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Il Quirinale in palio

Il Quirinale in palio

Gli «scrutini» partiranno attorno al 20 gennaio prossimo, con un migliaio di Grandi elettori alla ricerca del successore di Sergio Mattarella… Mentre le previsioni (perlopiù inventate) si moltiplicano, ecco una guida ragionata alla più misteriosa elezione della Repubblica.


Più che una gara sembra il Palio di Siena, con i cavalli delle contrade che faticano ad allinearsi davanti al canapo del via e i fantini che si aggrappano alle briglie, attenti a non fare una prima mossa che rischierebbe di metterli fuori dalla competizione. I nomi dei «cavalli» in corsa girano da mesi: Silvio Berlusconi, Mario Draghi, Pier Ferdinando Casini, Giuliano Amato, Marta Cartabia, Romano Prodi… Eppure, proprio come avviene un attimo prima del «via» al Palio, tutto è fermo, immobile, i giochi paiono ancora tutti da fare.

Dice con la sua tipica arguzia l’ex ministro Paolo Cirino Pomicino, uno che a 82 anni di presidenti ne ha visti (e fatti) eleggere parecchi: «Gli accordi siglati troppo presto non reggono. Bisogna muoversi otto-dieci giorni prima dell’inizio delle votazioni». Così, nell’attesa che i giochi «veri» partano, ecco tutto quel che c’è da sapere sull’elezione del prossimo presidente della Repubblica, il tredicesimo della nostra storia.

La data d’inizio della «gara»

Il settennato di Sergio Mattarella, così come il suo mandato, scade tecnicamente il 3 febbraio 2022, anniversario del suo giuramento. Per quella data, il successore dovrebbe avere già giurato ed essere in carica, anche se in passato il protrarsi delle votazioni, o meglio degli «scrutini» (il record risale al 1971, quando ne occorsero addirittura 23 per eleggere Giovanni Leone), ha fatto sì che a volte il presidente uscente dovesse restare nel ruolo più del dovuto. In base alle consuetudini, le operazioni di voto dovrebbero cominciare attorno al 20 gennaio 2022. Poiché tutto si svolgerà – come sempre – nell’aula più grande del Parlamento, cioè nell’emiciclo della Camera, a convocarvi i «Grandi elettori» sarà il suo presidente, Roberto Fico. Si prevede che la sua lettera partirà tra Natale e il 6 gennaio.

I Grandi elettori e il quorum

A eleggere il presidente della Repubblica sono i 945 parlamentari (630 deputati e 315 senatori elettivi), i sei senatori a vita e i 58 delegati espressi dalle 20 Regioni: ognuna ne elegge tre a testa, due per la maggioranza e uno per l’opposizione, tranne la Valle d’Aosta che ne nomina uno solo. In totale, quindi, voteranno 1.009 Grandi elettori. Al momento, però, due seggi sono vuoti: quello di Roberto Gualtieri, eletto sindaco di Roma per il Pd, e quello del leghista bellunese Paolo Saviane, morto lo scorso luglio. Non si farà in tempo a rieleggerli, pertanto stavolta i Grandi elettori effettivi saranno 1.007.In realtà, secondo la prassi, anche i presidenti delle due Camere non votano mai per eleggere il capo dello Stato, e quindi il numero finale ed effettivo dei Grandi elettori sarà di 1.005. Ma non esiste alcuna regola che lo vieti, quindi sarebbe sbagliato escludere preventivamente dal totale Fico e la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati: in teoria potranno votare come gli altri.Dal numero dei Grandi elettori dipendono altri due numeri fondamentali, e cioè quelli dei due quorum, il numero minimo di voti per essere eletti: ne serviranno 672 nelle prime tre votazioni, che prevedono la maggioranza dei due terzi, e 504 dal quarto scrutinio in poi, quando basterà la maggioranza assoluta. Se il plenum fosse stato di 1.009 Grandi elettori, i quorum sarebbero stati, rispettivamente, di 674 e 506. Che cosa cambia per due soli voti? Moltissimo, soprattutto quando si tratta di elezioni che si decidono sul filo.

Rapporti di forza in equilibrio

I due schieramenti, in effetti, sono molto vicini, ed entrambi non raggiungono il quorum. Il centrodestra può contare su 450 Grandi elettori: 196 sono della Lega (133 deputati e 63 senatori: sarebbero 64, ma manca il seggio di Saviane); altri 127 sono di Forza Italia (77 deputati e 50 senatori); 58 sono di Fratelli d’Italia (37 e 21); altri 31 fanno parte dei tre «cespugli» Coraggio Italia, Cambiamo e Idea (24+7); altri 5 sono di Noi con l’Italia-Rinascimento italiano-Adc. Allo schieramento di centrodestra si aggiungono 33 delegati regionali su 58. Il centrosinistra dispone di 420 Grandi elettori. Il Pd ne conta 131 (38 senatori e 93 deputati: sarebbero 94, ma manca il seggio lasciato libero da Gualtieri); il Movimento 5 stelle ne raccoglie 233 (159 deputati e 74 senatori); Liberi e uguali ne muove 18 (12 e 6); Azione e +Europa ne hanno 5 (3 e 2), e il Centro democratico ha 6 deputati. A questo blocco si aggiungono 25 delegati regionali. Fa parte del centrosinistra Italia viva (27 deputati e 16 senatori), però non si sa come voterà: con i suoi 43 elettori farebbe salire a 463 il totale del centrosinistra, ma se passasse con il centrodestra ne porterebbe i Grandi elettori a 493. In mezzo sta il gruppo delle Autonomie e minoranze linguistiche, con i suoi 12 Grandi elettori (4 deputati e 8 senatori): a Palazzo Madama, però, risultano iscritti al gruppo Gianclaudio Bressa (Pd) e Pier Ferdinando Casini (Centristi per l’Europa), che voteranno con il centrosinistra. Infine ci sono altri 76 parlamentari del gruppo misto (29 alla Camera e 48 al Senato) e i sei senatori a vita, e anche tra loro spesso prevale il voto a fianco del centrosinistra.

Come si vota

La tradizione vuole che i Grandi elettori vengano chiamati uno a uno dal presidente della Camera, per scrivere il nome del loro candidato al coperto di tre cabine elettorali definite «catafalchi» e poste sotto lo scranno della presidenza. Ogni elettore depositerà la scheda nell’urna, detta «insalatiera», in vimini e foderata di raso verde. Le schede, per evitare brogli, sono sempre di colore diverso a ogni votazione.

I tempi per la scelta

Il Parlamento in seduta comune ha nominato 13 presidenti, se si considera il doppio mandato di Giorgio Napolitano. Tre di loro (vedere tabella sopra) sono riusciti nell’impresa di essere nominati al primo turno: Enrico De Nicola nel 1948, Francesco Cossiga nel 1985 e Carlo Azeglio Ciampi nel 1999. Altri quattro ce l’hanno fatto al quarto scrutinio, quando il quorum scende dai due terzi alla maggioranza assoluta: Luigi Einaudi nel 1948, Giovanni Gronchi nel 1955, Giorgio Napolitano nel 2006 e Sergio Mattarella nel 2015. Per eleggere Sandro Pertini nel 1978 servirono 16 votazioni, per Giuseppe Saragat nel 1964 21. Il record va a Giovanni Leone nominato dopo 23 votazioni.

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