Il decreto è tecnicamente ineccepibile. Siamo però lontani dal modello di stimoli americano. Draghi sembra però aver intuito la gravità dello scenario: ha seppellito il patto di stabilità, messo via il Mes e aperto a nuovi scostamenti di bilancio. Tuttavia, è sul piano europeo che il Presidente del Consiglio deve lavorare per un ulteriore stimolo fiscale comune.
Il decreto Sostegno poteva essere più ricco ed ampio, determinare una sferzata della politica economica radicalmente a favore delle piccole imprese colpite dai lockdown. Il governo, invece, ha preferito essere prudente. Ciò non toglie che rispetto al governo precedente ci siano stati dei passi in avanti, soprattutto sul piano tecnico. Le imprese in aprile incasseranno i sussidi statali e la ripartizione sarà commisurata al fatturato diventando più equa. I sostegni pubblici però non colmeranno tutte le perdite e i mancati guadagni delle chiusure. Siamo passati dal nulla al poco, ma è comunque un passo in avanti. In questo quadro, la politica economica di Mario Draghi e dei suoi colleghi europei andrebbe osservata con una lente globale, in relazione al sistema-mondo. Perché se esiste un grande rischio nella politica europea è l’ampliamento del divario con le due principali potenze mondiali, gli Stati Uniti e la Cina. Quest’ultima ha rallentato soltanto per pochi mesi e poi ha ripreso a marciare sul piano economico, grazie soprattutto al convogliamento degli investimenti pubblici nel settore tecnologico ed infrastrutturale.
La Cina, focolaio originario del virus, ha perso meno degli altri Paesi occidentali in termini di Pil e occupazione. Si è avvantaggiata della pandemia nel medio periodo per ridisegnare le priorità economiche della propria strategia. Ancora più interessante la risposta della democrazia americana che tra la presidenza Trump e quella Biden ha messo in campo ben 4.200 miliardi di spesa aggiuntiva, oltre ad un lungo ciclo di politica espansiva da parte della Federal Reserve. Il piano economico appena licenziato dal congresso vale 1.900 miliardi di dollari e porterà negli Stati Uniti un aumento della liquidità prossimo al 12% del prodotto interno lordo nel 2021. Gran parte delle famiglie americane riceverà 1.400 dollari da spendere per spingere i consumi. Una manovra spregiudicata, di marca imperiale, che vuole trarre vantaggio da un momento di crisi. Le nuove misure fiscali previste dai 19 Paesi dell’Eurozona, invece, si fermano al 6 per cento del Prodotto interno lordo del gruppo. Nel 2020 l’economia dell’Eurozona ha perso il 6,6% del PIL, quasi il doppio rispetto al calo del 3,5% dell’economia degli Stati Uniti. Le previsioni annunciano che nei primi tre mesi di quest’anno i 19 Paesi del blocco europeo dovrebbero registrare un secondo trimestre consecutivo di crescita negativa.
Senza contare che molti stati della federazione americana non sono mai entrati in lockdown e che il piano vaccinale prevede l’esaurirsi delle pratiche per inizio luglio. In Europa, se tutto andrà bene, di completamento della vaccinazione se ne parlerà ad autunno inoltrato. In questo scenario, anche il Recovery fund e gli altri programmi europei rischiano di essere poca cosa, nonostante l’azione espansiva della Bce. Il saldo netto dei finanziamenti europei per l’Italia, uno dei maggiori beneficiari, arriva a malapena a 30 miliardi. Il resto sono soldi spesi dagli Stati membri o riversati nel bilancio europeo dagli stessi. Può sembrare molto rispetto al precedente paradigma di austerità, ma rischia di essere troppo poco nell’attuale situazione. Considerando anche che i Paesi europei sono più burocratici, più assistenzialisti, meno dinamici e liberalizzati degli Stati Uniti. Uno stimolo minore ed un ingessamento maggiore rischiano di frenare ulteriormente l’Unione europea. Draghi sembra aver intuito la gravità dello scenario: ha seppellito il patto di stabilità, messo via il Mes ed aperto a nuovi scostamenti di bilancio. Tuttavia, è sul piano europeo che il Presidente del Consiglio deve lavorare per un ulteriore stimolo fiscale comune. Mentre sul fronte interno dovrebbe puntare molto sulla semplificazione e sulla detassazione delle imprese oltre che su una buona amministrazione dei nuovi investimenti pubblici. Ciò che le classi dirigenti europee devono metabolizzare è la portata globale delle conseguenze della pandemia. Essere eccessivamente conservativi oggi comporta più rischi rispetto all’essere spregiudicati nel superare i vecchi paradigmi dell’equilibrio di bilancio. A cui si potrà e dovrà tornare gradualmente, ma solo quando sarà superata l’eccezionalità del momento presente.