A poche settimane dal voto, rimangono le macerie del Partito democratico al Sud. Dove sia i nomi più roboanti (legati a sistemi di potere ritenuti granitici), sia la nuova generazione di presunti «cavalli di razza» hanno perso consensi in favore di Cinque stelle e Fratelli d’Italia. E già si profila il redde rationem interno. A colpi di accuse.
Una bocciatura democratica, nel vero senso della parola, perché non ha risparmiato nessuno. Nel Pd ha colpito tutti al Sud, senza distinzioni tra vecchi volponi alla guida di consolidati meccanismi di potere locale, come Vincenzo De Luca e Michele Emiliano, né tantomeno nuove leve, come Nicola Irto e Giuseppe Provenzano, che sgomitano per farsi largo nel partito che verrà. E intanto non brillano per consensi ottenuti nelle regioni da cui provengono nonostante abbiano un rilevante peso specifico.
I risultati delle elezioni hanno lasciato il segno a Largo del Nazareno. Nel Mezzogiorno d’Italia c’è una voragine, in un’area divisa tra la tenuta dei Cinque stelle e la crescita del centrodestra, soprattutto di Fratelli d’Italia.Il Pd di fatto è diventato marginale, incapace di contendere i collegi uninominali, neanche laddove schiera nomi pesanti. O, a questo punto, presunti tali. I numeri sono impietosi e riportano storie dolorose per chi gestisce il potere nel centrosinistra al Sud.
Paradossale la storia di Vincenzo De Luca. I rumors rivelano che sogna la grande scalata al partito nazionale, per dare una scossa alla linea. Appena qualche settimana prima, alla festa del Pd a Napoli, criticava la guida del partito perché non riusciva ad andare oltre il 20 per cento. Nella regione che amministra, quella soglia è diventata un miraggio, visto che i dem si sono fermati al di sotto del 16 per cento, a tre punti percentuali dalla media nazionale. Sancendo una débâcle per il Viceré campano, che sulle liste ha dettato legge, ottenendo molti candidati a lui vicino, puntualmente sconfitti. Il ko più bruciante è stato rimediato da Fulvio Bonavitacola, il numero due della giunta in Campania. Nel collegio di Salerno (storicamente un feudo deluchiano) alla Camera è stato staccato di quasi dieci punti dall’avversario di centrodestra, mentre la lista del Pd si è fermata al 20,23 per cento, dietro il M5S che ha superato il 24. Una batosta è stata rimediata, poi, a Eboli da un altro fedelissimo del presidente della Regione Campania: il consigliere regionale Luca Cascone ha raggiunto in coalizione il 22,8 per cento, contro il 46,7 per cento del rivale, Attilio Pierro, schierato dal centrodestra. Il Pd ha ottenuto il 17,5 per cento.
La magra consolazione per De Luca è la rielezione a Montecitorio del figlio Piero, blindato nella posizione di capolista nella circoscrizione di Avellino e Salerno. Ma anche qui i dem a trazione deluchiana non hanno fatto faville, con il 20,1 per cento che è appena sopra la media nazionale ed esattamente sul livello di quel 20 per cento tanto deriso dal presidente in persona. Ulteriore colpo messo a segno riguarda il ritorno alla Camera di un fedelissimo come Stefano Graziano, che però ha portato a casa nella circoscrizione di Caserta e Benevento un bottino del 12,5 per cento. Si tratta del più basso di tutta la regione. Insomma, De Luca non avrà certo un’ampia rappresentanza in Parlamento.
Altro deluso dal 25 settembre è Michele Emiliano, che in Puglia ha rimediato il 16,8 per cento dei voti per il Pd. Una cifra che, vista in chiave ottimistica, rappresenta il «meno peggio» nel Sud. Il colpo più duro per l’ex sindaco di Bari è stata la mancata elezione di Raffaele Piemontese, vicepresidente della giunta pugliese e pupillo di Emiliano, che gli ha affidato le deleghe di Bilancio e finanze. Il golden boy del partito, forte di oltre 21 mila preferenze conquistate alle Regionali, è arrivato terzo nel collegio uninominale di Cerignola a oltre 13 punti di distacco dal Movimento 5 Stelle. Piemontese non è scattato nemmeno nel plurinominale in cui era capolista. Resterà così al fianco del suo mentore fino alla fine del mandato.
Addirittura nella roccaforte di Bari, amministrata dall’ex delfino di Emiliano, Antonio Decaro, i dem sono rimasti sotto la soglia nazionale. Almeno il presidente della Regione Puglia potrà contare in Parlamento sulla sponda di Claudio Stefanazzi, finora suo capo di gabinetto, e del deputato riconfermato, Ubaldo Pagano, che nell’ultima campagna elettorale per le Regionali era il committente responsabile dei messaggi elettorali. Che qualcosa non andasse, d’altronde, era già chiaro dalla definizione delle candidature, quando nel Pd pugliese è scoppiata una rivolta. Il consigliere regionale Fabiano Amati aveva addirittura dichiarato che le liste pugliesi erano «invotabili».
E se i «vecchi» piangono, le nuove leve non sono messe meglio. Anzi. Uno dei vice di Letta, Peppe Provenzano, ha gestito la partita in Sicilia sul doppio asse Politiche e Regionali. Per quanto riguarda il voto per il Parlamento, il disastro è stato totale: nell’isola la media del consenso è andata sotto il 12 per cento, ben sette punti in meno rispetto al dato nazionale. In alcuni casi, come nel collegio uninominale di Messina vinta dal partito «Sud chiama Nord» di Cateno De Luca, la coalizione guidata dai dem è finita quarta. E la lista dem al di sotto dell’11 per cento. Non è andata meglio alle Regionali: l’eurodeputata Caterina Chinnici ha chiuso a una distanza siderale, 8 punti, proprio da De Luca, arrivando terza di un soffio davanti a Nuccio Di Paola, candidato dai 5 Stelle. Provenzano, comunque, ha ottenuto il minimo sindacale, conquistando il seggio nel listino plurinominale a Palermo, così come il suo sodale nell’isola, il segretario regionale dem, Anthony Barbagallo.
L’altro volto nuovo del meridione è il calabrese Nicola Irto, leader regionale. Per lui è scattato il seggio al Senato, ma è l’unico punto positivo visto che sul territorio ha racimolato poco più del 14 per cento di voti. Alla Camera ha garantito l’elezione al bersaniano, Nico Stumpo, lasciando l’amaro in bocca a Enza Bruno Bossio, annunciata come eletta ma finita vittima del flipper del Rosatellum. Soprattutto a causa di un secondo posto in lista, accettato per disciplina da Irto in nome dello spazio concesso ad Articolo Uno, il partito di Roberto Speranza. A chiudere il cerchio del naufragio meridionale dei dem c’è la storia di Caterina Cerroni, leader dei giovani democratici. In Molise, dove era capolista alla Camera, ha conquistato il 18,1 per cento, risultato più che onorevole visto il trend del Mezzogiorno. Ma anche lei, dopo aver celebrato la prima elezione in Parlamento, è stata impallinata dai ricalcoli del ministero dell’Interno. Una catastrofe bella e buona.
Ci sarà senz’altro da ragionare sulle ragioni della Caporetto meridionale per il Pd. Probabilmente, chissà, si dovrà ripartire da quanto preventivato dal deputato uscente, Umberto Del Basso De Caro, e dal presidente del consiglio regionale della Campania, Gennaro Oliviero, che avevano denunciato i «metodi da basso impero» e di «arroganza prevaricatrice» nella definizione delle liste.