Home » Attualità » Politica » A Draghi piace governare. E prova a dare la linea

A Draghi piace governare. E prova a dare la linea

A Draghi piace governare. E prova a dare la linea

Mario Draghi non sarà probabilmente il prossimo presidente del Consiglio, e forse non ricoprirà mai più quell’incarico, ma vuole continuare a governare. Con l’autorevolezza, con la sua rete di contatti internazionali, con la capacità di leggere gli scenari. Come un ingegnere che costruisce una ferrovia, il presidente del Consiglio uscente vuole segnare il percorso, scegliere su quali binari dovrà muoversi il prossimo governo.


Ecco allora il fendente sulla posizione geopolitica dell’Italia. Draghi fa capire la gravità dello scenario: non c’è più spazio per le ambiguità, non sul fronte russo e non su quello cinese. Chi ammicca alla Russia o si oppone alle sanzioni rischia di portare il paese dalla parte sbagliata della barricata, quella di Orban e delle ambiguità tra est e ovest, con il rischio che si attivi un meccanismo di discredito internazionale tale da mettere a repentaglio la sopravvivenza politica del prossimo governo. Il pensiero di Draghi, implicito, corre al centrodestra. Mentre Giorgia Meloni cerca di accreditarsi negli Stati Uniti, con una linea atlantica e moderatamente europeista, Salvini oscilla tra voti a favore degli aiuti militari a Kiev e dichiarazioni polemiche sulle sanzioni. Mentre Berlusconi assicura il suo europeismo, ma al tempo stesso sembra esitare a condannare apertamente il suo vecchio amico Putin. Con Berlusconi e Salvini comunque decisivi per la prossima eventuale maggioranza, ma schiacciati da un probabile ottimo risultato di Fratelli d’Italia, si rischia l’instabilità. Per questo Draghi ha sottolineato l’importanza di un ministro dell’economia come Daniele Franco, uomo credibile agli occhi della finanza internazionale, e auspicato che il prossimo governo ipotizzi un profilo simile a quello dell’attuale ministro. Il discorso del presidente del Consiglio mostra, però, anche tutte le debolezze di un sistema italiano aggrappato ai vincoli esterni. Draghi segna la posizione internazionale dell’Italia, cerca di stabilizzarne la prospettiva macroeconomica, ma è costretto anche a fronteggiare diversi fallimenti quando si guarda alle riforme. Liberalizzazioni, delega fiscale, servizi pubblici, welfare e infrastrutture sono settori in cui il governo avrebbe potuto fare di più oppure non è riuscito a tradurre a livello legislativo le sue intenzioni. Colpa dei partiti e del Parlamento? Può essere, ma è chiaro che non si può governare a lungo con maggioranze tanto variegate. Gli interessi divergenti divengono incomponibili. È il limite dei governi tecnici che spesso viene occultato dalla classe dirigente italiana: si cerca di allineare il paese a quanto pattuito sul piano europeo o a quanto richiesto dalla congiuntura economica con il prestigio neutrale dei tecnici, ma poi il Parlamento risponde a interessi politici, territoriali, economici differenti che depotenziano i programmi di questi governi commissariali. È per questo motivo che se dalle urne uscisse un forte mandato politico sarebbe un segnale positivo, un governo con qualche prospettiva di coesione e stabilità non è soluzione da disprezzare. Nonostante le difficoltà interne del centrodestra, è sempre più facile accordare tra loro Salvini, Berlusconi e Meloni – specie se i rapporti di forza saranno chiari – che una grande coalizione. Ecco allora la sfida del prossimo governo: tenere insieme mandato politico democratico con impegni e legami internazionali. Rendere eseguibili e concreti programmi contrattati con l’Europa e capaci di incontrare la fiducia dei mercati, ma senza discostarsi troppo dal mandato elettorale. Oltre ad un posizionamento internazionale segnato da Draghi e che dovrà essere consolidato, ci sarà da guardare proprio al rapporto tra azione esterna e interna del governo.

© Riproduzione Riservata