese come lui: Gianrico Carofiglio?
