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Non basta una ricarica elettrica per far ripartire il mercato dell’auto

Non basta 
una ricarica 
elettrica 
per far ripartire 
il mercato 
dell’auto

In Italia circolano troppe vetture vecchie e inquinanti: 7 milioni hanno più di 20 anni. Gli aiuti anti-pandemia potevano essere l’occasione per rilanciare il parco circolante tricolore. Così non è stato. «La soluzione è quella di aiutare chi compra Euro 6 usati» propongono ora i concessionari, alle prese con un drammatico calo del fatturato.


Hanno fame? Dategli brioches». In stile Maria Antonietta, il governo italiano ha dato briciole al mondo dell’auto, colpito duramente dalla crisi Covid, per di più favorendo i ricchi. I primi dieci mesi dell’anno si sono chiusi con una caduta delle vendite di autovetture del 30,9 per cento, peggior risultato in Europa dopo la Spagna. E il Centro studi Promotor definisce «catastrofiche» le previsioni per l’ultimo scorcio del 2020 e per il 2021: «Negli ultimi due mesi dell’anno vi sarà un nuovo crollo delle immatricolazioni» anche per la mancanza di incentivi per le autovetture più richieste. Per sostenere la domanda, nel 2020 il governo ha stanziato complessivamente 550 milioni di euro, di cui una parte cospicua per l’acquisto di costose auto elettriche o ibride plug-in (cioè che si ricaricano alla spina). Ma si tratta di una cifra modesta se paragonata ai miliardi messi sul piatto da Francia, Germania e Spagna.

Il risultato è che un settore fondamentale per l’economia nazionale (rappresenta circa il 10 per cento del Pil) è in forte sofferenza. A partire dai concessionari: 1.350 imprenditori cui fanno capo circa 2.700 saloni con oltre 110 mila dipendenti. L’associazione di categoria Federauto sostiene che i rivenditori hanno registrato una perdita di fatturato che oscilla tra il 40 e il 60 per cento. Nell’annuale Automotive Dealer Report di Italia Bilanci, che da 11 anni studia e riclassifica i conti delle concessionarie, si stima che un 20-30 per cento sono a rischio di fallimento. Non potendo licenziare e non potendo presentare istanza di fallimento, di chiusure vere e proprie non ce ne sono ancora, ma la crisi cova sotto la cenere.

In un panorama così drammatico, insistere sulla mobilità elettrica è stata una decisione sbagliata, dice Adolfo De Stefani Cosentino, presidente di Federauto. «L’Italia ha il parco circolante più obsoleto d’Europa con un’età media di 11 anni. Sulle nostre strade ci sono 39 milioni di auto di cui ben 22 milioni sono euro 4, 3, 2, 1 e 0. Addirittura 7 milioni di veicoli hanno più di 20 anni. In un Paese con questa situazione così anomala ha vinto le elezioni un partito (il Movimento 5 stelle, ndr) che punta sulle auto elettriche. Ma sostenere che tutte le auto che vanno immatricolate quest’anno devono essere elettriche e ibride plug-in è la cosa più stupida che ci possa essere: stiamo parlando di veicoli che ora rappresentano il 4 per cento del mercato. Ammettiamo per assurdo che siano il 40 per cento del mercato, cioè che se ne vendano 600 mila all’anno: ci vorrebbero decenni per riuscire a svecchiare l’intero parco circolante di 39 milioni di vetture».

Secondo De Stefani Cosentino, la strada da seguire è un’altra. «Se davvero vogliamo risolvere il problema dell’inquinamento delle automobili, dobbiamo togliere dalle strade i veicoli più vecchi, che tra l’altro sono anche quelli meno sicuri. Ma per prima cosa dobbiamo chiederci: perché tante persone hanno auto così vecchie? Forse per due motivi: o uno è contento di quella che ha e se la tiene, oppure non ha i soldi per cambiarla. Dalla nostra esperienza sappiamo che i clienti con le vetture più datate hanno una capacità di spesa mediamente di 8 mila euro. Mentre le auto elettriche e ibride plug-in costano in media 38 mila euro. Come facciamo a vendere queste vetture a chi può spendere 8 mila euro? Gli diamo 30 mila euro di contributi? Impossibile. Alla fine sa a chi abbiamo venduto le auto elettriche, con gli incentivi decisi dal governo? A chi possedeva già due o tre macchine in garage. Abbiamo dati i soldi ai ricchi, ma è mai possibile?».

Arriviamo dunque alla soluzione suggerita da Federauto: «Dire ai possessori di auto dall’Euro 4 in giù che possono continuare a circolare, ma che la loro vettura in futuro non la potranno né vendere né donare a nessuno se non a uno sfasciacarrozze. In compenso, se comprano un’auto usata Euro 6 non pagano né il bollo né la tassa di trasferimento che, tra parentesi, in Italia è di 400 euro mentre nel Regno Unito è zero e in Germania è di 30 euro». E per alimentare il mercato di auto usate poco inquinanti Federauto suggerisce di favorire fiscalmente le partite Iva, come si fa nel resto d’Europa. «In Italia il 42 per cento di autovetture sono vendute a possessori di partita Iva, in Germania sono il 65 per cento. Questi professionisti di solito cambiano auto dopo 30-32 mesi. Si tratta di vetture Euro 6 che costano la metà del prezzo di acquisto e che alimentano il mercato dell’usato con mezzi poco inquinanti. Se facessimo come gli altri Paesi europei e consentissimo di detrarre interamente l’Iva, allora la quota di auto vendute alle partite Iva aumenterebbe, creando un circolo virtuoso strutturale, senza aver bisogno di incentivi».

Comunque, lo Stato incassa in media circa 4 mila euro per ogni auto nuova venduta. «Se lo Stato dà 2 mila euro di incentivi a chi si libera di vetture inquinanti, il fisco resta in attivo. Ma più in generale ci vogliono interventi strutturali per consentire alle partite Iva di scaricare le spese delle proprie vetture, come negli altri Stati europei» è la tesi di Plinio Vanini, presidente di Autotorino, la più grande società di concessionari in Italia.

L’azienda fu fondata nel 1965 dal padre Arrigo come salone con officina a Morbegno, in Valtellina: l’imprenditore iniziò a recarsi a Torino per acquistare vetture in uso a personale Fiat e così prese il nome Autotorino. Oggi è un colosso con 52 sedi in cinque regioni, oltre 1.650 collaboratori e 1,22 miliardi di fatturato nel 2019. «In questi mesi» racconta Vanini «abbiamo ridotto all’osso i margini, anche per responsabilità verso i nostri dipendenti e l’industria che sta dietro di noi».

La società di Vanini però ha le spalle abbastanza larghe e continua a crescere per acquisizioni: «Autotorino in questi giorni sta concludendo l’acquisto di una concessionaria con due punti vendita in una città del Nord Italia» conferma. «Il nostro lavoro ormai richiede di diluire su masse importanti di vendite i notevoli investimenti in tecnologia che dobbiamo affrontare». Oggi per resistere le concessionarie devono raggiungere maggiori economie di scala, anche perché seguire i clienti richiede call center dedicati ed esperti di marketing e informatica. E quindi solo i più forti sopravviveranno. Del resto, in poco più di un decennio il loro numero si è dimezzato.

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